Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 31664 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 31664 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2025
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
PRIMA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
Presidente –
Sent. n. sez. 423/2025
NOME COGNOME
Relatore –
UP – 11/06/2025
NOME COGNOME
NOME COGNOME
NOME COGNOME
R.G.N. 41849/2024
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME NOMECOGNOME nato a Castellammare di Stabia il 31/05/1977
avverso la sentenza del 19/06/2024 della Corte di assise di appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso; uditi i difensori dell’imputato, avvocato NOME COGNOME e NOME COGNOME che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di assise di appello di Napoli ha confermato la sentenza dibattimentale di primo grado, con la quale NOME COGNOME è stato condannato alla pena principale dell’ergastolo, in quanto colpevole di concorso nell’omicidio premeditato di NOME COGNOME, avvenuto il 18
novembre 2006 in Castellammare di Stabia, commesso a fini di agevolazione del clan camorristico COGNOME.
COGNOME venne ucciso nell’androne dello stabile ove abitava, in esito ad agguato sfociato nell’esplosione, al suo indirizzo, di undici colpi di pistola, calibro 9.
Quale esecutore materiale dell’agguato è stato già irrevocabilmente condannato, in separato giudizio, NOME COGNOME (mentre NOME COGNOME deceduto nel corso di questo processo, era qui imputato di concorso agevolatore).
Quale organizzatore dell’agguato è stato già irrevocabilmente condannato, in separato giudizio, NOME COGNOME.
NOME è qui imputato di concorso morale, per avere commissionato il crimine, assieme a NOME COGNOME (per il quale si è proceduto separatamente), spinto da ragioni di rivalità e supremazia criminale sul territorio.
L’affermazione di penale responsabilità è basata, essenzialmente, sulle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese da COGNOME e da COGNOME, nonché da NOME COGNOME altro esponente del clan COGNOME (divenuti tutti collaboratori di giustizia), ritenute dalla Corte di assise di appello credibili, attendibili e adeguatamente convergenti quanto al nucleo essenziale dei narrati.
Una serie di elementi di contesto, di natura spazio-temporale, è addotta a riscontro ulteriore.
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza di secondo grado.
Il ricorso, a ministero dall’avvocato NOME COGNOME, è articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce l’illogicità intrinseca della motivazione e il travisamento della prova, sul punto della penale responsabilità.
Avrebbe errato la Corte di assise di appello ad attribuire patente di credibilità al propalante NOME COGNOME
Il difensore di quest’ultimo aveva, a suo tempo, chiamato COGNOME a deporre, quale teste a discarico, nel giudizio di rinvio allora in corso a carico di Rapicano per l’omicidio COGNOME. COGNOME si era, in detta sede, avvalso della facoltà di non rispondere e quel giudizio si era concluso, anche per tale ragione, con pronuncia di condanna poi divenuta definitiva.
Tale antefatto avrebbe determinato l’insorgenza di una forte animosità tra i due soggetti, velata anche di risvolti minatori, fortemente predittiva, a giudizio
del ricorrente, della natura calunniatoria del narrato di COGNOME nei suoi confronti.
Tale narrato non avrebbe giammai potuto costituire, dunque, conferma del propalato di Cavaliere, propalato dal quale COGNOME, essendone previamente a conoscenza, avrebbe anzi tratto ispirazione per le false dichiarazioni.
Dall’assenza di veridicità del narrato di COGNOME discenderebbero le molteplici discrepanze tra la sua versione dell’occorso e quella di COGNOME su cui il motivo indugia, discrepanze che impedirebbero di integrare efficacemente i narrati in chiave di concludenza probatoria.
Per tale ragione la sentenza di appello avrebbe inteso recuperare, in chiave accusatoria, le dichiarazioni di COGNOME (svalutate dal primo giudice), dando ad esse la parvenza di conferma ulteriore dei propalati accusatori, che tuttavia esse non potrebbero rivestire.
4.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 577, n. 3), cod. pen., e il vizio di motivazione, sull’aggravante della premeditazione.
Non sarebbe giudizialmente precisato il lasso di tempo intercorso tra la fase deliberativa e quella esecutiva dell’omicidio e non sarebbe dunque possibile tracciare, in concreto, la necessaria linea di demarcazione tra l’ipotesi della mera preordinazione delittuosa e quella dell’effettiva premeditazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è infondato, alle stregua delle considerazioni che seguono.
La sentenza impugnata appare ineccepibilmente motivata in punto di penale responsabilità, affermata nella specie nel pieno rispetto dei principi inerenti la valutazione della prova dichiarativa offerta da collaboratori di giustizia, come elaborati dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte.
Conformemente ad essa (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255145-01; Sez. 4, n. 34413 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 27667601; Sez. 1, n. 22633 del 05/02/2014, COGNOME, Rv. 262348-01; Sez. 2, n. 21171 del 07/05/2013, COGNOME, Rv. 255553-01; Sez. 6, n. 16939 del 20/12/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 252630-01; Sez. 5, n. 31442 del 28/06/2006, COGNOME, Rv. 235212-01), la sentenza impugnata non ha mancato di verificare la credibilità soggettiva dei dichiaranti (esaminandone la personalità, le condizioni di vita, i rapporti con i chiamati in reità o correità e le ragioni alla base di essa), l’attendibilità dei loro narrati (l’intrinseca consistenza e le caratteristiche di spontaneità, autonomia, precisione, completezza, coerenza e
costanza), nonché la loro vicendevole capacità di riscontrarsi a livello individualizzante.
Quest’ultima capacità ulteriormente postula (Sez. U, n. 20804 del 2012, Aquilina, cit., Rv. 255143-01) la convergenza delle chiamate in relazione a circostanze rilevanti del thema probandum , la loro autonomia genetica (vale a dire la derivazione da fonti di informazione diverse) e la reciproca indipendenza (nel senso che non esse appaiano frutto di intese fraudolente).
Su tutti i citati aspetti la sentenza impugnata possiede un corredo argomentativo completo e coerente, che resiste a censura sul piano della concludenza probatoria.
Le figure dei collaboratori di giustizia, COGNOME, COGNOME e COGNOME, sono state opportunamente saggiate e la patente di credibilità e attendibilità, loro attribuita, è saldamente ancorata all’attenta, serena e convincente disamina della genesi e dello sviluppo dei rispettivi narrati.
NOME COGNOME è autore di propalazioni, di cui neppure il ricorrente segnala particolari criticità.
Egli si è autoaccusato dell’omicidio COGNOME in epoca in cui ancora nessun elemento indiziario conduceva nella sua direzione. Chiamando contestualmente in correità COGNOME il collaboratore ha reso dichiarazioni in ordine alla fase deliberativa del delitto, riferendo circostanze precise e puntuali di cui aveva conoscenza diretta, avendo egli partecipato personalmente all’incontro in agriturismo in cui, assieme all’imputato e a COGNOME, era stata pianificata l’azione omicida.
Si tratta di una collaborazione che la sentenza impugnata, ineccepibilmente, giudica disinteressata e genuina.
NOME COGNOME reo confesso di numerosi omicidi a lui mai in precedenza attribuiti, ha reso convergenti dichiarazioni a carico di NOME e del suo ruolo di mandante, di fonte propria ed autonoma, che la Corte di assise di appello ha sottoposto a necessario e adeguato vaglio, validandone in modo ragionato l’intrinseca attendibilità. La chiamata in correità è successiva al passaggio in giudicato della sentenza che, all’esito del giudizio di rinvio, condanna COGNOME all’ergastolo per l’omicidio COGNOME, e ciò consente di escludere dal narrato, come già inappuntabilmente rilevato dal giudice a quo , uno scopo utilitaristico o una prospettiva salvifica, che avrebbero potuto indurre il dichiarante al mendacio.
La sentenza di appello non ha poi omesso di valutare, e idoneamente confutare, la principale ragione di doglianza a carico del collaboratore, sterilmente riproposta nell’odierno motivo di ricorso.
La tesi, secondo cui COGNOME sarebbe stato mosso da intento calunniatorio nei confronti dell’imputato, stante la circostanza che NOME, nel procedimento a carico del correo, si sarebbe avvalso della facoltà di non rispondere, è stata presa in accurato esame dal giudice territoriale ed è stata, con argomenti logici e plausibili, da lui giudicata insostenibile. Secondo il motivato apprezzamento della Corte di merito, qui insindacabile, la reazione di COGNOME al comportamento di NOME non fu di spessore tale da giustificare, in proiezione, un intento vendicativo di tale portata, non emergente da alcun altro dato di contesto quale giudizialmente ricostruito.
Del resto, come correttamente rileva anche il Procuratore generale requirente, ove fosse esatta l’impostazione calunniatoria, alimentata dalla lettura ‘a tavolino’ dei verbali del dichiarante Cavaliere ad opera di Rapicano, effettuata allo scopo di punire COGNOME per il suo comportamento processuale, le versioni combacerebbero alla perfezione e le disarmonie, su cui la difesa fa leva per dedurre ulteriormente sull’inattendibilità del dichiarante, non si sarebbero affatto registrate.
Le disarmonie in esame non risultano peraltro tali, nella ragionata valutazione offerta dalla sentenza impugnata, da inficiare il valore probatorio delle rispettive deposizioni.
Trattasi di disarmonie per lo più solo apparenti, e comunque composte o spiegate dalla sentenza stessa con congrua e logica motivazione, priva di vizi rilevabili in questa sede. Per il fatto di investire soltanto elementi circostanziali del fatto, e per il loro carattere non decisivo nei termini esposti, tali divergenze sono state correttamente giudicate non sintomatiche di un’insufficiente affidabilità dei chiamanti (in tal senso ampia giurisprudenza di legittimità: tra le ultime, Sez. 1, n. 17370 del 12/09/2023, dep. 2024, COGNOME, Rv. 286327-01).
Non è certo, dunque, la debolezza dell’impianto probatorio della sentenza di primo grado che possa aver indotto il giudice superiore a valorizzare altresì, in chiave accusatoria, in modo congruo e logico, le ulteriori dichiarazioni a carico del collaboratore COGNOME contro il cui narrato il ricorrente neppure dirige specifiche censure.
La sentenza impugnata, in definitiva, passa indenne il vaglio di legittimità sul punto dell’affermata penale responsabilità, perché la sua trama
argomentativa, priva di aporie logiche, supera e previene le prospettate doglianze, nella rimanente parte incentrate su una rilettura in fatto delle risultanze processuali, non consentita in questa sede.
Il secondo motivo di ricorso, sul punto della premeditazione, è inammissibile, trattandosi di profilo che non era stato oggetto di motivo di appello corrispondente.
10. In conclusione, il ricorso deve essere nel suo complesso rigettato.
Segue la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso l’11/06/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME