Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 20153 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 20153 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile: NOMECOGNOME nata a Collalto Sabino il 01/09/1941 nel procedimento a carico di: NOMECOGNOME nato a Guidonia Montecelio il 21/10/1964
avverso la sentenza del 04/12/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore dell’imputato COGNOME Davide, la quale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile o, in subordine, sia rigettato;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 04/12/2024, la Corte d’appello di Roma riformava la sentenza del 15/12/2023 del Tribunale di Tivoli con la quale NOME COGNOME era stato condannato alla pena di otto mesi di reclusione ed € 200,00 di multa per il reato di appropriazione indebita ai danni di NOME COGNOME oltre che al
risarcimento del danno in favore della stessa NOME COGNOME che si era costituita parte civile.
La Corte d’appello di Roma, in particolare: 1) escludeva la parte civile NOME COGNOME per la ragione che la medesima domanda sarebbe stata da lei proposta anche davanti al giudice civile, con la conseguente revoca delle statuizioni civili che erano state adottate dal Tribunale di Tivoli in favore della stessa NOME COGNOME; 2) dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato NOME COGNOME per essere il reato a lui ascritto estinto per prescrizione.
Avverso tale sentenza del 04/12/2024 della Corte d’appello di Roma, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore avv. NOME COGNOME la parte civile NOME COGNOME affidato a un unico motivo, con il quale lamenta la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla menzionata esclusione della parte civile e alla conseguente revoca delle statuizioni civili che erano state adottate dal Tribunale di Tivoli.
Dopo avere affermato che la causa che pendeva davanti al giudice civile era una causa di divisione dell’eredità di NOME COGNOME, madre della persona offesa NOME COGNOME e nonna dell’imputato (che è figlio di NOME COGNOME, sorella della persona offesa), la ricorrente deduce che «non doveva essere esclusa la parte civile», in quanto, «pur essendovi coincidenza tra le parti delle due domande», «sul piano oggettivo le domande avevano contenuto diverso, atteso che l’azione civile in sede penale aveva ad oggetto unicamente i danni derivanti dal reato di appropriazione indebita, mentre la domanda proposta nel giudizio civile riguardava la divisione giudiziale».
Secondo la ricorrente, la Corte d’appello di Roma avrebbe «omesso di valutare gli atti depositati in primo grado ove risultava con estrema chiarezza che non vi era alcuna duplicazione di pretese economiche da parte della costituita parte civile».
Dopo avere esposto alcune considerazioni relative alla portata del vizio della motivazione nelle sue diverse declinazioni, la ricorrente rappresenta che, secondo la giurisprudenza di legittimità, la revoca della costituzione di parte civile, di cu all’art. 82 cod. proc. pen., opererebbe, nel caso in cui l’azione risarcitoria venga promossa anche davanti al giudice civile da parte del soggetto danneggiato che si sia già costituito parte civile, «solo quando sussista una compiuta coincidenza fra le due domande, trattandosi di disposizione finalizzata ad escludere la non consentita duplicazione dei giudizi». Coincidenza che non si configurerebbe là dove «non vi sia perfetta identità del petitum e della causa petendi».
Alla luce di ciò, la Corte d’appello di Roma «non avrebbe dovuto ritenere una duplicazione dei giudizi, e ai sensi dell’art. 82 cod. proc. pen. ed escludere la parte civile».
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato, nei termini che seguono.
Si deve anzitutto ribadire il principio, affermato dalla Corte di cassazione, secondo cui è ammissibile il ricorso per cassazione della parte civile avverso il capo della sentenza d’appello con il quale, in accoglimento dello specifico gravame proposto dall’imputato, siano state disposte l’esclusione della medesima parte civile e l’eliminazione delle statuizioni in suo favore della decisione di primo grado (Sez. 4, n. 4101 del 06/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 255264-01; Sez. 1, n. 11925 del 26/02/2003, COGNOME, Rv. 223680-01).
La Corte di cassazione ha infatti chiarito che, in tale ipotesi, non può trovare applicazione il principio dell’inoppugnabilità delle ordinanze che escludono o ammettono la costituzione di parte civile e, nel caso della esclusione, anche della sentenza emessa all’esito del relativo procedimento, dal momento che detto principio non può operare se non nel presupposto che l’esclusione sia stata disposta, appunto, con un’ordinanza e non invece con la sentenza, così come necessariamente avviene quando, sulla presenza della parte civile nel processo, ammessa nel giudizio di primo grado conclusosi con la condanna dell’imputato, sia stata da quest’ultimo formulata apposita doglianza al giudice d’appello.
Tanto ribadito, il Collegio ritiene che la motivazione sulla base della quale la Corte d’appello di Roma ha ritenuto l’identità delle due azioni promosse da NOME COGNOME in sede civile e in sede penale sia manifestamente illogica.
A tale proposito, si deve osservare che l’identità delle azioni deve essere accertata alla stregua dei comuni canoni di identificazione di esse, i quali sono costituiti dalle personae, dal petitum e dalla causa petendi.
Nel caso di specie, si deve rilevare che l’imputato NOME COGNOME era accusato di essersi appropriato, dopo la morte della nonna NOME COGNOME, «di somme di denaro la cui quota-parte sarebbe dovuta invece spettare a titolo ereditario anche alla coerede COGNOME NOME», «preleva dal conto corrente intestato alla de cuius» (così il capo d’imputazione). Pertanto, esercitando l’azione civile nel processo penale, NOME COGNOME aveva evidentemente chiesto il risarcimento del danno che le era derivato dall’indebita appropriazione, da parte dell’imputato NOME COGNOME della quota-parte delle somme presenti sul conto corrente intestato alla de cuius NOME COGNOME che le spettava in quanto erede della stessa COGNOME.
Come è stato rilevato dalla Corte d’appello di Roma, con l’atto di citazione davanti al Tribunale civile di Tivoli, NOME COGNOME aveva citato in giudizio anche
l’imputato NOME COGNOMEoltre a sua madre NOME COGNOME e a sua sorella) per ottenere la divisione giudiziale anche «delle somme di cui al conto corrente
con assegnazione in favore della
BancoPosta intestato a nome della de cuius,
COGNOME NOME di una quota pari alla metà».
Pertanto, mentre l’azione di divisione ereditaria, esercitata da NOME
Recchia in sede civile nei confronti dei partecipanti alla comunione ereditaria, era diretta allo scioglimento della stessa comunione e all’attribuzione delle quote
ereditarie, l’azione esercitata dalla medesima NOME COGNOME in sede penale era diretta a ottenere il risarcimento del danno che derivava dal fatto che, a
prescindere dalla quota ereditaria che le sarebbe stata riconosciuta nel diverso giudizio civile, il nipote NOME COGNOME si era indebitamente appropriato di parte
dei beni che erano caduti in successione.
Alla luce di ciò, la decisione della Corte d’appello di Roma di ritenere l’identità
delle due azioni indicate risulta manifestamente illogica, tenuto conto del fatto che, nonostante la coincidenza delle parti (in particolare, per quanto qui rileva, NOME COGNOME e NOME COGNOME), le stesse azioni risultano, per quanto si è detto, sostanzialmente nettamente diverse.
La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per un nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente agli effetti civili, con rinvio per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello. Così deciso il 23/04/2025.