LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Costi non contabilizzati: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha annullato una sentenza di condanna per reati tributari, stabilendo un principio chiave sui costi non contabilizzati. Due amministratori erano stati condannati per aver evaso le imposte tramite una contabilità ‘in nero’. Nel ricorso, lamentavano la mancata considerazione dei costi sostenuti per produrre i ricavi non dichiarati. La Cassazione ha accolto il motivo, affermando che nel processo penale, a differenza di quello tributario, il giudice deve tenere conto dei costi non contabilizzati se sussiste un ragionevole dubbio sulla loro esistenza, anche in assenza di prove documentali complete. La sentenza è stata annullata con rinvio per un nuovo esame che valuti correttamente tali costi.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 10 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Costi non contabilizzati: La Cassazione detta le regole per i reati tributari

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato una questione cruciale nei processi per reati tributari: come trattare i costi non contabilizzati legati a ricavi evasi. La decisione chiarisce che il giudice penale, a differenza di quello tributario, deve adottare un approccio basato sul principio del “ragionevole dubbio”, con importanti conseguenze sulla determinazione dell’imposta evasa e sulla responsabilità penale dell’imputato.

I Fatti del Caso: La Contabilità Parallela

Il caso riguarda due amministratori, uno di fatto e uno di diritto, di due società operanti nel settore della ristorazione. Essi erano stati accusati di aver sistematicamente evaso le imposte sui redditi indicando nelle dichiarazioni annuali elementi attivi inferiori a quelli reali. La scoperta era avvenuta grazie al rinvenimento di una contabilità parallela, cosiddetta “in nero”, tenuta su supporti informatici, che registrava minuziosamente gli incassi effettivi.

La Corte d’appello, pur dichiarando prescritti alcuni dei reati contestati, aveva confermato la condanna per gli episodi più recenti, rideterminando la pena. Contro questa decisione, gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni procedurali e di merito.

I motivi del ricorso: focus sui costi non contabilizzati

I ricorrenti hanno basato la loro difesa su cinque motivi principali, tra cui:
1. L’inutilizzabilità della documentazione extracontabile sequestrata in un altro procedimento.
2. L’errata quantificazione dell’imposta evasa per non aver considerato i costi non contabilizzati ma direttamente collegati ai maggiori ricavi accertati.
3. La violazione del divieto di reformatio in peius (peggioramento della pena in appello).
4. L’illegittimità della confisca disposta.
5. La mancanza di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.

La Corte di Cassazione ha ritenuto fondati i motivi relativi ai costi non contabilizzati, alla confisca e alle attenuanti, annullando la sentenza e rinviando il caso a una nuova sezione della Corte d’appello.

L’importanza del ‘ragionevole dubbio’ sui costi non contabilizzati

Il punto centrale della decisione riguarda il secondo motivo. La Corte di appello aveva escluso la deducibilità dei costi “in nero” sostenendo che non vi fossero allegazioni difensive sufficienti a provarne l’esistenza. La Cassazione ha ribaltato questa impostazione, sottolineando la differenza fondamentale tra l’accertamento tributario e quello penale.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha spiegato che, sebbene spetti all’imputato indicare i costi sostenuti, il giudice penale non può ignorarli se dagli atti emergono elementi che ne rendono probabile o quantomeno ragionevolmente dubbia l’esistenza. Il principio guida non è quello della certezza documentale tipico del diritto tributario, ma quello del “oltre ogni ragionevole dubbio” che governa il processo penale (art. 533 c.p.p.).

Questo principio si applica a tutti gli elementi costitutivi del reato, incluse le soglie di punibilità che dipendono dall’ammontare dell’imposta evasa. Di conseguenza, se esiste un dubbio ragionevole sul fatto che siano stati sostenuti costi per produrre i ricavi in nero, il giudice deve tenerne conto, riducendo l’imponibile e, potenzialmente, l’imposta evasa. Nel caso specifico, gli stessi atti dell’Agenzia delle Entrate, prodotti in giudizio, davano atto dell’esistenza di tali costi, un elemento che la Corte d’appello aveva ingiustamente trascurato.

La Corte ha anche accolto i motivi sulla confisca, specificando che i giudici di secondo grado non potevano disporre ex novo una confisca diretta a carico delle persone fisiche se in primo grado era stata ordinata solo verso le società. Inoltre, ha censurato la totale assenza di motivazione sul diniego delle attenuanti generiche.

Conclusioni

Questa sentenza rappresenta un importante punto di riferimento per la difesa nei processi per reati tributari. Ribadisce che l’accertamento penale della responsabilità deve essere autonomo e seguire le proprie regole, in particolare il canone del ragionevole dubbio. Non è sufficiente basarsi su una ricostruzione puramente induttiva dei ricavi senza considerare, con la stessa attenzione, i costi che l’imprenditore ha verosimilmente sostenuto. La decisione impone ai giudici di merito un’analisi più approfondita e garantista, che tenga conto di tutti gli elementi a disposizione, anche se non formalizzati in una contabilità ufficiale, per giungere a una determinazione equa e corretta dell’eventuale imposta evasa penalmente rilevante.

Quando devono essere considerati i costi non contabilizzati in un processo per reati tributari?
Secondo la sentenza, i costi non contabilizzati devono essere presi in considerazione dal giudice penale quando, a fronte di allegazioni difensive, sussista almeno un ragionevole dubbio sulla loro esistenza. Tale dubbio può emergere anche da elementi indiziari o dagli stessi atti dell’accusa.

La mancata convalida di un sequestro rende inutilizzabili i documenti trovati?
No. La Corte chiarisce che l’omessa convalida del sequestro da parte del Pubblico Ministero non rende di per sé inutilizzabile la documentazione a fini probatori. Il giudice del processo in cui tale documentazione viene utilizzata deve valutarne autonomamente l’ammissibilità e la rilevanza, non potendo sindacare le decisioni del PM del procedimento originario.

È possibile disporre in appello per la prima volta la confisca diretta a carico degli imputati persone fisiche?
No. La sentenza stabilisce che la Corte di appello non può disporre ‘ex novo’ la confisca diretta di beni (come somme di denaro) a carico degli imputati persone fisiche, se in primo grado tale misura era stata disposta unicamente nei confronti delle società coinvolte.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati