Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10303 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10303 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 30/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato il 28/04/1954
avverso la sentenza del 22/03/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di COGNOME visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. uditi i difensori dell’imputato:
avvocato NOME COGNOME del foro di ENNA, che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso.
avvocato NOME COGNOME, del foro di ROMA, quale sostituto processuale, per delega scritta, dell’avvocato NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata nel preambolo la Corte di assise di appello di Caltanissetta ha confermato la decisione con cui la Corte di assise aveva dichiarato NOME COGNOME colpevole – in concorso con altri esponenti della famiglia mafiosa di Campofranco, tra cui NOME COGNOME – del reato di omicidio ai danni di NOME COGNOME e dello strumentale delitto in materia di armi.
Secondo il conforme accertamento dei Giudici del merito COGNOME – all’epoca esponente di vertice della famiglia di Campofranco nonchØ responsabile provinciale di Cosa nostra nissena aveva deliberato l’uccisione di Falcone e dato incarico agli altri concorrenti, tra cui COGNOME di eseguire l’azione omicidiaria, portata a termine a Montedoro il 13 giugno 1998.
COGNOME aveva decretato la morte di COGNOME sia per motivi di vendetta – legati alla vicinanza
della vittima ad un gruppo contrapposto, formatisi all’interno di Cosa nostra, responsabile negli anni precedenti del tentativo di sopprimerlo, nonchØ, nel 1997, dell’organizzazione dell’agguato in cui erano morti suo fratello NOME ed il fratello di NOME COGNOME – sia per prevenire ulteriori attentati alla sua vita eliminando un avversario.
Siffatta ricostruzione Ł fondata sulla convergenza tra la chiamata in correità operata, una volta divenuto collaboratore di giustizia, da NOME COGNOME e le chiamate in reità de relato di altri due collaboratori, NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali avevano appreso che mandante dell’omicidio era stato NOME COGNOME da fonti diverse: COGNOME da NOME COGNOME che, a sua volta, era stato informato direttamente da COGNOME; COGNOME da NOME COGNOME e NOME COGNOME, fedelissimi di COGNOME.
Le accuse nei confronti COGNOME hanno trovato significativi riscontri, non solo generici ma anche individualizzanti nelle altre emergenze probatorie, oltre che nelle dichiarazioni dei collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali hanno, con dovizia di particolari, confermato il contesto in cui Ł maturato l’episodio omicidiario.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME per il tramite dei difensori di fiducia avv. ti NOME COGNOME e NOME COGNOME articolando un unico motivo, per violazione di legge, in relazione agli artt. 125, 192 e 546, comma 1, cod. proc. pen., e vizio di motivazione, anche sotto il profilo del travisamento del fatto.
Secondo la difesa del ricorrente, la sentenza impugnata Ł affetta da una molteplicità di criticità che possono essere enunciate come segue, nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Non ha risposto o a ha risposto in modo apparente alle osservazioni difensive sull’indebolimento sofferto della piattaforma accusatoria a suo carico a seguito dell’archiviazione della posizione dei coindagati inizialmente indicati dalla medesima fonte di prova, il chiamante in correità NOME COGNOME come suoi concorrenti nel delitto: NOME COGNOME accusato di essere uno dei mandanti, NOME COGNOME e NOME COGNOME accusati di avere partecipato alla fase preparatoria, acquisendo notizie sulla partecipazione di NOME COGNOME al duplice omicidio COGNOME, NOME COGNOME accusato di essere uno dei due esecutori materiali).
Ha travisato le dichiarazioni di NOME COGNOME il quale, come si evince dallo stralcio dell’esame dibattimentale riportato per stralci nell’atto di impugnazione, non ha mai dichiarato di avere ucciso COGNOME perchØ animato da propositi vendicativi, ma ha ricollegato il movente omicidiario esclusivamente al ruolo e alla posizione che lui e COGNOME avevano all’epoca all’interno di Cosa nostra nello scontro, anche armato, fra l’ala vicina a Provenzano, cui entrambi appartenevano, e quella vicina a Riina, cui apparteneva NOME COGNOME. Trattasi, peraltro, di movente del tutto illogico: non riesce a comprendersi perchØ tale forma di autotutela avrebbe dovuto essere esercitata proprio nei confronti NOME COGNOME il quale, secondo le dichiarazioni di tutti collaboratori, per le sue condotte da ‘ribelle’, non avrebbe mai potuto ambire a ruoli di rilievo all’interno della famiglia di Montedoro, peraltro schierata con COGNOME, e non aveva mai rappresentato una ‘pedina indispensabile’ dell’ala contrapposta a Vaccaro.
Non ha preso in esame la censura, anch’essa riferita all’individuato movente, sull’assenza di contestualità tra il progetto omicidiario che sarebbe stato ordito ai danni di NOME COGNOME, negli anni 1994 – 1995, con il contributo per di piø non provato di NOME COGNOME, e l’omicidio di quest’ultimo, avvenuto ben quattro anni dopo, nonchØ sull’assenza di riscontri in ordine al coinvolgimento di COGNOME nel duplice omicidio di NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Ha considerato la vittima persona pericolosa per l’incolumità di COGNOME in assenza di prove dimostrative dell’assunto, posto che non Ł stata indicata alcuna condotta di COGNOME sintomatica di
contrasti con COGNOME.
Non ha risposto ai rilievi con cui la difesa aveva messo in discussione la credibilità, intrinseca ed estrinseca, sia dell’unico chiamate di correo sia degli altri collaboratori di giustizia;
Non ha valutato la chiamata di correo unitamente alle altre chiamate di correo operate da COGNOME nei confronti degli altri indagati ed in particolare di NOME COGNOME originariamente indicato quale mandante, ma la cui posizione Ł stata archiviata, valorizzandosi in suo favore le dichiarazioni di COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, quindi di esponenti di spicco di Cosa nostra di Gela e Riesi, i quali hanno ricollegato l’omicidio di NOME COGNOME ad altre dinamiche ed eventi ai quali NOME COGNOME risulta del tutto estraneo.
Pur di dare credito alle accuse di COGNOME, ha finito per avallare la ricostruzione secondo cui COGNOME, in aperto contrasto con le regole di Cosa nostra, ha deliberato l’omicidio di NOME COGNOME senza chiedere l’autorizzazione al capo della sua famiglia di appartenenza, quella di Montedoro (il cugino della vittima NOME COGNOME);
Non ha spiegato adeguatamente le ragioni per cui la chiamata di correo di COGNOME continua ad essere credibile anche dopo l’archiviazione del procedimento nei confronti degli altri accusati precisamente di NOME COGNOME (indicato come il complice che gli aveva veicolato l’ordine di COGNOME e o aveva coadiuvato nei sopralluoghi fino all’agguato finale) e di NOME COGNOME e NOME COGNOME (indicati come i complici che avevano rafforzato il proposito criminoso del mandante COGNOME fornendogli informazioni sul coinvolgete el vittima nell’omicidio del fratello) nonostante siano emerse discrasie riferite a tutte le fasi del delitto che hanno minato irrimediabilmente la credibilità dell’intera ricostruzione propinata da COGNOME, al punto da far seriamente dubitare che lo stesso abbia reamente preso parte alla fase esecutiva. COGNOME non ha ricordato nemmeno di un controllo operato dai Carabinieri nei confronti suoi e di COGNOME mentre entrambi si trovavano nei pressi del luogo del delitto appena qualche giorno prima della sua consumazione e non Ł stato in grado di precisare il tipo di notizie raccolte da Tusa e Modica ed in che termini abbiano inciso sulla determinazione omicidiaria di COGNOME.
Non ha superato le osservazioni dapprima esternate del Tribunale del riesame occupandosi della posizione di NOME COGNOME e successivamente fatte proprie dall’odierno imputato nell’atto di appello, in ordine all”attendibilità della chiamata in reità de relato di NOME COGNOME il quale aveva indicato una fonte di conoscenza, NOME COGNOME della famiglia di Agrigento, legata ai Corleonesi di Riina, impossibilitato a ricevere confidenze da COGNOME perchØ costui, nel periodo di interesse, era uno degli esponenti di punta di un gruppo rivale legato a COGNOME. Lo stesso COGNOME se ne Ł reso conto al punto da modificare la versione originaria e riferire in sede di controesame di avere ricevuto le notizie all’interno di cosa nostra.
Ha esaminato con motivazione illogica ed apodittica le doglianze difensive riferite alle dichiarazioni de relato del collaboratore COGNOME continuando a ritenerle credibili nonostante il dichiarante non sia riuscito ad indicare il periodo in cui avrebbe ricevuto le confidenze da COGNOME ed COGNOME ed abbia dato conto, come si evince dallo stralcio del suo esame riportato nel ricorso, di un mandato omicidiario di COGNOME in stridente contrasto con le regole ferree di Cosa nostra, secondo cui un affiliato non può essere ucciso senza il previo assenso della famiglia di appartenenza, peraltro nel caso di NOME COGNOME da sempre legata a quella cui apparteneva il presunto mandante, ovvero COGNOME. Per di piø, non Ł stato attribuito il giusto peso alle dichiarazioni del collaboratore COGNOME il quale ha riferito che il capo della famiglia della vittima, il cugino NOME COGNOME lungi dall’avere prestato il necessario consenso si era attivato per reperire informazioni sui responsabili dell’omicidio perchØ si voleva vendicare.
Ha erroneamente attributo valenza accusatoria alle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME trascurando che lo stesso non ha mai accusato NOME COGNOME avendo
individuato il mandante in NOME COGNOME la cui posizione Ł stata archiviata.
Ha inserito tra le dichiarazioni convergenti con quelle di NOME COGNOME anche quelle di NOME COGNOME, pur prive di qualunque contenuto accusatorio anche in ragione dell’appartenenza del dichiarante ad un contesto mafioso completamente diverso.
Non ha adeguatamente apprezzato la circostanza, pur pacifica, che le accuse di COGNOME nei confronti COGNOME sono state ritenute inattendibili in altro procedimento definito con l’assoluzione dell’odierno ricorrente dall’accusa dell’omicidio COGNOME
Ha disatteso il motivo di appello con cui era stata evidenziata l’assenza di prove per affermare la responsabilità dell’imputato in ordine ai reati di detenzione e porto dei fucili utilizzati per commettere l’omicidio, non potendosi considerare tali le sole dichiarazioni del collaboratore COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
Ritiene il Collegio che nessuna delle censure dedotte dal ricorrente superi il vaglio di ammissibilità.
Nonostante la denuncia formale dei vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) cod. proc. pen., le censure o si risolvono nella sollecitazione di apprezzamenti da sovrapporre a quelli plausibili dei Giudici del merito, oppure ripropongono pedissequamente questioni già dichiarate infondate nei precedenti gradi del giudizio, con giustificazioni esaustive e prive di criticità, in difetto di fatti nuovi che possano indurre a modificare la precedente decisione o perchØ, infine, evidenziano, difetti, contraddizioni ed incongruenze logiche del percorso giustificativo manifestamente infondate.
Preliminarmente alla disamina delle singole censure va ricordato che con il ricorso per cassazione non può essere dedotta la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., anche se in relazione agli artt. 125 e 546, comma 1, lett. e), stesso codice, per censurare l’omessa o erronea valutazione degli elementi di prova acquisiti o acquisibili, in quanto i limiti all’ammissibilità delle doglianze connesse alla motivazione, fissati specificamente dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., non possono essere superati ricorrendo al motivo di cui alla lettera c) della medesima disposizione, nella parte in cui consente di dolersi dell’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità (Sez. U., n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027 – 04).
In ogni caso, il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza del giudice di merito dell’art. 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., anche dopo la novella ad opera della legge n. 46 del 2006, non può «concernere nØ la ricostruzione dei fatti, nØ il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della sua rispondenza alle acquisizioni processuali; la funzione del controllo di legittimità sulla motivazione non Ł quella di sindacare l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito dell’analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a fondamento della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte» (ex plurimis da ultimo, Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen COGNOME Rv. 284556 – 01, in precedenza Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, COGNOME; Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, COGNOME, Rv. 234109; Sez. 3 n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217).
