Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14027 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14027 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME, nato a Centuripe il DATA_NASCITA;
COGNOME NOME, nato a Messina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 30/03/2023;
letti gli atti, il ricorso e la sentenza impugnata;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto: che la sentenza impugnata venga, relativamente alla posizione di COGNOME NOME, annullata senza rinvio in riferimento ai reati di cui ai capi B) e L) perché il fatto no sussiste, con eliminazione della pena ad essi relativa, dichiarando per il resto il ricorso inammissibile; che il ricorso di COGNOME NOME venga dichiarato inammissibile;
lette le conclusioni scritte dei difensori RAGIONE_SOCIALE parti civili, AVV_NOTAIO dello AVV_NOTAIO per RAGIONE_SOCIALE e AVV_NOTAIO NOME COGNOME per RAGIONE_SOCIALE, che hanno chiesto che i ricorsi vengano dichiarati inammissibili o comunque rigettati, depositando note spese.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Torino, con sentenza del 30 marzo 2023 (motivazione depositata il successivo 27 aprile), in parziale riforma di quella di primo grado emessa dal Tribunale di Torino, ha, per quel che interessa in questa sede: a) riconosciuto a COGNOME NOME la circostanza attenuante di cui all’art. 323 bis comma 1 cod. pen., rideterminando conseguentemente la pena in anni uno e mesi dieci di reclusione, con eliminazione RAGIONE_SOCIALE pene accessorie e concessione dei doppi benefici di legge; b) dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 581 comma 1 bis cod. proc. pen. l’appello proposto nell’interesse di COGNOME NOME, ordinando l’esecuzione della condanna di anni sette e mesi tre di reclusione riportata in primo grado.
COGNOME è stato ritenuto responsabile del reato di cui al capo H1), relativo alla violazione degli artt. 319 e 321 cod. pen. perché in occasione della commissione del reato che rubricato sub H (corruzione propria) e con le modalità ivi descritte, dava o prometteva a COGNOME NOME, con il coinvolgimento di COGNOME NOME, denaro o altra utilità; in Torino nel gennaio e febbraio del 2014.
2.1. L’affermazione di penale responsabilità a carico del COGNOME ha ad oggetto una serie di episodi di corruzione propria passiva, nella qualità di pubblico ufficiale dipendente della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di Torino, nonché l’esercizio abusivo della professione di commercialista.
Avverso detta sentenza gli imputati, a mezzo dei propri difensori, hanno proposto ricorso.
3.1. Nell’interesse di COGNOME NOME viene dedotto un unico motivo, attinente a violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata riqualificazione del reato allo stesso ascritto in corruzione per l’esercizio della funzione. Ciò in quanto la corresponsione, non negata, di una somma di denaro a COGNOME e a COGNOME NOME (soggetto, quest’ultimo, assolto dalla Corte di appello) finalizzata al conseguimento dello sgravio fiscale necessario per la cancellazione di un’ipoteca immobiliare, non era correlata al compimento da parte del Pubblico ufficiale di un atto contrario ai doveri di ufficio; “atto che il COGNOME poteva, e avrebbe comunque dovuto, compiere nell’esercizio RAGIONE_SOCIALE proprie funzioni” (come è dimostrato dalla circostanza che successivamente COGNOME ha ottenuto legittimamente tale provvedimento e pertanto pretendeva la restituzione della somma “essendosi occupato personalmente, e con successo, della propria pratica”). Dunque, eccepisce il ricorrente, alla luce della giurisprudenza di questa
Sezione, non si rinvengono i presupposti per ritenere sussistente la fattispecie di cui all’art. 319 cod. pen.
3.2. Nell’interesse di COGNOME NOME vengono proposti due motivi.
3.2.1. Con il primo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’utilizzo di intercettazioni per le quali – si assume – non era intervenuta l’autorizzazione da parte del AVV_NOTAIO. Con il secondo motivo si deduce “illogicità manifesta” della sentenza impugnata in quanto la Corte di appello di Torino, pur avendo assolto i coimputati dei fatti corruttivi, dichiarando che il fatto non sussiste, non ha proceduto nello stesso senso per COGNOME, pur trattandosi di fattispecie che “coinvolge tutti negli stessi fatti”.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso in favore di COGNOME è fondato.
La qualificazione del fatto nei termini di corruzione propria è motivata dalla Corte territoriale (pag. 32 s.) sulla base del fatto che il denaro ricevuto dal coimputato COGNOME era finalizzato all’interessamento di questi, a favore di COGNOME, presso l’RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (ove, nel settore competente per la pratica, c.d. team 7, lavorava una collega con la quale COGNOME si vantava di avere avuto una relazione) per fargli ottenere la cancellazione del debito tributario.
La sentenza impugnata evidenzia al riguardo che “il denaro percepito dal privato era il prezzo della corruzione di COGNOME, che prometteva di interferire nel processo decisionale relativo alla cancellazione del debito tributario: nel patto corruttivo vi erano l’utilità pecuniaria per COGNOME e l’atto contrario ai doveri d ufficio, consistente nell’interferenza sulla decisione dell’ufficio a cui l’imputat apparteneva, dato lo stretto rapporto con la responsabile del team 7. Come più volte spiegato, è del tutto irrilevante che la promessa ingerenza vi sia stata o meno”.
2.1. Nelle sue conclusioni scritte il PG ha condiviso detta ricostruzione normativa, citando al riguardo un precedente di questa Sezione, secondo cui «Integra il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio comportamento di un pubblico ufficiale (nella specie, un consigliere regionale) che, in cambio di una somma di denaro erogata da un privato, ponga in essere una condotta di illegittima interferenza, qualificabile a sua volta di tipo corruttivo o concussivo, nei confronti di altro pubblico ufficiale (nella specie, un funzionario regionale), allo scopo di indurlo ad accordare al privato un trattamento di impropria preferenza cronologica e di risultato nel rilascio di un’autorizzazione» (Sez. 6, n. 17943 del 15/02/2013, Sammatrice, Rv. 254731 – 01).
Rileva il Collegio che tale pronuncia non risulta del tutto congruente rispetto al caso in esame, in quanto nella stessa viene chiaramente specificato che l’illegittima interferenza si deve tradurre in una condotta a sua volta illecita (concussione o corruzione) spiegata dal soggetto agente sul Pubblico ufficiale nei cui confronti viene posta in essere la “interferenza”, mentre dalle sentenze di merito a carico dei ricorrenti non viene evidenziato nulla di simile.
Sempre il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO ha indicato – a sostegno della configurabilità del fatto ascritto al COGNOME in termini di corruzione propria – il princip affermato dalla recente Sez. 6, n. 16272 del 02/02/2023, Rinzivillo, Rv. 284611 – 01, secondo cui «in tema di corruzione propria, costituiscono atti contrari ai doveri d’ufficio non soltanto quelli illeciti (perché vietati da norme imperative) o illegittimi (perché in contrasto con norme giuridiche riguardanti la loro validità ed efficacia) ma anche quelli che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volontà del pubblico agente, dall’osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza ed imparzialità».
2.2. Ritiene il Collegio di dovere aderire alla diversa tesi interpretativa, secondo la quale la fattispecie di corruzione propria richiede, per espressa previsione del legislatore, la presenza di uno specifico atto contrario ai doveri di ufficio. Le tesi giurisprudenziali precedentemente esposte hanno, invece, l’effetto di ridurre quasi a zero lo spazio applicativo della fattispecie di cui all’art. 31 cod. pen. (che il legislatore del 2012 ha espressamente qualificato come “corruzione per l’esercizio della funzione”), atteso che considerare atto contrario la mera “strumentalizzazione” o “distorsione” dell’esercizio del potere del Pubblico ufficiale, derivante dalla circostanza che questi è stato comunque remunerato dal corruttore e ne “ha preso in carico l’interesse”, significa che sussiste sempre la corruzione propria ex art. 319 cod. pen., anche laddove manchi uno specifico atto contra legem. Invece, la “corruzione propria” richiede espressamente che la promessa o la dazione di denaro o altra utilità da parte del corruttore siano finalizzate al compimento di uno specifico “atto contrario ai doveri d’ufficio” (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019 – dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 – 05).
