Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 2383 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 2383 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nata a CALI VALLE (COLOMBIA) il 02/11/1963; COGNOME NOME nato a NAPOLI il 27/09/1947; avverso la sentenza del 26/04/2024 della Corte d’appello di Roma Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori, Avv.ti NOME COGNOME per COGNOME NOMECOGNOME e NOME COGNOME per COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
1.NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrono, con distinti atti ma proponendo identici motivi, per l’annullamento della sentenza del 26 aprile 2024 della Corte di appello di Roma che, in riforma della sentenza del 16 settembre
2021 del locale Tribunale, pronunciata all’esito di giudizio ordinario e da loro impugnata, ha dichiarato non doversi procedere in ordine ai reati di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, commessi il 26/09/2011 (capi A e C) e il 27/09/2012 (capi B e D), perché estinti per prescrizione, e ha rideterminato la pena per i medesimi reati commessi il 24/09/2013 (capo E) ed il 26/09/2013 (capo F) in due anni e un mese di reclusione ciascuno, confermando nel resto.
1.1.Con il primo motivo deducono la violazione degli artt. 355 e 526 cod. proc. pen., e 4 d.lgs. n. 74 del 2000, in relazione alla inutilizzabilità degli atti di indagine impiegati per la quantificazione dell’imposta evasa, e vizio di motivazione omessa, apparente e contraddittoria sul punto.
Si tratta, affermano, della documentazione extracontabile rinvenuta dalla Guardia di Finanza a seguito dell’esecuzione della perquisizione dei locali del bar Antico Caffè di Marte disposta dal Pubblico ministero nell’ambito del diverso procedimento iscritto nei loro confronti per i reati di cui agli artt. 648-bis e 648ter cod. pen. Si tratta di acquisizione cui non ha fatto seguito, lamentano, la convalida del sequestro pur necessaria in considerazione della assoluta genericità del decreto di perquisizione. Tale documentazione è stata l’unica utilizzata per la quantificazione dei ricavi. Sennonché, proseguono, agli atti del processo è presente il solo decreto di perquisizione che dà atto del sequestro di documentazione che non risulta essere quella valorizzata per la quantificazione dell’evasione e del superamento delle soglie di punibilità. La questione posta in appello, cui la Corte territoriale non ha dato risposta, è quella relativa alla inutilizzabilità di documentazione mai acquisita al processo; quella allegata al PVC, annotano, non corrisponde a quella acquisita all’esito della perquisizione.
1.2.Con il secondo motivo deducono la violazione dell’art. 4 d.lgs. n. 74 del 2000 in relazione al superamento delle soglie di punibilità anche in considerazione del mancato riconoscimento di costi extra, nonché il vizio di motivazione illogica e carente sul punto e violazione della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio. La Corte di appello, affermano, ha ritenuto l’inesistenza di costi sulla base della assenza di allegazioni sul punto, bypassando completamente le dichiarazioni del testimone della polizia giudiziaria che aveva invece fornito precise indicazioni sul punto in base alla documentazione extracontabile che deve essere presa in considerazione anche se non annotata nella contabilità dell’impresa.
1.3.Con il terzo motivo deducono la violazione del divieto di reformatio in peius essendo stata indicata in appello una pena-base superiore a quella indicata in primo grado.
1.4.Con il quarto motivo deducono l’omessa motivazione in ordine al rigetto delle censure proposte con l’appello sulla quantificazione degli importi soggetti a confisca, la violazione dell’art. 240 cod. pen. per essere state considerate come soggette a confisca diretta le somme di danaro conservate sui conti correnti, le
partecipazioni societarie e le disponibilità finanziarie dei due imputati persone fisiche e l’omessa motivazione sul punto, l’omessa determinazione (e motivazione) degli importi soggetti a confisca all’esito della declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi da A a D.
1.5.Con il quinto motivo deducono l’omessa motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
CONSIDERATO IN DIRITTO
2.1 ricorsi sono fondati.
