Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18325 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18325 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOMECOGNOME nata a Roma il 02/04/1967
COGNOME NOME nato a Messina 1’01/09/1948
COGNOME NOME nato a Artena il 17/06/1969
avverso la sentenza emessa il 16/01/2024 dalla Corte di appello di Roma;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa NOME COGNOME che ha chiesto che i ricorsi proposti nell’interesse di Morgillo e Talone siano dichiarati inammissibili e che, i accoglimento del ricorso proposto da COGNOME, la sentenza impugnata sia annullata senza rinvio limitatamente alla confisca di 16.400 euro;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore della parte civile RAGIONE_SOCIALE, e quale sostituto dell’avv. NOME COGNOME difensore della parte civile, Roma Capitale, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME che ha concluso chiedendo che i reati siano dichiarati estinti per prescrizione e comunque insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME Francesco, che ha concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
udito l’avv. NOME COGNOME difensore di Talone Loris, che ha concluso chiedendo che i reati siano dichiarati estinti per prescrizione e comunque insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui NOME COGNOME NOME e NOME sono stati condannati per il reato di corruzione propria.
A COGNOME quale impiegata responsabile di atti normativi e contabili dell’Area inclusione Sociale dell’ufficio Rom del Dipartimento politiche sociali e della Salute del Comune di Roma capitale e, quindi, nella qualità di incaricata di pubblico servizio, e in concorso con NOME COGNOME, funzionario di detto ufficio e, quindi, pubblico ufficiale, è contestato di avere asservito la propria funzione e di aver compiuto atti contrari ai propri doveri di ufficio (indicati nella imputazione); in cambio COGNOME e COGNOME avrebbero ricevuto da NOME COGNOME quale amministratore di fatto delle cooperative sociali “Sarò” e “RAGIONE_SOCIALE” rispettivamente, COGNOME, somme di denaro e biglietti per il teatro e COGNOME la promessa e l’assunzione a partire dal 1 marzo 2014 della figlia NOME COGNOME presso la società di servizi RAGIONE_SOCIALE (tra l’ottobre del 2013 e il marzo del 2014) (capo a).
A Talone è contestato di avere corrotto NOME COGNOME e NOME COGNOME, collaboratore della prima – attraverso dazioni di denaro e altre utilità per la vendita del loro funzione e per il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio (dal 18 dicemb 2013 al primi mesi del 2014) (capo 2).
A COGNOME – ex dipendente dell’Ufficio Rom- è contestato, in concorso con NOME COGNOME e NOME COGNOME– quest’ultimo assolto per non aver commesso il fatto- di avere corrotto NOME COGNOME – funzionario della polizia municipale di Roma Capitale – che avrebbe venduto la propria funzione e compiuto una serie di atti contrari ai doveri di ufficio (tra il novembre 2013 e il marzo del 2014), in cambio della dazione di 16.402 in favore dello stesso COGNOME, della promessa della assunzione della figlia di NOME NOME e della fornitura di vini (capo 1).
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
Il Tribunale aveva ritenuto la fattispecie di cui all’art. 320 cod. pen., cui la rub farebbe riferimento, assorbita dal punto di vista del trattamento sanzionatorio in quella di corruzione propria contestata alla Salvatori, giudicata separatamente; tuttavia nel dispositivo lo stesso Tribunale avrebbe condannato gli imputati per i reati loro rispettivamente ascritti.
Con i motivi di appello, sarebbe stata “eccepita tale riqualificazione per assorbimento” sia sotto il profilo della mancata correlazione tra imputazione contestata e reato ritenuto in sentenza, sia quanto alla errata applicazione della norma (art. 319 cod. pen.) applicata in sede di riqualificazione.
Secondo la Corte di appello detta riqualificazione sarebbe stata compiuta solo in relazione al diverso inquadramento giuridico del concorso tra COGNOME e COGNOME “applicando in luogo della originaria fattispecie di cui all’art. 110 c.p. indicata n imputazione, quella del concorso anomalo ex art. 117” (così il ricorso che riporta una parte della motivazione della sentenza impugnata).
In tal modo, secondo la Corte, non sarebbe stata mutata la qualifica soggettiva di COGNOME, ma il Tribunale avrebbe ritenuto che le condotte commesse dall’imputata, così come contestate, “fossero state commesse all’interno della sfera di attribuzioni funzionali di cui la COGNOME era titolare”; dunque, secondo la Corte, sarebbe stato correttamente applicato lo schema del concorso nel reato proprio da parte di colui che non riveste la qualifica soggettiva richiesta dalla norma (così il ricorso che riporta un parte della motivazione della sentenza impugnata).
Secondo l’imputata si tratterrebbe di una motivazione errata, atteso che il capo di imputazione indicava due imputate (COGNOME e COGNOME), due qualifiche soggettive, due titoli di reato (319- 320 cod. pen.), due utilità diverse e una serie di condotte come at contrari ai doveri di ufficio, contestate, alcune, alla COGNOME e, altre, alla COGNOME
COGNOME si aggiunge, a fronte di un rinvio a giudizio ed un processo avente ad oggetto il reato di corruzione continuata di incaricato di pubblico servizio, sarebbe stat condannata per concorso anomalo in corruzione propria del pubblico ufficiale con conseguente diverso e più severo trattamento sanzionatorio.
Un mutamento strutturale del fatto con conseguente lesione del diritto di difesa.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene alla riconduzione delle condotte contestate alla COGNOME al paradigma della corruzione propria.
Secondo la Corte di appello il tema delle diverse utilità conseguite sarebbe distinto da quello delle qualifiche soggettive dei singoli “rispetto alle quali tutti gli opera anche se titolari di qualifiche soggettive di gradi differenti, attivamente contribuiva alla ideazione, programmazione ed esecuzione” del piano criminoso nell’ambito di un ufficio “aperto alla corruzione” (così il ricorso che riporta anche in questo caso una parte della motivazione della sentenza).
Una costruzione giuridica errata perché sostanzialmente volta ad attribuire a COGNOME, attraverso l’art. 117 cod. pen., in ragione della appartenenza allo stesso ufficio, il rea commesso dal pubblico ufficiale (in tal senso si riprendono le motivazioni del Tribunale con cui si erano distinte le autonome posizioni processuali e le singole condotte anche
al fine di escludere che in capo all’imputata potesse configurarsi la scriminante di cui all’art. 51 cod. pen.).
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene alla utilizzabilità delle intercettazioni telefoniche e di quella ambientali au video
Le intercettazioni telefoniche sarebbero state disposte per un reato “del tutto scollegato” (così il ricorso) da quello per il quale si “voleva indagare”.
Quanto alle intercettazioni audio video non vi sarebbe il provvedimento autorizzativo.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando cinque motivi.
3.1. Con il primo si deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione.
Il tema attiene alla utilizzabilità delle intercettazioni; si assume che le captazio furono disposte in relazione ai reati previsti dagli artt. 74 – 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, 309 e inerivano al commercio illecito di sostanza stupefacente all’interno del campo nomadi di Caste’ Romano, che avrebbe coinvolto anche un vigile della polizia locale di Roma Capitale.
Secondo l’imputato, la Corte avrebbe erroneamente rigettato le questioni ad essa devolute facendo rinvio alle considerazioni esposte in relazione alla posizione della COGNOME e limitandosi ad affermare che la utilizzabilità delle captazioni poteva essere estesa anche ai reati per cui si procede sul presupposto che anche questi fossero espressione di “mala gesti() dei fondi pubblici in quella realtà romana”, senza tuttavia fornire risposte agli argomenti specifici rappresentati dall’imputato, relativi a operatività nel caso di specie dell’art. 270 cod. proc. pen. e alla sussistenza di una connessione tra i reati per i quali le captazioni furono disposte e quello per il quale procede.
3.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità.
Secondo la Corte, senza l’esistenza di un accordo corruttivo non sarebbero spiegabili le condotte assunte dai pubblici ufficiali nei confronti del privato Talone, con particola riguardo alle “modifiche apportate alle determine e alla falsificazione delle firme d determinati dirigenti”, che, invece, troverebbero giustificazione proprio con lo scopo di facilitare il ricorrente nell’aggiudicazione delle gare o nell’ottenimento di fondi comunal
Si tratterebbe di una motivazione mutuata da quella di primo grado senza, tuttavia, nessun confronto con i motivi di appello in cui si erano indicati i motivi per cui no sarebbe sostenibile la tesi dell’accordo corruttivo; motivi consistenti nel fatto che, dop aver vinto un appalto nel 2008, Talone aveva proseguito la sua collaborazione con il Comune di Roma per la qualità del servizio offerto e per i prezzi concorrenziali praticati e proprio in tale periodo egli era entrato in contatto con l’ufficio Rom del Comune.
In tal senso vengono richiamate le dichiarazioni della COGNOME che aveva descritto uno schema operativo per cui si prevedeva che alle ditte venissero richiesti lavori straordinari, affidati temporalmente o attraverso una procedura di affidamento diretto, ma senza copertura finanziaria e che solo successivamente le ditte affidatarie recuperavano il denaro per questi lavori, inserendo il relativo importo nei preventivi che presentavano per i lavori che invece avevano copertura finanziaria.
In tale contesto sarebbe spiegabile la correzione della determina n. 2708 del 3.6.2013, che era finalizzata proprio a far recuperare all’impresa dell’imputato parte delle somme impiegate per i servizi svolti senza copertura finanziaria.
Nei motivi di appello, si erano inoltre indicate le ragioni per cui COGNOME sarebbe stato in una condizione di soggezione nei riguardi dei pubblici ufficiali con cui doveva interloquire: anche in relazione a tali temi di prova la sentenza sarebbe silente.
3.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla omessa valutazione dei motivi di appello relativi alle utilità che avrebbe elargito l’imputato; il tema att alla asserita corresponsione di COGNOME alla Salvatori di 2000 euro e alla valutazione di attendibilità delle dichiarazioni annmissive della stessa COGNOME e di inattendibilità quelle del teste a discarico COGNOME (che vengono in parte riportate).
Sarebbe errata anche l’inferenza della Corte secondo cui le dichiarazioni ammissive della Salvatori sarebbero confermate dal fatto che sul suo conto corrente sarebbe stata versata la somma di 2000 euro il giorno successivo a quello in cui, a dire della Salvatori, COGNOME avrebbe consegnato il denaro (in tal senso vi è una ricostruzione alternativa lecita).
3.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata riconduzione dei fatti al reato di cui all’art. 319 quater cod. pen..
3.5. Con il quinto motivo si deduce vizio di motivazione quanto alla turbativa d’asta di cui al capo 5 per il quale la Corte si sarebbe limitata a dichiarare l’estinzione del rea per prescrizione e ad escludere assertivamente la sussistenza delle condizioni per il proscioglimento nel merito; non sarebbero stati considerati i motivi di appello relativ alla assenza di prova delle condotte penalmente rilevanti attribuibili all’imputato.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando cinque motivi.
4.1. Con il primo si deduce l’intervenuta prescrizione del reato, contestato fino a marzo 2014.
In ragione del tempo di commissione del reato, sarebbe nella specie applicabile la normativa anteriore alla entrata in vigore della I. 27 maggio 2015, n. 69.
Il fatto corruttivo contestato a COGNOME avrebbe come presupposto la qualità di incaricato di pubblico servizio e la fattispecie di reato di cui all’art. 320 cod pen. sareb autonoma; dunque, la pena a cui si sarebbe dovuto fare riferimento sarebbe quella di anni cinque, mesi quattro di reclusione con conseguente termine per la prescrizione di
sette anni e mesi sei; si aggiunge che vi sarebbero state solo due sospensioni del termine di prescrizione, una per giorni 85 e l’altra per giorni 64.
Dunque il termine sarebbe decorso il 29.1.2022, prima della pronuncia della sentenza di appello.
Si chiede pertanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la revoca della confisca per equivalente, atteso il divieto di applicare retroattivamente l’art. 57 bis cod. proc. pen.
4.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione; il tema attiene alla insussistenza di atti contrari ai doveri di ufficio e alla mancanza d nesso di corrispettività tra le prestazioni oggetto del patto corruttivo.
La motivazione della Corte, come quella di primo grado, sarebbe fondata solo su intercettazioni telefoniche da cui sarebbe emerso che COGNOME, nella propria qualità di incaricato presso l’ufficio Rom del Comune di Roma, aveva invitato il consorzio NOME COGNOME– tramite l’interlocuzione anche con l’odierno ricorrente – ad alzare l’importo dei preventivi di spesa da inviare al Comune di Roma per i lavori di bonifica necessari per le condizioni di degrado in cui versava il campo Rom.
Si tratterebbe di un tema, quello della implementazione fittizia dei costi di cui ai preventivi, contraddetto dalle risultanze probatorie e, in particolare:
-dall’essere stati gli importi liquidati dal Comune corrispondenti alle spese sostenute dal Consorzio e documentate;
dall’essere stata effettuata la liquidazione previa verifica dei lavori eseguiti e del congruità delle fatture allegate;
dall’essere la effettività dei lavori comprovata dalla documentazione fotografica acquisita agli atti;
dall’esservi stato un particolare interessamento del direttore dell’Ufficio Rom del Comune, intenzionato a ristabilire la funzionalità del presidio legale.
Assume il difensore che la motivazione della sentenza di primo grado sarebbe contraddittoria avendo il Tribunale affermato, da un lato, che l’effettività del esecuzione dei lavori non avrebbe avuto rilievo non essendo stata contestato il reato di truffa, e, dall’altra, che oggetto del patto corruttivo sarebbero state le ingerenze per f assegnare i lavori al consorzio e che le “manovre” sulle voci di costo in fattura sarebbero state espressione di una difformità tra quanto preventivato e quanto eseguito.
Rispetto a questa motivazione contraddittoria e agli specifici motivi di appello, la Corte si sarebbe limitata ad affermare che la collaborazione di COGNOME sarebbe stata un’attività “extravagante rispetto alla legalità dell’attività di funzionario” e a ribad contenuto delle intercettazioni “che testimonierebbero un’attività dell’incaricato nella redazione dei preventivi di spesa”, lasciando in tal modo intendere che la mera ingerenza da parte del pubblico agente costituirebbe un atto contrario ai doveri di ufficio.
Dunque, mancherebbe la prova dell’asservimento del funzionario pubblico all’interesse privato; di ciò vi sarebbe conferma nel fatto che gli atti descritti ne imputazione come contrari ai doveri di ufficio non sarebbero stati provati.
Anche con riguardo alle utilità e al rapporto sinallagmatico, la sentenza sarebbe viziata per non essersi confrontata la Corte con i motivi di appello con cui si era evidenziato come vi fosse una totale mancanza di accertamenti in ordine: a) alla quantità, alla qualità, al prezzo e al soggetto che avrebbe sostenuto la fornitura di vino qualificata come prezzo della corruzione; b) alla inesistenza di un collegamento tra la vicenda relativa all’assunzione della figlia di COGNOME e i lavori oggetto dell imputazione.
Su tali temi la Corte si sarebbe, da una parte, limitata ad affermare, quanto alla fornitura di vino, che essa “non troverebbe spiegazione se non all’interno del sinallagma compensativo” (così il ricorso che richiama uno stralcio della motivazione) e, dall’altra, quanto al tema della assunzione, a travisare la prova (in tal senso vi è una articolata ricostruzione alternativa).
Quanto a quest’ultimo profilo la Corte avrebbe sbrigativamente richiamato una conversazione- la n. 815 del 18.12.201, individuando erroneamente come uno degli interlocutori in COGNOME, laddove autori della conversazione sarebbero stati COGNOME e COGNOME; dunque detta conversazione non sarebbe stata dimostrativa dell’interessamento di COGNOME.
Un travisamento decisivo con conseguente difetto di prova del nesso tra le due prestazione del preteso patto corruttivo
4.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto alla confisca della somma di euro 16.402 quale profitto del reato.