La Corte di cassazione Ł, infatti, giudice della motivazione e dell’osservanza della legge, e non del contenuto e del significato della prova, e dunque ad essa Ł normativamente precluso di procedere a una rinnovata valutazione degli elementi di fatto che la sentenza di merito ha posto a
base della decisione o all’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di lettura dei fatti e delle risultanze istruttorie, prospettati dalla difesa come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa di quelli seguiti dai giudici di merito; ciò, infatti, trasformerebbe la Corte di legittimità nell’ennesimo giudice del fatto (Sez. 5 – , n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME, Rv. 283370 – 01; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, COGNOME, Rv. 253099).
Basandosi il ricorso, principalmente, sulla denuncia di inosservanza delle regole di valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, occorre, ancora, ricordare i consolidati principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento a tali prove.
3.1. La validazione probatoria delle dichiarazioni, anche de relato , dei collaboratori di giustizia deve essere operata alla stregua dei criteri indicati dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 20804 del 29/11/2012, dep. 14/05/2013, Aquilina, Rv. 255143 secondo cui la chiamata in reità (o in correità) de relato, anche se non asseverata dalla fonte diretta, può legittimamente avere come unico elemento di riscontro, ai fini della prova della colpevolezza dell’accusato, altra o altre chiamate dello stesso tipo, purchØ siano rispettate le condizioni rappresentate: dalla positiva valutazione della credibilità soggettiva di ciascun dichiarante e dell’attendibilità intrinseca delle sue propalazioni in base ai criteri della specificità, della coerenza, della costanza e della spontaneità; dall’accertamento dei rapporti personali fra il dichiarante e la sua fonte diretta per inferirne dati sintomatici della rispondenza al vero della confidenza effettuata dalla seconda al primo; dalla convergenza delle diverse chiamate che devono riscontrarsi reciprocamente in maniera individualizzante in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum; dall’indipendenza delle chiamate che non devono rivelarsi frutto di eventuali intese fraudolente; dalla loro autonomia genetica, nel senso della derivazione da fonti informative primarie diverse, in modo da escludere il rischio della circolarità della notizia che vanificherebbe l’elemento di riscontro costituito dalla convergenza del molteplice.
3.2. Tanto posto, può sin d’ora anticiparsi che le sentenze di primo e secondo grado – le cui motivazioni, caratterizzate da una sostanziale concordanza di analisi e di valutazione degli elementi di prova posti a fondamento del giudizio di colpevolezza degli imputati, si saldano tra loro concorrendo a formare un unico, omogeneo e complessivo corpo argomentativo, secondo lo schema della “doppia conforme” (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218 – 01; Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Argentieri Rv. 257595) – hanno fatto puntuale e corretta applicazione dei principi di diritto affermati da questa Corte in tema di valutazione delle chiamate in correità e reità operate dai collaboratori di giustizia, pervenendo all’affermazione di responsabilità dell’odierno ricorrente, quale e concorrente morale, all’esito di un iter logico ampiamente e congruamente motivato, fondato su argomentazioni coerenti e prive di contraddizioni, che hanno compiutamente risposto alle deduzioni difensive e non sono incorse nelle carenze lamentate nei motivi di ricorso.
Il tema, comune a gran parte delle censure del ricorrente dell”indebolimento sofferto della piattaforma accusatoria’ a carico di COGNOME in conseguenza dell’esito sfavorevole all’accusa dei procedimenti, cautelari e di merito, a carico dei concorrenti raggiunti dalla chiamata di correo di NOME COGNOME e, piø in generale, della credibilità, soggettiva ed oggettiva, di quest’ultimo, già posto nell’atto di appello (pagg. 15 e seg.), Ł stato esaustivamente affrontato dalla sentenza impugnata, che ha fornito risposte esaustive ai rilievi difensivi.
La Corte distrettuale, attraverso un esame, analitico ed approfondito, delle dichiarazioni di COGNOME, innanzitutto, pervenuta alla conclusione che esse offrono una ricostruzione, completa e coerente, sia del fatto omicidiario sia del contributo apportato da COGNOME alla sua realizzazione e che le limitate esitazioni o imprecisioni emerse nel corso dell’esame dibattimentale, colmate dalle
contestazioni sollevate dal pubblico ministero, sono perfettamente spiegabili con la considerevole lontananza nel tempo dei fatti narrati. Non Ł ravvisabile, quindi, un deficit di conoscenza sintomatico di intenti calunniatori del collaboratore, esclusi, non solo dall’assenza di ragioni di astio o di altra natura, nemmeno allegati dalla difesa dell’imputato ma soprattutto dalla dimostrata conoscenza delle circostanze piø significative della fase organizzativa ed esecutiva dell’azione omicidiaria e del contesto in cui Ł maturato il delitto (pagg. 19 e 20).
COGNOME ha riferito di avere ricevuto il mandato per uccidere COGNOME, direttamente e personalmente, dall’odierno imputato ed ha precisato di avere parlato dell’argomento anche con gli altri soggetti coinvolti nell’organizzazione, tra cui NOME COGNOME impegnato insieme con lui negli appostamenti preliminari all’esecuzione dell’agguato.
Sul punto COGNOME non Ł, quindi, un dichiarante de relato ma diretto.
Quanto al movente, il collaboratore non ne ha indicato uno specifico ed esclusivo – la vendetta per la partecipazione della vittima designata all’agguato mortale ai danni di suo fratello e del fratello di COGNOME – così da negare validità agli altri, ma ha aggiunto che il proposito delittuoso Ł stato rafforzato dalla posizione che NOME COGNOME in quel periodo occupava nell’organizzazione: a differenza di COGNOME e COGNOME, appartenenti alla famiglia mafiosa di Campofranco, rimasta fedele a COGNOME, nello scontro in atto all’interno di Cosa nostra si era schierato, nella qualità di uomo d’onore di Montedoro, con il gruppo vicino a COGNOME e COGNOME ed in tale veste si era reso protagonista di azioni spregiudicate attraverso contatti ripetuti con la ‘famiglia’ di Agrigento, in particolare con il rappresentante provinciale NOME COGNOME, e di Riesi.
La forza dimostrativa della chiamata di correo, così precisata, Ł rimasta immutata anche a seguito degli annullamenti disposti dal tribunale del riesame e delle archiviazione delle posizioni dei coindagati NOME e NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Osserva, al riguardo, la Corte distrettuale, con argomentazioni non attinte da specifiche censure, che in nessuna delle decisioni favorevoli alle persone accusate a vario titolo da COGNOME di avere partecipato all’omicidio Ł stato espresso un giudizio negativo sull’attendibilità, soggettiva o oggettiva, del collaboratore.
Nel provvedimento di archiviazione emesso nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME il Giudice per le indagini preliminari ha giustificato la decisione con la mancata individuazione di riscontri individualizzanti alla chiamata di COGNOME, oltre che con le difficoltà di dimostrare il nesso eziologico tra la particolare condotta che gli accusati avrebbero posto in essere – la raccolta di notizie sulla partecipazione all’agguato mortale ai danni dei fratelli di COGNOME e COGNOME della vittima designata – e l’omicidio.
Con riferimento a NOME COGNOME se nel decreto di archiviazione si dà soltanto atto del sopravvenuto decesso, il Tribunale del riesame ha posto a fondamento dell’annullamento della misura cautelare applicatagli la plausibilità, anche a causa dei ricordi non nitidi sul punto di COGNOME, dell’esistenza di incomprensioni tra il chiamante di correo de relato e la sua fonte primaria, NOME COGNOME e, comunque, l’insufficienza dei riscontri individualizzanti.