3.1 ricorrenti rispondono dei residui reati loro ascritti perché, in concorso tra loro, nella rispettiva qualità di rappresentante legale la COGNOME, di amministratore di fatto il COGNOME, delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, al fine di evadere le imposte sui redditi, avevano indicato nelle dichiarazioni annuali delle società relative a dette imposte elementi attivi per ammontare inferiore a quello effettivo. I residui fatti sono contestati come commessi il 24/09/2013 ed il 26/09/2013.
3.1. La GLYPH rubrica GLYPH ipotizza GLYPH l’omessa GLYPH documentazione, GLYPH registrazione e contabilizzazione degli incassi relativi al servizio di ristorazione reso alla clientela analiticamente ricostruiti in base alla contabilità finanziaria “in nero” parallela a quella ufficiale riferita alle singole unità locali nelle quali l’attività veniva esercitata contabilità tenuta con sistemi informatici, riepilogata in appositi prospetti mensili ed annuali e rinvenuta nel corso della perquisizione dell’unità all’insegna “RAGIONE_SOCIALE“, sita in Roma.
3.2.Stando alla lettura della sentenza COGNOME impugnata, si trattava di documentazione reperita a seguito di perquisizione disposta dal medesimo Ufficio del Pubblico ministero nell’ambito di altro procedimento iscritto nei confronti degli odierni ricorrenti per i delitti di cui agli artt. 110, 81, secondo comma, 648-bis, 648-ter cod. pen.. Tale documentazione è confluita nel fascicolo delle indagini relative ai delitti oggetto di odierna regiudicanda insieme con quella già acquisita con il processo verbale di constatazione.
4.Tanto premesso, il primo motivo è manifestamente infondato.
4.1.Secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, l’omessa convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria non comporta l’inutilizzabilità a fini probatori della cosa sequestrata, nonostante la mancata convalida del sequestro, avendo detta convalida la funzione di legittimare la sottrazione del bene sottoposto a sequestro alla sfera di appartenenza del
proprietario o di chi ne abbia la disponibilità, e non già di consentire l’utilizzazione processuale del bene in parola a fini probatori (Sez. 4, n. 14854 del 27/02/2003, COGNOME, Rv. 224391 – 01; Sez. 6, n. 4328 del 02/03/1999, COGNOME, Rv. 213659 01; Sez. 3, n. 3625 del 21/12/1998, dep. 1999, Rv. 212522 – 01; Sez. 3, n. 1030 del 05/12/1997, dep. 1998, COGNOME, Rv. 209506 – 01; Sez. 1, n. 1708 del 10/01/1995, COGNOME, Rv. 200974 – 01; Sez. 6, n. 21744 del 14/04/2021, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 1, n. 32390 del 14/12/2016, dep. 2017, COGNOME, non mass. sul punto; Sez. 7, n. 46470 del 04710/2016, COGNOME, non mass.; Sez. 4, n. 44126 del 10/07/2014, NOMECOGNOME non mass. sul punto; Sez. 1, n. 18438 del 28/04/2006, COGNOME, non mass. sul punto).
4.2.A maggior ragione, tale principio si applica nel processo ad quem nel quale il giudice non può sindacare la decisione del pubblico ministero del procedimento a quo di ritenere non necessaria la convalida del sequestro della documentazione reperita ed acquisita in base al decreto di perquisizione locale, dovendo tale giudice limitarsi a valutare la ammissibilità, rilevanza e utilizzabilità della prova documentale ai sensi degli artt. 187 e 191 cod. proc. pen.
4.3. Al riguardo va ricordato che l’inosservanza delle formalità prescritte dalla legge ai fini della legittima acquisizione della prova nel processo non è, di per sé, sufficiente a rendere quest’ultima inutilizzabile, per effetto di quanto disposto dal primo comma dell’art. 191 cod. proc. pen.. Ed invero, quest’ultima norma, se ha previsto l’inutilizzabilità come sanzione di carattere generale, applicabile alle prove acquisite in violazione ai divieti probatori, non ha, per questo, eliminato lo strumento della nullità, in quanto le categorie della nullità e dell’inutilizzabilità, pur operando nell’area della patologia della prova, restano distinte e autonome, siccome correlate a diversi presupposti, la prima attenendo sempre e soltanto all’inosservanza di alcune formalità di assunzione della prova – vizio che non pone il procedimento formativo o acquisitivo completamente al di fuori del parametro normativo di riferimento, ma questo non rispetta in alcuni dei suoi peculiari presupposti – la seconda presupponendo, invece, la presenza di una prova “vietata” per la sua intrinseca illegittimità oggettiva, ovvero per effetto del procedimento acquisitivo, la cui manifesta illegittimità lo pone certamente al di fuori del sistema processuale (Sez. U, n. 5021 del 27/03/1996, Sala, Rv. 204644 – 01).
4.4.Peraltro, non risulta (i ricorrenti non lo deducono nemmeno) che essi abbiano mai chiesto la restituzione della documentazione sequestrata nell’ambito sia del procedimento nell’ambito del quale è stata rinvenuta che in quello nel quale è stata utilizzata.
5.11 secondo motivo è fondato.
5.1.La Corte di appello ha escluso l’esistenza di costi non contabilizzati utilizzabili ai fini della determinazione dell’imponibile e dell’imposta evasa (e dunque dell’eventuale superamento della soglia di punibilità) sul rilievo che tali costi possono essere presi in considerazione solo in presenza di allegazioni difensive fattuali da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza; tali allegazioni, per i Giudici distrettuali, non esistono.
5.2.1 ricorrenti se ne dolgono, fondatamente.
5.3.Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, il giudice deve accertare e determinare l’ammontare dell’imposta evasa attraverso una verifica che, pur non potendo prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per quantificare l’imponibile, subisce le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale; con la conseguenza che occorre tenere conto dei costi non contabilizzati solo in presenza (quanto meno) di allegazioni fattuali, da cui desumere la certezza o comunque il ragionevole dubbio della loro esistenza (Sez. 5, n. 40412 del 13/06/2019, COGNOME, Rv. 277120 – 01; Sez. 3, n. 8700 del 16/01/2019, COGNOME, Rv. 275856 – 01; Sez. 3, n. 37094 del 29/05/2015, COGNOME, Rv. 265160 – 01).
5.4.È stato precisato che, ai fini del superamento delle soglie normative di punibilità nei reati tributari, le spese e gli oneri afferenti i ricavi e gli altri provent concorrono a formare il reddito, sono ammessi in deduzione se e nella misura in cui risultano da elementi certi e precisi anche quando non sono indicati nelle scritture contabili (Sez. 3, n. 53907 del 01/06/2016, Caterina, Rv. 268717 – 01; Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678 – 01 che ha affermato che il giudice ha l’onere di procedere ad una disamina analitica dei documenti prodotti per la quantificazione di costi la cui esistenza è rilevabile agli atti, anche in caso di irregolarità macroscopica, delle scritture contabili).
5.5.Va al riguardo ribadito che quando il reddito imponibile viene ricostruito incrociando la contabilità di impresa con quella “in nero”, è preciso onere del contribuente indicare gli ulteriori costi non contabilizzati effettivamente sostenuti per il conseguimento dei maggiori ricavi a loro volta non contabilizzati (Cass. civ., Sez. 5, n. 16198 del 27/10/2001, Rv. 551333; Cass. civ. Sez. 5, n. 11514 del 07/09/2001, Rv. 549206; Cass. civ. Sez. 5, n. 12330 del 08/10/2001, Rv. 549549; Cass. civ. Sez. 5, n. 1709 del 26/01/2007, Rv. 595661; Cass. civ. Sez. 5, n. 11205 del 16/05/2007, Rv. 599458; Cass. civ. Sez. 5, n. 21184 del 08/10/2014, Rv. 632824; Cass. civ. Sez. 6-5, ord. n. 27458 del 09/12/2013, Rv. 629460; cfr. altresì Cass. civ. Sez. 5, n. 5192 del 04/03/2011, 617112; Cass. civ. Sez. 5, n. 2935 del 13/02/2015, Rv. 634377; Cass. civ. Sez. 5, n. 20679 del 01/10/2014, Rv. 632502). Non sussiste, infatti, alcuna automatica correlazione tra ricavi non contabilizzati ed eventuali costi anche essi (in tesi) non contabilizzati. La mancata contabilizzazione di ricavi, insomma, non necessariamente comporta che i costi
75P
sostenuti per ottenerli non siano stati a loro volta annotati nei registri. Le spese e gli altri componenti negativi, infatti, concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza solo se certi o comunque determinabili in modo obiettivo (art. 109, comma 1, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917); non possono essere puramente e semplicemente presunti. Il giudice penale non è certamente vincolato ai risultati degli accertamenti effettuati ai sensi dell’art. 39, d.P.R. n. 600 del 1973 né ai criteri di giudizio previsti dalla legislazione fiscale e civilistica, essendo suo preciso dovere ricostruire in modo autonomo e con le regole proprie del processo penale i fatti che danno luogo a responsabilità penale (Sez. 3, n. 2246 del 01/02/1996, COGNOME, Rv. 205395; Sez. 3, n. 7078 del 23/01/2013, Piccolo, Rv. 254852). Ciò non significa che il giudice penale possa prescindere dalle specifiche regole stabilite dalla legislazione fiscale per determinare e quantificare l’imponibile dell’imposta sui redditi e quella sul valore aggiunto (e dunque l’imposta evasa): cambia la regola di giudizio, non la regola da applicare. La diversa regola di giudizio può condizionare l’ambito di applicabilità della norma tributaria, ma impone comunque al giudice penale di tenerne conto. Sicché anche ai fini della ricostruzione dell’imposta evasa ai sensi dell’art. 1, lett. f), d.lgs. n. 74 del 2000 è necessario attingere alle regole stabilite dalla normativa fiscale ma con le limitazioni che derivano dalla diversa finalità dell’accertamento penale, per cui i costi concorrono sì alla determinazione dell’imponibile purché ne sussista la certezza o, come si vedrà, anche solo il ragionevole dubbio circa la loro esistenza. Poiché l’ammontare della «imposta evasa» è elemento costitutivo del reato di cui all’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000, della relativa prova deve farsi carico il Pubblico Ministero il quale, dovendo svolgere accertamenti anche su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini, deve individuare i costi sostenuti per il conseguimento dei maggiori ricavi che siano stati comunque accertati, senza attendere che a ciò provveda la persona sottoposta alle indagini. E’ necessario, però, che di tali costi non contabilizzati sussista la prova, diretta o indiziaria. Sicché, ove a fronte dell’esistenza certa di ricavi non dichiarati la persona sottoposta alle indagini lamenti la mancata deduzione dei costi ad essi inerenti, deve provarne l’esistenza (artt. 187 e 190, cod. proc. pen.), o comunque allegare i dati dai quali l’esistenza di tali costi poteva essere desunta e dei quali né il Pubblico Ministero, né il Giudice hanno tenuto conto. Non è perciò legittimo, nemmeno in sede penale, presumere l’esistenza di costi deducibili in assenza quantomeno di allegazioni fattuali che rendano almeno legittimo il dubbio in ordine alla loro sussistenza (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 37131 del 09/04/2013, Siracusa, Rv. 257678). Il criterio di giudizio imposto dall’art. 533, comma 1, cod. proc. pen., investe tutti gli elementi costitutivi del reato, sicché ove sussista il ragionevole dubbio circa il superamento delle soglie di punibilità indicate dall’art. 4, d.lgs. n. 74 del 2000 (e dunque l’ammontare dell’imposta evasa), il giudice deve affermare l’insussistenza del
fatto; purché si tratti di un dubbio “ragionevole”, fondato cioè su fatti verificabili, non su mere congetture, ipotesi, astrazioni ed automatismi.
5.6.Tali principi, dei quali i Giudici di merito hanno dichiaratamente fatto applicazione, non tengono in considerazione la circostanza, pacificamente emersa nel caso di specie e oggetto di specifica devoluzione in appello, della esistenza, nella contabilità “in nero”, anche dei costi di gestione delle attività, costi dei quali, peraltro, la stessa Agenzia delle Entrate aveva tenuto conto ai fini del separato esercizio della pretesa erariale. Nell’appello, in particolare, si faceva riferimento alle spese di gestione sostenute dalle società Al RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE nell’anno di imposta 2012 così come risultanti dal PVC.
5.7.il Tribunale aveva esaminato i costi non annotati nella contabilità delle due società ed aveva concluso per la loro rilevanza ed esistenza solo in relazione alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE ma solo per l’anno di imposta 2010 perché solo per quest’anno di imposta «esistono allegazioni fattuali pertinenti ed esaustive sulla probabile esistenza di costi non contabilizzati, ricavate dalla contabilità in nero», sul rilievo che «i prospetti extracontabili, in questi due casi, si presentano dettagliati ed esaustivi perché riepilogano, mese per mese, i ricavi, le spese ed il guadagno (mensile ed annuale) conseguito dalle due società (…) Non deve sfuggire che, per questi due casi, diversamente dagli altri oggetto di verifica, l’Agenzia delle Entrate ha calcolato in modo sintetico i maggiori costi non contabilizzati, attingendo per l’appunto alla documentazione extra contabile citata (…) Al contrario, per le altre società e/o annualità, l’assenza di allegazioni fattuali complete – in quanto la documentazione extra contabile delle spese è solo per poche mensilità, alcune volte anche per annualità d’imposta diversa da quella in verifica, oppure per una sola unità locale – non consente di supporre in modo ragionevole e non arbitrario maggiori costi non contabilizzati».
5.8.Con l’atto di appello i ricorrenti avevano stigmatizzato la decisione del Tribunale ed avevano sollecitato la Corte territoriale a tener conto anche dei costi utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per determinare l’imposta dovuta per l’anno 2012, sicché appare francamente poco chiara (e certamente insufficiente) la risposta della Corte di appello secondo cui di tali costi non v’è prova dell’esistenza in assenza di allegazioni fattuali in tal senso. In realtà, i ricorrenti si erano limitati a indicare e a produrre gli atti di provenienza erariale che dell’esistenza di tali costi davano conto, sicché, la questione posta riguardava, semmai, non l’esistenza di tali costi, ma l’estensione del metro di giudizio del primo Giudice anche all’anno di imposta 2012.
6.È invece infondato il terzo motivo.
6.1.11 Tribunale aveva ritenuto il vincolo della continuazione tra i reati e più grave quello rubricato al capo D in ragione dell’entità dell’imposta evasa. Ha così
indicato la pena-base per detto reato nella misura di due anni di reclusione, aumentata di due mesi per il capo A, di altri due mesi per il capo B, di un mese ciascuno per i capi C, E ed F, per un totale di due anni e sette mesi di reclusione.
6.2.La Corte di appello, avendo dichiarato l’estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi A, B, C e D, ha individuato in quello di cui al capo E quello più grave rispetto al residuo capo F ed ha applicato, per esso, la stessa pena base di due anni di reclusione già indicata per il capo D.
6.3.1 ricorrenti lamentano la violazione del divieto di reformatio in peius perché la Corte di appello avrebbe dovuto applicare una pena non superiore a quella di un anno e otto mesi di reclusione, indicata in primo grado come quella ascritta ai capi C, E ed F.
6.4.11 rilievo è infondato.
6.5.Secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, nel caso di giudizio di rinvio a seguito di annullamento della condanna per il solo reato più grave, il giudice di rinvio, nel determinare la pena per il reato residuo, meno grave, non è vincolato alla quantità di pena già individuata quale aumento “ex” art. 81, comma secondo, cod. pen., ma, per la regola del divieto di “reformatio in peius”, non può irrogare una pena che, per specie e quantità, costituisca un aggravamento di quella individuata, nel giudizio precedente all’annullamento parziale, quale base per il computo degli aumenti a titolo di continuazione. (Sez. 2, n. 2692 del 09/12/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284301 – 01, che ha escluso la violazione del divieto in un caso in cui il giudice di rinvio aveva aumentato la pena per il reato satellite, determinandola però in misura eguale alla pena base per il reato più grave, dichiarato estinto per prescrizione).
6.6.Dunque, poiché è mutata la struttura del reato continuato (essendo la regiudicanda satellite divenuta quella più grave), il giudice dell’appello non è vincolato (né potrebbe esserlo sul piano logico) alla frazione di pena applicata dal primo giudice a titolo di continuazione per il reato all’epoca satellite ed oggi più grave. Quel che conta è che il giudice dell’appello non irroghi per il reato ritenuto più grave in appello una pena superiore a quella applicata in primo grado per il reato più grave dichiarato estinto per prescrizione.
6.7.Nel caso di specie, la pena applicata è uguale a quella applicata in primo grado per il reato più grave; identica è la frazione di pena applicata per il residuo reato satellite di cui al capo F.
7.11 quarto motivo è fondato.
7.1.11 Tribunale aveva disposto la confisca dei beni degli imputati fino alla concorrenza della somma di euro 2.837.513,83, equivalente al profitto dei reati oggetto di condanna e pari all’importo delle imposte evase (come rideterminate dal primo Giudice). Il Tribunale aveva altresì dato atto che a carico delle società
Al Presidente Sri e RAGIONE_SOCIALE si era proceduto al sequestro delle disponibilità liquide giacenti sui conti correnti per un importo complessivo di euro 98.913,89. Non si è tenuto conto, in primo grado, del pagamento di alcune rate del piano di ammortamento concordato con l’Erario per l’impossibilità di attribuire l’imputazione di tali pagamenti alle imposte evase con le condotte oggetto di odierna regiudicanda, piuttosto che ad altre imposte pure oggetto di separata pretesa erariale.
7.2.La Corte di appello, a seguito della declaratoria di estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi A, B, C e D, della rubrica, ha ridotto l’entità dell’imposta evasa per i residui reati di cui ai capi E ed F indicandola nella misura di euro 568.668,06; ha quindi “confermato” la confisca diretta del residuo profitto e di beni per un valore ad esso equivalente a carico sia delle società che dei ricorrenti. Ha quindi confermato la confisca diretta del profitto a carico delle società e dei ricorrenti per i reati estinti, trattandosi di misura di sicura di sicurezza impermeabile alla declaratoria di prescrizione.
7.3.0ra, non v’è dubbio che la confisca diretta del profitto, siccome misura di sicurezza, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato per prescrizione. La Corte di cassazione ha affermato, al riguardo, che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264434 – 01).
7.4.Tuttavia, nel caso di specie la confisca diretta del profitto dei reati non è stata disposta in primo grado nei confronti degli odierni ricorrenti, bensì nei confronti delle sole società.
7.5.Sicché la Corte di appello non poteva disporre ex novo «la confisca diretta di somme di denaro conservate sui conti correnti, partecipazioni societarie e varie disponibilità finanziarie riconducibili (…) ai due imputati persone fisiche».
7.6.Quanto alla determinazione del profitto confiscabile valgano le considerazioni svolte in sede di esame del secondo motivo. Si aggiunga che, effettivamente, gli imputati avevano chiesto che si tenesse conto delle somme già versate a titolo di pagamento del piano di ammortamento ed escluse in primo grado per le ragioni già indicate. La Corte di appello ha omesso di motivare sul punto.
8.Anche l’ultimo motivo è fondato, avendo la Corte di appello effettivamente omesso, sul piano grafico, di motivare sulle ragioni del diniego delle circostanze attenuanti generiche oggetto del terzo motivo di appello.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma Così deciso in Roma, il 03/12/2024.