Nel caso di specie tale atto (che dovrebbe essere riferito alla cancellazione dell’ipoteca tributaria) non è rinvenibile. Invero, la sentenza impugnata ha escluso che COGNOME abbia inciso sull’attività amministrativa della competente impiegata della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e da quel che risulta COGNOME, intascata la “mazzetta”, non ha realizzato il risultato promesso, di tal che COGNOME si è attivato autonomamente ottenendo la cancellazione dell’ipoteca in modo legittimo.
Pertanto, il reato contestato al COGNOME va qualificato ai sensi dell’art. 318 cod. pen. e, trattandosi di fatti risalenti al 2014, risulta prescritto dopo sentenza di primo grado. Non essendovi dubbi in ordine alla sussistenza della dazione del denaro (non negata dal ricorrente), vanno confermate le statuizioni civili ai sensi dell’art. 578 cod. pen.
Il ricorso presentato da COGNOME NOME è invece inammissibile, sotto plurimi profili.
In primo luogo, esso è tardivo. Invero, la sentenza di appello è stata emessa il 30 marzo 2023, con termine indicato per il deposito di trenta giorni, che risulta rispettato (motivazione depositata il successivo 27 aprile). Pertanto, il ricorso per cassazione, sottoscritto con firma digitale dall’AVV_NOTAIO il 15 luglio 2023, non ha rispettato il termine di quarantacinque giorni fissato dall’art. 585, comma 1, lett. c) in riferimento all’art. 544, comma 3, cod. proc. pen.
Inoltre, COGNOME non ha impugnato la declaratoria di inammissibilità dell’appello, pronunciata dalla Corte di appello ex art. 581 comma 1 bis cod. proc. pen. sul presupposto – corretto – che «l’appello, al pari del ricorso per cassazione, è inammissibile per difetto di specificità dei motivi quando non risultano esplicitamente enunciati e argomentati i rilievi critici rispetto alle ragion di fatto o di diritto poste a fondamento della decisione impugnata, fermo restando che tale onere di specificità, a carico dell’impugnante, è direttamente proporzionale alla specificità con cui le predette ragioni sono state esposte nel provvedimento impugnato» (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016 – dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01).
Infine, per quel che concerne le intercettazioni telefoniche, asseritamente disposte in assenza di autorizzazione del Gip, va condivisa la considerazione del PG di legittimità che ha richiamato il principio affermato, tra le altre, da Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016 – dep. 2017, La Gumina, Rv. 269218 – 01, secondo cui «Nell’ipotesi in cui con il ricorso per cassazione si lamenti l’inutilizzabilità di elemento a carico, il motivo di impugnazione deve illustrare, a pena di inammissibilità per aspecificità, l’incidenza dell’eventuale eliminazione del predetto elemento ai fini della cosiddetta “prova di resistenza”, in quanto gli elementi di prova acquisiti illegittimamente diventano irrilevanti ed ininfluenti se, nonostante la loro espunzione, le residue risultanze risultino sufficienti a giustificare l’identico convincimento»; onere, questo, in alcun modo assolto dal ricorrente.
Ciò premesso, va però rilevato – in riferimento al secondo motivo del ricorso del COGNOME, nel quale si invoca l’applicazione della formula assolutoria
adottata in appello a favore dei coimputati per i capi B) e L) – che correttamente il PG nelle sue conclusioni scritte ha evidenziato che «rientra nei poteri della Corte di Cassazione disporre l’estensione in “bonam partem” degli effetti della decisione ai coimputati non appellanti, non attuata dal giudice della sentenza impugnata. (In applicazione del principio la Corte, sul presupposto che il giudice d’appello aveva pronunciato sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto nei confronti di un soggetto imputato di cessione di sostanza stupefacente ad altra persona, ha annullato senza rinvio la sentenza di condanna di quest’ultima, non appellante, per l’imputazione di cessione della medesima sostanza a terzi)» (Sez. 3, n. 20509 del 14/04/2011, COGNOME, Rv. 250345 – 01). Principio, questo, che deve trovare applicazione anche a favore di coimputati che hanno proposto una impugnazione inammissibile (Sez. n. 34927 del 25/05/2023, Paone, Rv. 284951 – 01).
5.1. La sentenza di appello ha assolto COGNOME NOME – professionista estraneo alla Pubblica amministrazione – dai reati a lui ascritti, tra l’altro, ai cap B ed L, perché “il fatto non sussiste”. Per tali capi è stato condannato in primo grado il COGNOME e la contestazione fa riferimento all’art. 110 cod. pen. (capo B: COGNOME in concorso, oltre che con il COGNOME, anche con altro Pubblico ufficiale, funzionario di RAGIONE_SOCIALE, tale COGNOME, nei cui confronti si è proceduto separatamente; capo L: COGNOME in concorso con il solo COGNOME).
Peraltro, nonostante la formula assolutoria utilizzata dalla Corte di appello sia quella del “fatto non sussiste”, la motivazione utilizzata indica chiaramente che si è esclusa – non la sussistenza del fatto – ma solo la partecipazione del COGNOME agli episodi corruttivi.
In particolare, per il capo B) la Corte territoriale rileva che il capo d imputazione “nulla dice riguardo al COGNOME che in ipotesi di accusa (sembra di capire) era concorrente di COGNOME, ma ciò non toglie che doveva essere delineato il contributo concorsuale anche di COGNOME, come per qualunque reato plurisoggettivo “; contributo concorsuale specifico che quindi la sentenza impugnata esclude per COGNOME, con argomentazioni in nessun modo riferibili anche alla posizione di COGNOME (pag. 31).
In riferimento al capo L) la sentenza Corte di appello (pag. 35) esclude il coinvolgimento nella vicenda corruttiva del COGNOME sul presupposto che, anche in questo caso, “non è rappresentata la condotta del COGNOME e il suo contributo alla realizzazione del preteso reato che certo non poteva risolversi nel condizionare l’attività dei dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE (per quello vi era già COGNOME e COGNOME non aveva canali diretti con costoro) né quella dei dipendenti di RAGIONE_SOCIALE
Dunque, difetta in radice il presupposto per l’estensione ex art. 587 cod. proc. pen. dell’effetto favorevole dell’impugnazione proposta in appello a favore di COGNOME (ossia che il relativo motivo non sia esclusivamente personale).
5.2. Peraltro, osserva la Corte che a favore di COGNOME NOME deve operare l’effetto estensivo in riferimento alla dichiarazione di prescrizione a favore di COGNOME (previa riqualificazione del fatto di cui al capo H1) ex art. 318-321 cod. pen.). Invero, si tratta del medesimo fatto, contestato anche al COGNOME, quale Pubblico ufficiale corrotto e in concorso con COGNOME, al già indicato capo H).
Sul punto, si è evidenziato che «l’inammissibilità dell’impugnazione non impedisce la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione qualora un diverso impugnante abbia proposto un valido atto di gravame, atteso che l’effetto estensivo dell’impugnazione produce i suoi effetti anche con riferimento all’imputato non ricorrente (o il cui ricorso sia inammissibile) ed indipendentemente dalla fondatezza dei motivi dell’imputato validamente ricorrente, purché di natura non esclusivamente personale, sia quando la prescrizione sia maturata nella pendenza del ricorso, sia quando sia maturata antecedentemente» (Sez. 2, n. 819 del 21/11/2019 – dell 2020, Bonometti, Rv. 277814 – 02).
Va pertanto dichiarata l’estinzione per prescrizione del reato sub capo H) per il quale COGNOME ha riportato condanna, con eliminazione della relativa pena, inflitta dal Tribunale e confermata dalla Corte di appello, a titolo di continuazione rispetto al reato più grave sub capo F) (mesi sei di reclusione), pervenendosi dunque a una pena complessiva di anni sei e mesi nove di reclusione.
Infine, COGNOME NOME va condannato alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e giudizio RAGIONE_SOCIALE Parti civili, liquidate come da dispositivo.
Qualificato il fatto contestato al capo H1) nel diverso reato previsto dall’art. 318 cod. pen., annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione, annullamento che, per l’effetto estensivo del ricorso proposto dal COGNOME, viene disposto anche nei confronti del COGNOME per il capo H), anch’esso riqualificato nel reato di cui al citato art. 318 cod. pen., e, per l’effetto, ridetermina la pena nei confronti di quest’ultimo in anni sei e mesi nove di reclusione.
Dichiara inammissibile il ricorso del COGNOME che condanna alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, che liquida rispettivamente in euro 3.686,00 oltre accessori di legge e in euro 1.842,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 13 febbraio 2024
onsigliere stensore
Il Pre idente