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Corruzione propria: la prova del patto è essenziale

Una dirigente medico, sottoposta a misura cautelare per corruzione propria, ha ottenuto l’annullamento del provvedimento dalla Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha stabilito che, per configurare il reato, non è sufficiente dimostrare l’asservimento della funzione pubblica a interessi privati, ma è necessario provare l’esistenza di un preciso accordo sinallagmatico (un patto di scambio) tra l’atto del pubblico ufficiale e l’utilità ricevuta dal terzo. In assenza di tale prova, la motivazione della misura cautelare è stata ritenuta gravemente lacunosa.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione propria: quando la prova del patto corruttivo è cruciale

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di corruzione propria: per giustificare una misura cautelare non basta dimostrare un generico ‘asservimento’ del pubblico ufficiale a interessi privati, ma è indispensabile provare l’esistenza di uno specifico patto di scambio. La mancanza di questo elemento, noto come ‘sinallagma corruttivo’, rende la motivazione del provvedimento gravemente carente. Analizziamo insieme la vicenda.

I Fatti del Caso

Una dirigente medico di un’azienda ospedaliera veniva posta agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione propria e tentata corruzione. Le contestazioni erano due:

1. Capo B: In concorso con un politico locale, avrebbe favorito l’assegnazione di una borsa di studio da 16.000 euro a un professionista. In cambio, quest’ultimo avrebbe fornito i suoi servizi professionali di comunicazione a vantaggio del politico.
2. Capo C: Avrebbe attivato le procedure per un bando di studio destinato a un’avvocatessa, all’epoca assessore comunale. Lo scopo sarebbe stato quello di farla ‘passare’ a una lista politica legata al politico, per favorire un rimpasto nella giunta comunale.

Il Tribunale del Riesame, pur annullando una diversa accusa, confermava la misura cautelare per questi due episodi, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza. La difesa della dirigente ha quindi presentato ricorso in Cassazione.

L’impugnazione in Cassazione e i motivi del ricorso

La difesa ha contestato la decisione del Tribunale su più fronti. In primo luogo, ha sostenuto che le prove (in particolare le intercettazioni) fossero state travisate, poiché il vincitore della borsa di studio era risultato il candidato migliore e la selezione era stata imparziale. Per il secondo episodio, ha eccepito che la condotta non fosse univoca, essendosi la dirigente limitata a richiedere l’avvio di un bando, senza una reale intenzione di favorire l’avvocatessa. Infine, ha sottolineato l’inutilità della misura cautelare, dato che la dirigente era già stata sospesa dal servizio, eliminando così il rischio di reiterazione del reato.

La corruzione propria e la decisione della Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza del Tribunale e rinviando per un nuovo giudizio. Il cuore della decisione risiede nella critica alla motivazione del provvedimento impugnato, giudicata gravemente lacunosa proprio sulla definizione degli elementi costitutivi del reato di corruzione propria.

Le motivazioni: L’assenza del sinallagma corruttivo

La Suprema Corte ha spiegato che il delitto di corruzione propria (art. 319 c.p.) postula un patto nel quale l’atto dell’ufficio e l’utilità per il privato sono legati da un nesso di corrispettività (sinallagma). Non è sufficiente provare che un terzo abbia ricevuto un vantaggio grazie all’azione del pubblico ufficiale. È necessario dimostrare che tale utilità sia stata la causa specifica dell’atto contrario ai doveri d’ufficio, rappresentando l’adempimento di un accordo illecito.

Nel caso di specie, il Tribunale si era concentrato sulla relazione di ‘asservimento’ della dirigente ai voleri del politico e sul vantaggio finale ottenuto da quest’ultimo, ma aveva omesso di:

1. Provare il raccordo logico-causale: Non era stato dimostrato il collegamento diretto tra l’atto della dirigente (l’assegnazione della borsa di studio) e la successiva utilità per il politico. Non era chiaro se la dirigente fosse a conoscenza fin dall’inizio di questo scambio e se avesse agito in esecuzione di tale patto.
2. Identificare le parti del patto: L’ordinanza non chiariva chi fosse il corruttore. Il politico, destinatario dell’utilità, o il beneficiario della borsa di studio, che si era limitato a chiedere un posto di lavoro?
3. Valutare la natura dell’atto: Il Tribunale non aveva analizzato se l’atto della dirigente, pur discrezionale, rispondesse o meno a un’esigenza della Pubblica Amministrazione, elemento cruciale per distinguere la corruzione propria (art. 319 c.p.) dalla più lieve fattispecie di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.).

Anche riguardo alle esigenze cautelari, la Cassazione ha ritenuto la motivazione ‘meramente apparente’, poiché il Tribunale si era limitato a richiamare la ‘spregiudicatezza’ della dirigente senza spiegare perché la già avvenuta sospensione dal servizio non fosse sufficiente a neutralizzare il pericolo di reiterazione del reato.

Le conclusioni: Implicazioni della sentenza

Questa pronuncia riafferma con forza che un’accusa di corruzione deve essere sorretta da prove solide e circostanziate, che vadano oltre il sospetto di una generica collusione. Per configurare il grave reato di corruzione propria, l’accusa deve ricostruire e provare puntualmente i termini dell’accordo illecito: le parti coinvolte, l’oggetto dello scambio e il nesso di causalità tra l’azione pubblica e il vantaggio privato. In assenza di una motivazione rigorosa su questi punti, anche un provvedimento restrittivo della libertà personale, come una misura cautelare, non può reggere al vaglio di legittimità.

Cosa è necessario dimostrare per configurare il reato di corruzione propria?
Secondo la sentenza, non è sufficiente provare che un pubblico ufficiale abbia compiuto un atto e che un terzo ne abbia tratto un’utilità. È indispensabile dimostrare l’esistenza di un ‘sinallagma corruttivo’, ovvero un patto di scambio specifico in cui l’atto del pubblico ufficiale è la controprestazione per l’utilità promessa o data al privato (o a un terzo indicato dal privato).

Qual è la differenza tra corruzione propria e corruzione per l’esercizio della funzione?
Sebbene la sentenza si concentri sulla corruzione propria (art. 319 c.p.), essa richiama implicitamente la distinzione con la corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.). La prima si configura quando l’atto è contrario ai doveri d’ufficio, realizzando l’interesse del privato a discapito di quello pubblico. La seconda si ha quando l’atto, pur non essendo contrario ai doveri, viene compiuto in cambio di un’utilità, configurando un ‘asservimento’ della funzione pubblica agli interessi del privato.

Una persona sospesa dal proprio incarico pubblico può ancora essere sottoposta a misura cautelare per rischio di reiterazione del reato?
Sì, ma è necessaria una motivazione adeguata e logica. La Corte ha stabilito che non basta un generico riferimento alla ‘spregiudicatezza’ dell’indagato. Il giudice deve spiegare in modo specifico perché, nonostante la sospensione, permanga un concreto pericolo che l’indagato possa commettere reati simili, ad esempio agendo come concorrente di altri soggetti pubblici ancora in servizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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