Non possono, al contrario, considerarsi decisive per inficiare significativamente la credibilità delle accuse di COGNOME, rivolte nei confronti di NOME COGNOME e quindi di COGNOME quale mandante, le dichiarazioni di NOME COGNOME molto valorizzate dalla difesa per accreditare la pista alternativa al mandato di COGNOME e alla ricostruzione che vede quest’ultimo commettere l’omicidio con il preventivo assenso della famiglia della vittima. Trattasi di dichiarazioni rese da soggetto non sentito nel corso dell’istruttoria dibattimentale e che, per quanto si legge nei provvedimenti messa nella fase cautelare, aveva, comunque, riferito notizie apprese de relato sull’esecuzione dell’omicidio senza fare cenno al mandante quindi al ruolo attribuito, con dichiarazioni convergenti, a COGNOME dai collaboratori COGNOME, COGNOME e COGNOME.
Con riferimento a COGNOME, l’archiviazione, così come l’annullamento dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, sono stati giustificati con l’assenza di riscontri individualizzanti in grado di confermare le accuse di COGNOME, oltre che con dØfaillance della memoria su alcuni eventi (il controllo dei carabinieri), che, tuttavia, non essendo stato oggetto di approfondimento nel corso dell’esame dibattimentale, non sono valorizzabili in sede di cognizione.
La sentenza impugnata ha considerato riscontri utilizzabili ai sensi dell’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., per la loro autonomia ed intrinseca attendibilità, le dichiarazioni, convergenti con le accuse di COGNOME in ordine al ruolo di mandante di COGNOME, rese dai collaboratori NOME COGNOME e NOME COGNOME. Sono state, altresì, apprezzate quali significative conferme del quadro accusatorio le dichiarazioni dei collaboratori COGNOME e COGNOME.
5.1. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, le critiche sollevate dalla difesa sul conto di COGNOME sono state superate con argomentazioni non manifestamente illogiche.
Osservano al riguardo i Giudici del merito che Ł vero che COGNOME, affiliato alla famiglia di Agrigento, oltre a confermare che NOME COGNOME prima di essere ucciso era stato molto vicino al suo gruppo, schierato con COGNOME e COGNOME quindi con l’ala di Cosa nostra contrapposta a quella cui appartenevano l’odierno ricorrente ed il suo accusatore principale, ha riferito notizie sul ruolo di NOME COGNOME quale mandante di cui non era a diretta conoscenza, ma che gli era state riferite da NOME COGNOME nella qualità di esponente di vertice della famiglia agrigentina, a sua volta informato dallo stesso COGNOME. ¨ altrettanto vero, però, che COGNOME ha fornito una ricostruzione, articolata e precisa, delle ragioni e delle modalità con cui aveva appreso le notizie su coinvolgimento di COGNOME nell’omicidio COGNOME in grado di superare le perplessità sollevate dalla difesa rispetto a confidenze apprese. COGNOME, infatti, ha chiarito che la sua fonte, particolarmente attendibile per essere il capo della sua famiglia, era riuscita a ‘strappare’ le informazioni nel corso di un incontro con NOME COGNOME, rappresentante provinciale della famiglia di Caltanissetta rimasto legato a Provenzano, reso necessario dall’esigenza di comprendere la genesi di omicidio di un affiliato come NOME COGNOME il quale negli ultimi anni, nonostante la formale appartenenza al gruppo di Montedoro, si era avvicinato alla famiglia agrigentina. In questa occasione aveva appreso che l’uccisione di COGNOME era stato l’epilogo di uno scontro interno alle famiglie della provincia di Caltanissetta schierate con COGNOME e che COGNOME aveva adottato la deliberazione omicidiaria dopo avere ricevuto l’assenso del cugino della vittima NOME COGNOME, capofamiglia di Montedoro.
5.2. ¨ esente dai profili critici sviluppati nel ricorso la valutazione delle dichiarazioni accusatorie di NOME COGNOME il quale, dopo avere dato minuziosamente conto dell’elevatissimo livello di conoscenze delle vicende interne di Cosa nostra anche nissena ed agrigentina nel periodo di interesse nonchØ dei rapporti personali intrattenuti sia con NOME COGNOME sia con NOME COGNOME, ha riferito di avere appreso che mandante dell’omicidio di NOME COGNOME era stato NOME COGNOME da due diverse fonti, gli affiliati NOME COGNOME e NOME COGNOME esponenti di spicco delle famiglie nissene in strettissimi rapporti con COGNOME.
