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Corruzione propria: la Cassazione sui doveri d’ufficio

Un pubblico ufficiale, responsabile dell’ufficio di stato civile, è stato condannato per corruzione propria per aver accelerato e omesso controlli su pratiche di cittadinanza per stranieri in cambio di denaro da un’intermediaria. La Corte di Cassazione ha confermato la condanna, specificando che un atto contrario ai doveri d’ufficio non è solo un atto illegale, ma anche quello che viola i principi di imparzialità e correttezza. La Corte ha inoltre corretto la pena accessoria applicata all’intermediaria, ritenendola illegale secondo la legge vigente all’epoca dei fatti.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione propria: la Cassazione sui limiti dei doveri d’ufficio

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sul reato di corruzione propria, delineando con precisione i confini dell’atto contrario ai doveri d’ufficio e le differenze con l’abuso d’ufficio. Il caso riguardava un responsabile dell’ufficio di stato civile accusato di aver ricevuto compensi per agevolare il riconoscimento della cittadinanza italiana a cittadini stranieri. La decisione non solo conferma la condanna ma interviene anche sulla corretta applicazione delle pene accessorie, evidenziando il principio del tempus regit actum.

I Fatti di Causa

La vicenda processuale ha origine dalle attività svolte tra il 2013 e il 2015 dal responsabile dell’ufficio di stato civile di un Comune. Secondo l’accusa, confermata in primo e secondo grado, il pubblico ufficiale avrebbe istruito numerose pratiche per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis a cittadini brasiliani, omettendo le dovute verifiche istruttorie.

Queste omissioni sarebbero avvenute in cambio di indebiti compensi versati da un’intermediaria, referente in Italia di un’associazione che assisteva i cittadini stranieri in queste pratiche. L’accordo illecito prevedeva che il pubblico ufficiale violasse i propri doveri di imparzialità e correttezza per accelerare e garantire l’esito positivo delle richieste, in spregio alle circolari ministeriali volte a prevenire falsificazioni documentali.

I difensori degli imputati hanno presentato ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza del patto corruttivo e la riconducibilità dei pagamenti a specifici atti contrari ai doveri d’ufficio. La difesa del pubblico ufficiale ha inoltre suggerito una diversa qualificazione giuridica del fatto, riconducendolo al meno grave reato di abuso d’ufficio.

L’Analisi della Corte di Cassazione e la corruzione propria

La Corte di Cassazione ha rigettato gran parte dei ricorsi, ritenendoli infondati. I giudici hanno sottolineato che, per integrare il reato di corruzione propria, è sufficiente dimostrare l’esistenza di un rapporto sinallagmatico tra la dazione di denaro e l’asservimento della funzione pubblica a interessi privati.

L’Atto Contrario ai Doveri d’Ufficio

La Corte ha ribadito un principio fondamentale: l’atto contrario ai doveri d’ufficio non comprende solo gli atti formalmente illegittimi, ma anche quelli che, pur apparendo regolari, sono stati compiuti violando i doveri di imparzialità, correttezza e buon andamento che ogni pubblico ufficiale deve osservare. Nel caso di specie, l’omissione sistematica dei controlli e l’aver agito per favorire interessi privati, a discapito dell’interesse pubblico, costituiscono una chiara violazione di tali doveri.

La prova del patto corruttivo è stata desunta da una serie di elementi convergenti: conversazioni telefoniche, annotazioni contabili, file informatici e la coincidenza temporale tra i pagamenti e la gestione delle pratiche amministrative.

Corruzione Propria vs. Abuso d’Ufficio

La Corte ha respinto la richiesta di riqualificare il reato in abuso d’ufficio (art. 323 c.p.). La distinzione chiave, secondo i giudici, risiede nella presenza di un accordo corruttivo con un soggetto esterno. Mentre l’abuso d’ufficio può essere commesso autonomamente dal pubblico ufficiale per procurare a sé o ad altri un vantaggio, la corruzione propria si caratterizza per la presenza di un soggetto che offre o promette un’utilità, creando un nesso teleologico con il comportamento illecito del funzionario. Quando vi è un’erogazione esterna, come nel caso esaminato, si applica la figura più grave della corruzione.

Le Motivazioni della Decisione

La Cassazione ha ritenuto le motivazioni della Corte d’Appello logiche, coerenti e complete. Gli elementi probatori raccolti (intercettazioni, documenti informatici, annotazioni contabili) dimostravano in modo inequivocabile l’esistenza di un accordo stabile tra il pubblico ufficiale e l’intermediaria, finalizzato al compimento di atti contrari ai doveri d’ufficio in cambio di denaro. Pertanto, la condanna per il reato di cui agli artt. 319 e 321 c.p. è stata confermata.

Tuttavia, la Corte ha rilevato d’ufficio l’illegalità della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici applicata alla ricorrente (l’intermediaria). I giudici hanno spiegato che, al tempo dei fatti, la legge (art. 317-bis c.p.) non prevedeva tale pena per il corruttore (art. 321 c.p.), ma solo per il corrotto. L’estensione della pena anche al corruttore è avvenuta solo con una modifica legislativa del 2019, non applicabile retroattivamente. Di conseguenza, applicando il principio del favor rei, la Corte ha annullato senza rinvio la sentenza su questo punto, rideterminando direttamente la pena accessoria in una interdizione temporanea di tre anni e quattro mesi.

Conclusioni

La sentenza consolida l’orientamento giurisprudenziale sulla nozione ampia di “atto contrario ai doveri d’ufficio”, che include qualsiasi condotta che tradisca la fiducia dei cittadini e violi i principi di imparzialità della Pubblica Amministrazione. La decisione riafferma inoltre la netta distinzione tra corruzione e abuso d’ufficio, legata alla presenza di un patto illecito con un privato. Infine, si pone come un importante monito sul rispetto del principio di legalità e irretroattività della legge penale, specialmente in materia di pene accessorie, garantendo che nessuno possa essere punito con una sanzione non prevista dalla legge al momento della commissione del reato.

Cosa si intende per “atto contrario ai doveri d’ufficio” nel reato di corruzione propria?
Secondo la sentenza, non si tratta solo di atti formalmente illeciti o illegittimi, ma anche di comportamenti che, pur essendo formalmente regolari, violano i doveri istituzionali di correttezza, imparzialità e buon andamento che il pubblico ufficiale è tenuto a osservare.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la pena accessoria dell’interdizione perpetua per la persona che ha corrotto il pubblico ufficiale?
La Corte l’ha annullata perché, secondo il principio ratione temporis, la legge in vigore al momento dei fatti (prima delle modifiche del 2019) non prevedeva l’interdizione perpetua per il reato commesso dal corruttore (art. 321 c.p.), ma solo per il pubblico ufficiale corrotto. L’applicazione di tale pena era quindi illegale.

Qual è la differenza fondamentale tra il reato di corruzione propria e quello di abuso d’ufficio secondo la Corte?
La differenza fondamentale risiede nella presenza di un accordo con un soggetto esterno che offre un’utilità. La corruzione propria è caratterizzata da questo patto corruttivo tra il privato e il pubblico ufficiale. L’abuso d’ufficio, invece, non richiede necessariamente un accordo di questo tipo, potendo derivare da un’iniziativa autonoma del funzionario.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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