4.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge in relazione alla condanna in solido al risarcimento dei danni con soggetti imputati di fatti diversi.
4.5. Con il quinto motivo si deduce violazione degli artt. 74 – 79 cod. proc. pen. quanto alla mancata esclusione della parte civile Cittadinanza attiva per difetto di legittimazione,
Non sarebbe stato dimostrato che lo statuto dell’ente avrebbe avuto come fine primario e prevalente quello della lotta agli sprechi e alla corruzione
CONSIDERATO IN DIRITTO
LI ricorsi non sono manifestamente infondati e, dunque, inammissibili.
Quanto al ricorso proposto nell’interesse di COGNOME non sono inammissibili i primi due motivi.
2.1. A fronte di una imputazione in cui alla ricorrente, in qualità di incaricata pubblico servizio, era contestato il concorso doloso nella corruzione propria del pubblico ufficiale NOME COGNOME i Giudici di merito hanno costruito il loro ragionamento giuridico come se, invece, fossero stati contestati distinti fatti corruttivi, come, cioè, il fatto corruttivo dell’incaricato di pubblico servizio fosse autonomo da quello del pubblico ufficiale, come se il fatto complessivo descritto nella imputazione avesse integrato due distinti reati (sul punto è chiarissima la sentenza di primo grado nella quale si afferma che “la fattispecie di cui all’art. 320 cod. pen. verrà assorbita dal punt di vista sanzionatorio da quella di cui all’art. 319 cod. pen, contestata alla concorrente NOME COGNOME” pag. 126 sentenza Tribunale).
Un ragionamento non limpido rispetto al quale, con un ulteriore argomentazione poco chiara, si è fatto riferimento – per “cucire” i fatti – all’art. 117 cod. pen. e al con nel reato proprio.
Ciò che tuttavia non è stato spiegato è se i fatti, le singole condotte, oggetto dell’imputazione siano stati considerati in modo unitario rispetto ad un unico patto corruttivo riferibile a più soggetti (COGNOME e COGNOME) ovvero riconducibili a più p corruttivi posti in essere con la COGNOME e con la COGNOME.
Se il patto fosse stato unico, non è chiaro perché nella specie non sarebbe stato configurabile il concorso di persone nel reato ai sensi dell’art. 110 cod. pen.
Peraltro, l’art. 117 cod. pen. determina l’estensione a tutti i partecipi al reato de responsabilità per il mutamento del titolo determinato dalla qualifica soggettiva di uno di essi, in considerazione del carattere unitario del fatto concorsuale, laddove invece i Giudici sembrano avere ragionato diversamente.
Una correzione di prospettiva rispetto alla struttura del fatto contestato che rende i motivi di ricorso non inammissibili.
2.2. È invece inammissibile il terzo motivo di ricorso, non essendo stato dedotto alcunchè di specifico.
2.3. Ne consegue che, in ragione del tempo in cui il reato di corruzione propria è stato commesso ” tra l’ottobre del 2013 e il marzo del 2014″ e della cornice edittale vigente che faceva riferimento alla pena “da quattro a otto anni” di reclusione, il reato, anche in ragione delle sospensioni della decorrenza del termine, è estinto al più tardi nel luglio del 2024.
La sentenza deve, dunque, essere annullata senza rinvio per essersi il reato estinto per prescrizione, con conferma delle statuizioni civili.
Anche il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME non è inammissibile perché non è manifestamente infondato.
3.1. È inammissibile il primo motivo di ricorso.
La Corte di cassazione con molteplici pronunce – anche a Sezioni unite e non sempre recenti – ha stabilito princìpi funzionali ad attuare il percorso demolitorio intrapreso dal parte che eccepisca la inutilizzabilità probatoria di un atto processuale.
