Costituzione di Parte Civile: Quando Sostituisce la Querela?
Un recente provvedimento della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale in materia di procedura penale, di grande rilevanza pratica per vittime di reati e avvocati. La questione centrale riguarda il valore della costituzione di parte civile come atto equipollente alla querela. Con l’ordinanza in esame, i giudici di legittimità hanno confermato che la volontà di ottenere un risarcimento nel processo penale implica anche la volontà di vedere punito il colpevole, integrando così la condizione di procedibilità.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato alla Corte di Cassazione da un soggetto condannato in primo e secondo grado per il reato di furto aggravato. La difesa dell’imputato sollevava diverse questioni, ma la più rilevante dal punto di vista giuridico era quella di natura procedurale. Secondo il ricorrente, l’azione penale non avrebbe dovuto essere esercitata a causa della mancanza di una formale querela da parte della persona offesa, requisito essenziale per la procedibilità di alcuni reati.
La Questione Giuridica sulla Costituzione di parte civile
Il cuore della questione risiede nella distinzione e, al contempo, nella sovrapposizione tra due istituti: la querela e la costituzione di parte civile. La prima è un atto con cui la vittima chiede espressamente allo Stato di perseguire penalmente l’autore del reato. La seconda è l’atto con cui la vittima si inserisce nel processo penale, già avviato, per chiedere il risarcimento del danno subito.
La difesa sosteneva che la semplice denuncia iniziale e la successiva costituzione in giudizio non potessero sanare l’assenza della querela. La Corte d’Appello, tuttavia, aveva già respinto questa tesi, ritenendo che l’essersi costituiti parte civile fosse un’azione sufficiente a manifestare la volontà punitiva della vittima.
L’Orientamento Consolidato della Giurisprudenza
La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha sottolineato che la sua decisione si allinea a un insegnamento giurisprudenziale ormai consolidato. La volontà punitiva della persona offesa, infatti, non richiede formule sacramentali o atti specifici, ma può essere desunta legittimamente anche da atti che, pur non contenendo una richiesta esplicita di punizione, la presuppongono in modo inequivocabile. La costituzione di parte civile è considerata l’esempio più lampante di tale manifestazione di volontà.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte ha smontato i motivi del ricorso uno per uno.
In primo luogo, ha chiarito che la persistente partecipazione al processo come parte civile, anche dopo l’introduzione della procedibilità a querela per reati che prima ne erano sprovvisti, dimostra in modo inequivocabile l’intento della vittima di ottenere non solo un risarcimento, ma anche la punizione del colpevole. Questo atto integra e soddisfa pienamente la condizione di procedibilità richiesta dalla legge.
In secondo luogo, gli altri motivi del ricorso sono stati giudicati manifestamente infondati e generici. Le censure relative alla quantificazione della pena sono state respinte perché il ricorrente non si era confrontato con la motivazione della corte territoriale, che aveva adeguatamente giustificato lo scostamento dal minimo edittale. Allo stesso modo, le critiche sul valore probatorio delle dichiarazioni della persona offesa sono state liquidate come un tentativo inammissibile di ottenere dalla Cassazione una nuova valutazione dei fatti, attività preclusa in sede di legittimità.
Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche
La decisione in commento rafforza la certezza del diritto e offre una tutela sostanziale alle persone offese. Stabilisce chiaramente che l’attivismo processuale della vittima, concretizzato nella costituzione di parte civile, ha un doppio valore: da un lato mira a ottenere un giusto risarcimento, dall’altro sana eventuali dubbi sulla volontà di procedere penalmente. Questa interpretazione è particolarmente rilevante alla luce delle recenti riforme che hanno ampliato il novero dei reati perseguibili a querela, poiché garantisce che la volontà della vittima, se espressa attraverso atti concreti e concludenti, sia sempre tutelata, evitando che meri formalismi possano ostacolare l’esercizio della giustizia penale.
La costituzione di parte civile può sostituire una querela mancante?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la persistente costituzione di parte civile manifesta in modo inequivocabile la volontà punitiva della persona offesa, integrando e soddisfacendo la condizione di procedibilità anche in assenza di una querela formale.
Perché gli altri motivi di ricorso sono stati respinti?
Sono stati dichiarati inammissibili perché considerati mere censure sui fatti e sul merito della decisione. Il ricorrente chiedeva alla Corte di Cassazione di rivalutare elementi come la quantificazione della pena e il valore delle dichiarazioni della vittima, attività che non rientrano nelle competenze della Corte di legittimità.
Cosa significa che un ricorso è “inammissibile”?
Significa che l’appello non può essere esaminato nel merito dalla Corte. Ciò accade quando il ricorso non rispetta i requisiti di legge o, come in questo caso, quando solleva questioni di fatto che non sono di competenza della Corte di Cassazione, la quale si occupa solo della corretta applicazione del diritto.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31538 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31538 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 19/06/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte d’appello di Venezia ne ha confermato la condanna per il reato di furto aggravato.
Considerato il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. In tal senso va osservato come la sentenza ha riconosciuto che quella proposta dal Gani Samir sia una mera denuncia e non l’ha dunque considerata ai fini dell’assolvimento della condizione di procedibilità. Correttamente invece la Corte ha ritenuto irrilevante la proposizione della querela alla luce dell’avvenuta costituzione come parte civile della persona offesa. Affermazione che corrisponde al consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità per cui la persistente costituzione di parte civile, coltivata anche do l’introduzione della procedibilità a querela per reati che all’epoca della loro consumazione erano procedibili invece d’ufficio, determina la piena sussistenza dell’istanza di punizione e, conseguentemente, l’integrazione della condizione di procedibilità, posto che la volontà punitiva della persona offesa, non richiedendo formule particolari, può essere legittimamente desunta anche da atti che non contengono la sua esplicita manifestazione (ex multis Sez. 3, n. 27147 del 09/05/2023, S., Rv. 284844; Sez. 3, n. 19971 del 09/01/2023, COGNOME, Rv. 284616; Sez. 2, n. 28305 del 18/06/2019, COGNOME, Rv. 276540; Sez. 5, n. 44114 del 10/10/2019, Giainno, Rv. 277432).
Considerato che il secondo motivo contiene mere censure in fatto, tese a sollecitare una rivalutazione del merito della decisione della Corte territoriale, che peraltro ha giustificato lo scostamento dal minimo edittale della pena irrogata in concreto, motivazione con la quale il ricorrente non si è confrontato.
Considerato che egualmente generiche e versate in fatto sono anche le censure proposte con il terzo motivo di ricorso, nel quale in maniera assertiva si nega valore alle dichiarazioni della persona offesa, che i giudici del merito hanno peraltro valorizzato ai fin della sussistenza della configurabilità del danno e non della sua quantificazione, effettuata in via equitativa, e valorizzando altresì le oggettive circostanze del fatto per come accertate, ritenendole logicamente impliciti riscontri alle suddette dichiarazioni.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 16/5