Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10125 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10125 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRIPICCIONE DEBORA
Data Udienza: 25/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME nata a Castroreale il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza emessa il 19 luglio 2023 dal Tribunale di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore, AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugnata il Tribunale Messina, accogliendo parzialmente l’istanza di riesame presentata da NOME COGNOME avverso l’ordinanza applicativa
della misura degli arresti domiciliari, ha annullato detta misura limitatamente al reato di tentata concussione di cui al capo A dell’imputazione provvisoria, e confermato la stessa in relazione ai reati di cui agli artt. 110 e 319 (capo B) e 56, 110 e 319 (capo C).
Secondo quanto risulta dall’imputazione provvisoria, quanto al capo B, la COGNOME, nella qualità di dirigente medico dell’RAGIONE_SOCIALE, in concorso con NOME COGNOME (all’epoca dei fatti deputato dell’RAGIONE_SOCIALE Regionale siciliana), con il ruolo quest’ultimo di determinatore, avrebbe fatto conseguire una borsa di studio di euro 16.000 annui a NOME COGNOME il quale, in cambio, avrebbe fornito i propri i servizi professionali in favore di COGNOME, curandone la comunicazione.
Al capo C) si contesta, invece, alla COGNOME di avere attivato la procedura volta alla predisposizione di un bando borsa di studio per esperto avvocato, incarico che avrebbe dovuto essere affidato all’AVV_NOTAIO, all’epoca dei fatti Assessore del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, la quale, in cambio, sarebbe dovuta “passare” alla lista “RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile al COGNOME, al fine di assecondar progetto politico di quest’ultimo nell’ambito dell’imminente “rimpasto” della Giunta comunale dalla quale stava per essere escluso il padre del COGNOME.
Propone ricorso per cassazione il difensore NOME COGNOME deducendo quattro motivi, di seguito riassunti nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1 Con il primo motivo deduce i vizi di violazione dell’art. 319 cod. pen. e di travisamento della prova in quanto il Tribunale ha omesso di valutare le conversazioni intercettate da cui emerge che NOME non era stato favorito durante le prove di esame e che questo era stato il candidato che aveva svolto la migliore prova. In particolare, si fa riferimento ad alcuni brani della conversazione intercorsa tra la ricorrente e NOME COGNOME in cui la prima diceva che la borsa di studio doveva prima essere vinta, che la stessa avrebbe giudicato con imparzialità, che l’altro candidato non aveva risposto e che la commissione esaminatrice aveva verbalizzato tutto.
2.2 Con il secondo motivo deduce i vizi di violazione di legge e di travisamento della prova in relazione al reato di cui al capo c) rispetto al quale manca il requisito dell’univocità della condotta. Anche in tal caso, ad avviso della ricorrente, il Tribunale ha omesso di valutare le conversazioni in cui la COGNOME sottolineava che, trattandosi di bandi pubblici, sarebbero state valutate tutte le domanda e che, in ogni caso, nella fattispecie, la COGNOME si era limitata a richiedere la predisposizione del bando «per
effettivi interessi pubblicistici». Si aggiunge, inoltre, che la ricorrente ha chiarit sede di interrogatorio di garanzia che avevano preso «in giro» la COGNOME e che non aveva nessuna intenzione di assumerla.
2.3 Con il terzo motivo deduce il vizio di omessa motivazione sulla sussistenza della desistenza volontaria, posto che la COGNOME si è limitata a richiedere la predisposizione del bando e che, tuttavia, non aveva alcuna intenzione di agevolare la AVV_NOTAIO ai fini della sua aggiudicazione.
2.4 Con il quarto motivo deduce il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari ed alla scelta della misura. Si deduce, al riguardo, che la COGNOME è stata sospesa dal suo incarico presso l’Ospedale RAGIONE_SOCIALE di Messina e che, pertanto, non sussistono le esigenze cautelari. In ogni caso si deduce l’illogicità della motivazione nella parte in cui è stata esclusa, a fronte di detta sospensione amministrativa, l’idoneità della misura meno afflittiva del divieto di dimora.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte.
Quanto al primo motivo, rileva il Collegio che la motivazione dell’ordinanza impugnata risulta gravemente lacunosa nella valutazione della ciravità degli indizi di colpevolezza relativi al contestato reato di corruzione propria e nella qualificazione giuridica della condotta contestata alla ricorrente. Pur diffondendosi nella descrizione degli indizi emergenti soprattutto dalle conversazioni intercettate, il Tribunale omette di argomentare in ordine agli elementi costitutivi del reato provvisoriamente contestato, focalizzando, invece, l’attenzione, da un lato, sulla relazione di asservimento dell’indagata ai voleri di COGNOME, e, dall’altro, sul conseguimento da parte di quest’ultimo dell’utilità conseguente all’assegnazione al COGNOME della borsa di studio. Sulla base di tali due circostanze, il Tribunale ha sillogisticamente qualificato la condotta provvisoriamente ascritta alla ricorrente come corruzione propria ritenendo che questa, cedendo alle pressioni di COGNOME, abbia fatto conseguire la borsa di studio a COGNOME il quale, poi, avrebbe reso delle prestazioni professionali, quale esperto di comunicazione, a vantaggio di NOME.
Rileva, tuttavia, il Collegio che tale ricostruzione fattuale, pur evidenziando un esercizio sviato della funzione pubblica, astrattamente riconducibile anche al paradigma dell’abuso di ufficio, omette di individuare le parti e i termini del patt
corruttivo e, soprattutto, di operare un raccordo logico-causale tra l’atto posto in essere dalla COGNOME e la successiva utilità conseguita da NOME.
Va, al riguardo, ribadito che il delitto di corruzione postula un patto nel quale siano dedotti l’atto dell’ufficio e, sinallagmaticamente, la prestazione di un’utilità ch dunque, non può rilevare ex se al di fuori del suo specifico inserimento nell’illecita intesa (cfr. Sez. 6, n. 3765 del 09/12/2020, dep. 2021, Mazzarella, Rv. 281144). In altre parole, ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, no sufficiente che risulti provata la dazione o la promessa del denaro o dell’utilità in favore del pubblico ufficiale o del terzo, essendo, invece, necessario che detta utilità trovi la sua causa nel compimento dell’atto contrario al doveri di ufficio, rappresentando l’adempimento del patto corruttivo (Sez. 6, n. 5017 del 7/11/2011, dep. 2012, Bisignani, Rv. 251867).
Nella fattispecie in esame, ciò che non emerge dall’ordinanza impugnata è proprio detta relazione sinallagmatica tra l’atto compiuto dalla COGNOME e la successiva utilità che si assume conseguita da NOME, rispetto alla quale non è dato sapere se la sua realizzazione sia stata ab initio programmata da quest’ultimo e resa nota alla ricorrente allorché le ha prospettato l’assunzione di NOME.
2.1 La carenza argomentativa sul sinallagma atto/utilità attiene anche alle parti del rapporto corruttivo. Dall’ordinanza impugnata, infatti, non emerge con chiarezza chi sia il soggetto corruttore, se COGNOME, la cui posizione di destinatario dell’utili appare, però, incompatibile con tale ruolo, ovvero COGNOME, il quale, tuttavia, sembrerebbe essersi limitato a sollecitare NOME – e non COGNOME – a procurargli un posto di lavoro. Peraltro, ove si identificasse il corruttore nel NOME, va comunque, considerato che detto ruolo non appare pienamente coerente con la fase in cui, dinanzi alla sua sopravvenuta ritrosia, la ricorrente e NOME si sono attivati per convincerlo a partecipare al concorso.
2.2 Con riferimento, infine, all’oggetto del presunto patto corruttivo, rileva i Collegio che l’ordinanza impugnata non contiene alcuna argomentazione sulla natura dell’atto contestato alla ricorrente. Va, infatti considerato, anche alla luce dell censure difensive, che nel caso in esame viene in rilievo un’attività di carattere discrezionale rispetto alla quale il Tribunale ha omesso di valutare la sua eventuale rispondenza ad una esigenze della Pubblica Amministrazione.
Tale lacuna argomentativa si riflette inevitabilmente sulla qualificazione giuridica della condotta. Va, infatti, considerato che, secondo il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, dal Collegio pienamente condiviso, l’accettazione da parte del pubblico agente di una indebita remunerazione per l’esercizio di un potere
discrezionale non implica necessariamente l’integrazione del delitto di corruzione propria, dovendosi accertare che egli, violando le regole che disciplinano l’esercizio del potere, abbia pregiudizialmente inteso realizzare l’interesse del privato corruttore, sicché, qualora l’atto compiuto abbia comunque perseguito l’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, e non sia stato violato alcun dovere specifico, è configurabile il delitto di corruzione per l’esercizio della funzion (così, da ultimo, Sez. 6, n. 44142 del 24/05/2023, Di Guardo, Rv. 285366 – 02). Ai fini della configurabilità della corruzione propria è, dunque, necessario, in primo luogo, considerare le regole sottese all’esercizio dell’attività discrezionale e verificare: a) se l’atto sia posto in essere in violazione delle specifiche regole che disciplinano l’esercizio del potere discrezionale; b) se l’interesse pubblico sia stato in concreto condizionato dalla “presa in carico” dell’interesse del privato corruttore (cfr. Sez. 6 , n. 1594 del 10/11/2020, dep. 2021, Siclari, Rv. 280342). Con la conseguenza che ove tale duplice verifica abbia un esito negativo, risultando che l’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere è stato, comunque, soddisfatto, il fatto integrerà la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. A tal fin dunque, imprescindibile un’analisi attenta della struttura del patto corruttivo al fin di accertare, da una parte, se sia o meno identificabile “a monte” un atto contrario ai doveri di ufficio e, qualora ciò non sia possibile, se la condotta del pubblico agente, «al di là del caso di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia, nonostante ed in conseguenza del patto, fatto o meno buon governo del potere assegnatogli» (così, testualmente, Sez. 6, n. 1594 del 2021).
Venendo all’esame del secondo e terzo motivo di ricorso, ritiene il Collegio che anche in relazione al reato di cui al capo c), rispetto al quale la condotta ascritta all ricorrente sembrerebbe essersi esaurita in una fase antecedente la conclusione dell’accordo corruttivo, l’ordinanza in esame replica le medesime carenze argomentative già evidenziate nel precedente paragrafo nella qualificazione giuridica della condotta. A ciò si aggiunge, come rilevato nel secondo motivo di ricorso, la mancanza di motivazione in ordine alla idoneità ed univocità della condotta tenuta dalla ricorrente che, secondo quanto afferma il Tribunale, si sarebbe limitata a predisporre un “lettera” in cui sollecitava l’attivazione della procedura relativa a «bando borsa di studio per esperto avvocato specializzato per le professioni legali e per educatore pedagogista».
Parimenti fondato è il quarto motivo di ricorso. L’ordinanza impugnata, infatti, con motivazione meramente apparente, ha reputato irrilevante la sospensione dal servizio della RAGIONE_SOCIALE, limitandosi a porre l’accento, in termini, peraltro, generici sganciati dal riferimento a specifiche circostanze fattuali poste a fondamento di tale conclusione, alla spregiudicatezza della RAGIONE_SOCIALE ed alla sua possibilità di riattivare la sua rete di relazioni anche in pendenza della sospensione.
Va, al riguardo, ribadito che in tema di reati contro la pubblica amministrazione, il pericolo di reiterazione di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen. può rite sussistente anche nei confronti di soggetto in posizione di rapporto organico con l’amministrazione che risulti sospeso dal servizio, purché sia fornita adeguata e logica motivazione – mancante nel caso di specie – in merito alla irrilevanza della sopravvenuta sospensione, con riferimento alle circostanze di fatto che concorrono a evidenziare la probabile rinnovazione, da parte del predetto, di analoghe condotte criminose nella mutata veste di soggetto ormai estraneo e, quir di, di concorrente in reato proprio commesso da altri soggetti muniti della qualifica richiesta (Sez. 6, n. 8060 del 31/01/2019, Romanò, Rv. 275087).
Alla luce di quanto sopra esposto, va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo al Tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Messina competente ai sensi dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Così deciso il 25 gennaio 2024
Il AVV_NOTAIO estensore
Il Pre idepte