In particolare, in tema di intercettazioni telefoniche, è consolidato il principio secondo cui è necessario, a pena di inammissibilità del motivo, che il ricorrente indichi quali siano le conversazioni intercettate che sarebbero inutilizzabili e chiarisca l’incidenza degli att specificamente affetti dal vizio sul complessivo compendio probatorio già valutato, sì da potersene inferire la decisività ai fini del provvedimento impugnato. (Sez. U., n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416; nello stesso senso, Sez. U, n. 39061 del 16/07/2009, COGNOME, Rv. 244328; Sez. 4, n. 46478 del 21/09/2018, COGNOME, non massimata).
Ulteriori approfondimenti di rilievo concernono i limiti demolitori della pronuncia d legittimità; prima infatti di annullare con rinvio la sentenza basata su di un dat dimostrativo dichiarato inutilizzabile, è necessario procedere alla c.d. prova di resistenza, valutando se la motivazione “resti in piedi”, nonostante l’eliminazione dell’elemento viziato. La regola viene considerata un corollario dell’interesse all’impugnazione: se la sentenza non è basata sulla prova inutilizzabile, il ricorso, ancorché fondato nel merito, deve essere rigettato (Sez. U, n. 4265 del 25/02/1998, COGNOME, in motivazione; Sez. 5, n. 37694 del 15/07/2008, COGNOME, Rv. 241299; Sez. 2, n. 30271 dell’11/05/2017, COGNOME, Rv. 270303).
Questa Corte, con orientamento consolidato (Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218; Sez. 6, n. 18764 del 05/02/2014, Barilari, Rv. 259452; Sez. 3, n. 3207 del 2/10/2014, dep. 2015, Rv. 262011) che il Collegio condivide e ribadisce, ha, infatti, osservato che, nei casi in cui con il ricorso per cassazione si lament l’inutilizzabilità o la nullità di una prova dalla quale siano stati desunti elementi a cari il motivo di ricorso deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’inciden dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, essendo in ogni caso necessario valutare se le residue risultanze, nonostante l’espunzione di quella inutilizzabile, risultino sufficienti a giustifi l’identico convincimento; gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano infatti irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risulti sufficienti a giustificare l’identico convincimento
Nel caso di specie, il motivo di ricorso è generico, non avendo chiarito l’imputato né quali sarebbero le specifiche conversazioni intercettate che si assumono essere inutilizzabili e neppure quale sarebbe la loro valenza probatoria rispetto al ragionamento probatorio sotteso alla affermazione della responsabilità penale, cioè la loro incidenza e decisività rispetto alla decisione impugnata.
Il motivo di ricorso in esame, per come strutturato, esula dal percorso di una ragionata censura del percorso motivazionale del provvedimento impugnato e si risolve in una generalizzata critica difettiva ed inadeguata, che sostanzialmente non permette al giudice di percepire con certezza il contenuto delle censure.
Ne consegue, già sotto tale profilo, l’inammissibilità del motivo.
Sotto altro e non meno rilevante profilo, l’assunto costitutivo del ricorrente è che sostanzialmente tutte leconversazioni intercettate sarebbero inutilizzabili anche per derivazione.
Ciò produrrebbe una diffusività invasiva ed una propagazione illimitata del vizio di inutilizzabilità.
Si tratta di assunti che, oltre a manifestare una genericità strutturale, di cui si è g detto, non considerano l’elaborazione della giurisprudenza della Corte di cassazione e della dottrina sull’istituto della inutilizzabilità derivata.
L’orientamento del tutto prevalente della giurisprudenza è inequivocabilmente nel senso di escludere che sia applicabile all’inutilizzabilità la regola, dettata dall’art. comma 1, cod. proc. pen., per cui «la nullità di un atto rende invalidi gli atti consecuti che dipendono da quello dichiarato nullo».
3.2. Sono invece infondati gli altri motivi di ricorso.
La Corte di appello, anche richiamando la sentenza di primo grado, ha spiegato, con una motivazione adeguata perché le argomentazioni difensive – le stesse portate alla cognizione della Corte – non sono in grado di inficiare il ragionamento e le evidenze probatorie – fondate anche sulle stesse ammissioni della COGNOME – poste a fondamento del giudizio di colpevolezza e perché, rispetto al reato prescritto, non vi siano l condizioni per un proscioglimento nel merito.
Né è obiettivamente chiaro perché il fatto dovrebbe essere riqualificato e ricondotto al reato di indebita induzione a dare o premettere denaro o altra utilità.
Secondo i principi consolidati dalla Corte di cassazione la sentenza non può essere annullata sulla base di mere prospettazioni alternative che si risolvano in una rilettura orientata degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell’assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferire rispetto a quelli adottati dal giudice del merito, perché considerat maggiormente plausibili, o perché assertivamente ritenuti dotati di una migliore capacità esplicativa nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto realizzata ( Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, COGNOME, rv. 265482; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, COGNOME, rv. 234148).
L’odierno ricorrente ha riproposto con il ricorso per cassazione la versione dei fatti dedotta in primo e secondo grado e disattesa dai Giudici del merito; compito del giudice di legittimità nel sindacato sui vizi della motivazione non è tuttavia quello di sovrapporre
la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito, ma quello di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando completa e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e se abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
E’ possibile che nella valutazione sulla “tenuta” del ragionamento probatorio, la struttura motivazionale della sentenza di appello si saldi con quella precedente per formare un unico corpo argomentativo, atteso che le due decisioni di merito possono concordare nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, (cfr., in tal senso, tra le altre, Sez. 3, n. 44418 del 16/07/20 Argentieri, rv. 2574595; Sez. 2, n. 5606 dell’8/2/2007, Conversa e altro, Rv. 236181; Sez. 1, n. 8868 dell’8/8/2000, COGNOME, rv. 216906; Sez. 2, n. 11220 del 5/12/1997, Arnbrosino, rv. 209145).
Tale integrazione tra le due motivazioni si verifica allorché i giudici di secondo grado, come nel caso in esame, esaminino le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con riferimenti alle determinazioni ed ai passaggi logico-giuridici della decisione di primo grado e, a maggior ragione, ciò è legittimo quando i motivi di appello non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione del primo giudice (Cfr. la parte motiva della sentenza Sez. 3, n. 10163 del 12/3/2002, COGNOME, Rv. 221116).
Nel caso di specie, i giudici di appello, che pure hanno fatto riferimento alle argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, hanno fornito una valutazione analitica ed autonoma sui punti specificamente indicati nell’impugnazione di appello, di talché la motivazione risulta esaustiva ed immune dalle censure proposte.
3.3. A Talone è contestato il reato di corruzione propria, commesso” il 18 dicembre 2013 e nei primi mesi del 2014″ .
Non essendo inammissibile il ricorso, la sentenza deve essere annullata senza rinvio agli effetti penali per essersi il reato estinto per prescrizione per le stesse ragioni g esposte per l’imputata COGNOME
Anche per Talone devono essere confermate le statuizioni civili
Il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME è in parte fondato.
4.1. Quanto al primo e al secondo motivo, ferme restando le considerazioni dei Giudici di merito in ordine alla esistenza del patto corruttivo, rispetto alle quali le deduzi difensive sono sostanzialmente vote a sollecitare una diversa valutazione delle evidenze probatorie e una diversa, non consentita, diversa ricostruzione degli accadimenti (cfr.
in particolare pagg.126 e SS. sentenza di primo grado), i fatti, per come ricostruiti dai Giudici di merito, devono essere riqualificati e ricondotti alla meno grave fattispecie prevista dall’art. 318 cod. pen.
Dalle sentenze di merito emerge l’asservimento delle funzioni del pubblico ufficiale, rivelato dai dialoghi diretti tra COGNOME e COGNOME e funzionali a confezionare, in modo inquinato e strumentale, il contenuto del preventivo che il ricorrente avrebbe dovuto presentare.
Conversazioni, quelle indicate dai Giudici, che, unitamente alle evidenze obiettivamente chiare – relative alle utilità promesse o in concreto corrisposte, hanno consentito correttamente di ritenere provato l’accordo corruttivo e la presa in carico da parte di COGNOME dell’interesse del ricorrente; si tratta di evidenze che, tuttavia, non consentono di individuare l’atto contrario ai doveri di ufficio che COGNOME avrebbe nella specie promesso o compiuto.
4.2. Ne consegue che i fatti devono essere riqualificati nel reato di cui all’art. 318 cod. pen.; in ragione del tempo della sua commissione – “tra novembre 2013 e marzo 2014” – il reato deve essere dichiarato estinto per prescrizione con conseguente annullamento senza rinvio della sentenza impugnata a fini penali e con conferma delle statuizioni civili.
La sentenza deve essere annullata anche per quel che concerne la confisca.
Dalla imputazione e dalla sentenza impugnata emerge che la somma di 16.402 euro, oggetto di confisca, è stata corrisposta in favore di COGNOME NOME (soggetto originariamente coimputato e poi assolto per non avere commesso il fatto) in ragione dei lavori da questi eseguiti in regime di sub appalto.
Dunque, non si tratta di confisca del profitto derivante dal reato corruzione, quanto piuttosto, del prezzo del reato fatto conseguire dal pubblico agente infedele (COGNOME) ad un terzo (COGNOME).
Nello schema accusatorio posto a fondamento della imputazione provvisorie, cioè, il pubblico ufficiale corrotto (COGNOME) in funzione sinallagmatica all’asservimento delle sue funzioni, avrebbe fatto conseguire il corrispettivo cioè il prezzo e, in particolare una utilità (il contratto di sub appalto) in favore di un soggetto terzo (COGNOME).
Uno schema conforme alla fattispecie del reato di corruzione (propria o per l’esercizio della funzione) che espressamente prevede che il pubblico ufficiale riceva “per sé o per un terzo” denaro o altra utilità.
Nel caso di specie, la concretizzazione del prezzo del reato di corruzione è costituita, secondo la prospettiva accusatoria – anche dalle somme percepite da COGNOME cioè dall’utilità fatta conseguire dal pubblico agente corrotto ad un soggetto terzo.
Una prospettiva rispetto alla quale le sentenze dei Giudici di merito rivelano la loro strutturale asimmetria, essendo, come detto, articolate tutte su un diverso presupposto giuridico, e cioè che nella specie si debba discutere di profitto di reato.
Ne consegue che la confisca del prezzo è stata irritualmente disposta nei confronti del soggetto corruttore, che non ha conseguito nessun profitto.
Né è obiettivamente chiaro perché nei riguardi del ricorrente dovrebbe essere confiscata una somma che non ha materialmente conseguito; sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio (cfr. Sez. U, n. 13783 del 26/09/2024dep. 2025 – COGNOME, in motivazione).
4.3. È fondato anche il quarto motivo di ricorso.
La Corte di cassazione ha già chiarito in tema di responsabilità civile derivante da reato, che è legittima la condanna in solido al risarcimento del danno di più imputati giudicati responsabili in relazione a distinti fatti non commessi in concorso, qualora sussista un rapporto di interdipendenza tra le rispettive condotte che hanno contribuito in maniera efficiente alla produzione del medesimo evento di danno in un contesto spazio-temporale sostanzialmente unitario (cfr., Sez. 6, n. 8666 del 05/02/2019, L, Rv. 275644).
Nel caso di specie, i ricorrenti sono stati condannati in solido al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili (cfr., sentenza di primo grado) pur essendo essi sta imputati per fatti del tutto diversi e senza che vi sia un rapporto di interdipendenza tr essi.
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio anche quanto alla solidarietà passiva tra gli imputati nei riguardi delle parti civili e che le sp tra le parti devono essere compensate, ricorrendo giustificati motivi.
P. Q. M.
Qualificato il fatto contestato a COGNOME NOME ai sensi dell’art. 318 cod. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata, anche in ordine al punto relativo alla
confisca, perché il reato è estinto per prescrizione.
Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di COGNOME NOME e
NOME in ordine ai reati di cui all’art. 319 cod. pen. loro contestati perché estin per prescrizione.
Annulla senza rinvio la sentenza quanto alla solidarietà passiva tra gli imputati, confermando nel resto le statuizioni civili.
Compensa tra le parti le spese di parte civile.
Così deciso in Roma il 7 novembre 2024
Il
, 9øfigliere estensore