Correttamente sono state ritenute convergenti con quelle di COGNOME e COGNOME nella parte in cui descrivono il ruolo di ‘scheggia impazzita’ di NOME COGNOME all’interno dell’organizzazione per essere nello stesso tempo affiliato alla famiglia di Montedoro, schierata con COGNOME, ma vicinissimo alle famiglie agrigentine e riesine, schierate con COGNOME. Esse, inoltre, danno conto della rivalità con NOME COGNOME talmente forte che quest’ultimo si era rivolto al cugino nonchØ capofamiglia di Montedoro, NOME COGNOME che gli aveva assicurato il suo intervento.
Nella ricostruzione propinata da COGNOME, pertanto, NOME COGNOME ha ordinato l’omicidio di COGNOME non solo per vendetta ma anche per neutralizzare un pericolo attuale alla sua incolumità personale, oltre che alla compattezza dell’organizzazione.
Nemmeno può essere messa in dubbio l’attendibilità delle fonti dirette di COGNOME: COGNOME e COGNOME Entrambi per il ruolo ricoperto nell’organizzazione e la loro vicinanza a COGNOME erano certamente a conoscenza dei fatti narrati al teste indiretto, peraltro, in circostanze contesti diversi.
COGNOME, al pari di COGNOME e COGNOME, ha fatto riferimento alla mancata opposizione all’omicidio da parte dei vertici della famiglia di appartenenza di NOME COGNOME, a cominciare da NOME COGNOME.
Nota, infine, la Corte distrettuale che nel procedimento relativo all’omicidio COGNOME le dichiarazioni accusatorie di COGNOME nei confronti di NOME COGNOME contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa, sono state ritenute credibili sia intrinsecamente sia estremamente, per le conferme provenienti dal accertamenti balistici e medico legali. ¨ stata, infatti, l’assenza di riscontri individualizzati, ed in particolare di dichiarazioni convergenti di altri collaboratori, a giustificare l’assoluzione di COGNOME e non certo i dubbi sull’attendibilità del suo unico accusatore.
5.3. Immune da vizi sono pure le argomentazioni utilizzate per sostenere la valenza confermativa della piattaforma accusatoria a carico di COGNOME attribuita alle dichiarazioni di collaboratoti di giustizia NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Precisa al riguardo la sentenza impuganta che il disappunto espresso a COGNOME da NOME COGNOME, durante una comune detenzione, nei confronti di NOME COGNOME accusato di ‘stare dietro” l’omicidio di NOME COGNOME, si pone in sintonia con la ricostruzione ammannita da COGNOME perchØ evocativo dall’atteggiamento passivo tenuto dal cugino della vittima, il quale, quanto meno, non si era, opposto all’eliminazione di un affiliato alla sua stessa famiglia mafiosa.
Con riferimento a COGNOME, la Corte di assise di appello ha osservato che il collaboratore, lungi dal riferire una ricostruzione dissonante da quella di COGNOME, COGNOME e COGNOME, ne aveva confermato il nucleo essenziale, collocando NOME COGNOME tra gli affiliati vicini alla famiglia di Agrigento piuttosto che a quella di Montedoro, cui pure formalmente apparteneva, sia riconducendo la sua eliminazione ad una iniziativa della famiglia di Campofranco, ovvero del gruppo con a vertice NOME COGNOME.
Le censure relative ai i reati di detenzione e porto dei fucili utilizzati per consumare l’omicidio, oltre ad essere generiche, non tengono conto della circostanza, data per accertata nel giudizio di merito, che COGNOME aveva commissionato l’omicidio disponendo che fosse eseguito con l’uso di armi da fuoco.
Di quil’inammissibilità de ricorso e la condannadelricorrente al pagamento delle speseprocessuali e,in ragione dei profili di colpa sottesi alla causa dell’inammissibilità,aquello della somma dieuro tremila in favore della Cassadelleammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 30/01/2025
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME