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Cottura cibi in carcere: legittime le fasce orarie

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’imposizione di fasce orarie per la cottura cibi in carcere a un detenuto in regime differenziato (ex art. 41-bis) è legittima. La decisione annulla i provvedimenti dei giudici di sorveglianza, che avevano ritenuto la misura discriminatoria. Secondo la Corte, tale regolamentazione rientra nel potere organizzativo dell’amministrazione penitenziaria e non è vessatoria se basata su ragionevoli differenze logistiche e trattamentali rispetto ai detenuti comuni, come la diversa tipologia di celle e le attività svolte.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Cottura cibi in carcere: legittime le fasce orarie per i detenuti

La regolamentazione della vita quotidiana all’interno degli istituti penitenziari solleva spesso questioni complesse, bilanciando i diritti dei detenuti con le esigenze organizzative e di sicurezza. Un tema ricorrente riguarda la cottura cibi in carcere, un’attività che, seppur apparentemente semplice, interseca diritti fondamentali e la potestà gestionale dell’amministrazione. Con la sentenza n. 46304 del 2024, la Corte di Cassazione si è pronunciata sulla legittimità di un ordine di servizio che imponeva specifiche fasce orarie per cucinare, in particolare per un detenuto sottoposto al regime speciale del 41-bis.

I Fatti del Caso

Un detenuto ristretto in regime ex art. 41 bis ord. pen. aveva presentato reclamo contro un ordine di servizio che limitava la possibilità di cuocere i propri cibi a determinate fasce orarie. Sia il Magistrato di Sorveglianza che, in un secondo momento, il Tribunale di Sorveglianza avevano accolto le sue ragioni, ritenendo la misura ingiustificatamente restrittiva e discriminatoria.

Contro questa decisione, il Ministero della Giustizia, tramite l’Avvocatura dello Stato, ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il provvedimento non violasse alcun diritto soggettivo del detenuto. L’amministrazione argomentava che la regolamentazione degli orari era frutto di un ragionevole bilanciamento tra il diritto del detenuto a cucinare e le complesse esigenze logistiche e di sicurezza dell’istituto, evidenziando le differenze strutturali e trattamentali rispetto ai detenuti comuni.

La Decisione della Corte sulla cottura cibi in carcere

La Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Ministero della Giustizia, annullando senza rinvio le precedenti ordinanze. La Corte ha affermato un principio chiaro: l’imposizione di fasce orarie per la cottura dei cibi è una misura legittima che rientra nel potere organizzativo dell’Amministrazione penitenziaria, a condizione che non si traduca in una differenziazione ingiustificata e vessatoria del trattamento.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha fondato la sua decisione su una consolidata giurisprudenza, ribadendo che la regolamentazione delle modalità di esercizio di un diritto non ne costituisce una violazione. Il punto cruciale, secondo i giudici, è verificare se la differenziazione tra detenuti in regime speciale e detenuti comuni sia sorretta da una giustificazione oggettiva e ragionevole.

Nel caso specifico, l’Amministrazione penitenziaria aveva fornito motivazioni valide:

1. Condizioni abitative: I detenuti comuni sono spesso alloggiati in celle che ospitano più persone. La cottura simultanea di cibi creerebbe problemi di salubrità dell’aria e di gestione degli spazi. Al contrario, i detenuti in regime 41-bis sono collocati in celle singole, dove questo problema è inesistente.
2. Attività trattamentali: I detenuti comuni partecipano a una maggiore varietà di attività trattamentali durante la giornata. L’assenza di fasce orarie per cucinare potrebbe creare sovrapposizioni e difficoltà organizzative. Tale criticità non sussiste, o è molto ridotta, per i detenuti in regime speciale, le cui attività sono più limitate.

La Cassazione ha ritenuto che le motivazioni del Tribunale di Sorveglianza fossero solo apparenti, poiché non avevano adeguatamente spiegato perché la scelta dell’amministrazione fosse esorbitante o irragionevolmente discriminatoria. Al contrario, la definizione di fasce orarie, alla luce delle diverse esigenze logistiche, rappresenta un corretto esercizio della potestà organizzativa riservata all’amministrazione, finalizzato a bilanciare i diritti di tutti con il buon funzionamento dell’istituto.

Le Conclusioni

Questa sentenza conferma che l’Amministrazione penitenziaria gode di un margine di discrezionalità nell’organizzare la vita detentiva, inclusa la cottura cibi in carcere. La legittimità di tali regole dipende dalla loro ragionevolezza e dalla presenza di una giustificazione oggettiva. Una differenziazione di trattamento tra diverse tipologie di detenuti non è di per sé discriminatoria, ma lo diventa solo se è arbitraria, priva di fondamento logico-organizzativo e assume un carattere sostanzialmente vessatorio. La decisione sottolinea quindi l’importanza di un’analisi concreta delle condizioni carcerarie per valutare la legittimità delle normative interne.

È legittimo per un carcere imporre fasce orarie per la cottura dei cibi?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che è legittima la disposizione che stabilisce fasce orarie per la cottura dei cibi, in quanto rientra nel potere organizzativo dell’Amministrazione penitenziaria volto a bilanciare le diverse esigenze dell’istituto.

Una regola sulle fasce orarie per cucinare può essere diversa per i detenuti in regime 41-bis rispetto ai detenuti comuni?
Sì, una differenziazione è legittima se basata su giustificazioni concrete e ragionevoli. Nel caso esaminato, le diverse condizioni strutturali (celle singole vs. celle multiple) e le diverse modalità del trattamento penitenziario sono state ritenute motivazioni valide per giustificare regole diverse.

Quando una regola sulla cottura dei cibi in carcere diventa illegittima?
Una regola diventa illegittima quando si traduce in una differenziazione ingiustificata e priva di motivazione del regime penitenziario, assumendo un carattere “sostanzialmente vessatorio” e non essendo supportata da concrete esigenze organizzative.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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