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Corruzione propria e concorso: la decisione della Corte

Un professionista ricorre in Cassazione contro un’ordinanza che aveva applicato nei suoi confronti la misura degli arresti domiciliari per concorso in corruzione propria. Sebbene la misura fosse stata revocata, il ricorrente ha mantenuto l’interesse alla decisione per un eventuale risarcimento per ingiusta detenzione. La Corte Suprema ha rigettato il ricorso, confermando la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. È stato ritenuto decisivo il ruolo del professionista quale intermediario e facilitatore del patto corruttivo tra imprenditori e un funzionario pubblico, consolidato attraverso l’uso di fatture per operazioni inesistenti per veicolare le somme illecite.

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Pubblicato il 15 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione Propria: L’Importanza del Ruolo del Concorrente nel Reato

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43775 del 2024, si è pronunciata su un caso di corruzione propria, chiarendo i contorni del concorso nel reato da parte di un professionista esterno alla pubblica amministrazione. La decisione offre spunti fondamentali sulla valutazione della gravità indiziaria in fase cautelare, anche quando la misura restrittiva è stata nel frattempo revocata.

I Fatti del Caso: Il Patto Corruttivo e le Fatture False

La vicenda giudiziaria ha origine da un’indagine che ha coinvolto un funzionario pubblico, responsabile dell’ufficio tecnico di un Comune, e diversi imprenditori. Al centro del caso vi sono due episodi di corruzione finalizzati a favorire operazioni di edilizia convenzionata. In entrambi gli episodi, il ricorrente, un professionista di fiducia sia degli imprenditori che del funzionario pubblico, avrebbe svolto un ruolo chiave.

Secondo l’accusa, il professionista avrebbe agito come ‘comune denominatore’ e facilitatore del patto illecito. In particolare, i pagamenti destinati a corrompere il pubblico ufficiale sarebbero transitati attraverso società riconducibili al professionista. Queste ultime avrebbero ricevuto somme dagli imprenditori interessati e, a loro volta, le avrebbero trasferite a una società di comodo del funzionario, il tutto mascherato da fatture per prestazioni professionali oggettivamente e soggettivamente inesistenti.

Le Doglianze del Ricorrente e l’Interesse alla Decisione

L’indagato, sottoposto alla misura degli arresti domiciliari, aveva presentato ricorso al Tribunale del Riesame, che tuttavia aveva confermato il provvedimento. Successivamente, la misura era stata prima modificata e poi integralmente revocata. Nonostante ciò, la difesa ha insistito per una pronuncia della Corte di Cassazione, evidenziando il persistente interesse a un annullamento dell’ordinanza originaria ai fini di un’eventuale richiesta di riparazione per ingiusta detenzione, come previsto dall’art. 314 del codice di procedura penale.

Il ricorso si fondava su una presunta carenza di motivazione riguardo alla configurabilità della corruzione propria e all’effettiva responsabilità del professionista quale concorrente.

La Valutazione della Corte sulla corruzione propria

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo infondate le censure mosse dalla difesa. I giudici hanno confermato la solidità del quadro indiziario delineato dal Tribunale, sottolineando come le prove raccolte fossero sufficienti a giustificare, in sede cautelare, la valutazione di gravità indiziaria.

Il Ruolo del Professionista come Concorrente

La Corte ha valorizzato il ruolo sistematico del ricorrente nello sviluppo delle vicende criminali. Egli non era un semplice consulente tecnico, ma un protagonista attivo del meccanismo illecito. La sua partecipazione si è concretizzata in più azioni:
1. Spalleggiamento dei correi: Ha supportato attivamente gli altri indagati nella predisposizione di uno schema di convenzione edilizia difforme da quello approvato dall’organo comunale, al fine di superare ostacoli burocratici e legali.
2. Gestione del pagamento illecito: Ha messo a disposizione le proprie società per veicolare il denaro destinato al funzionario pubblico, utilizzando un cliché operativo basato su fatturazioni fittizie.
3. Rapporto fiduciario: Il legame di fiducia che lo legava al funzionario pubblico è stato un elemento determinante per la realizzazione della transazione illecita.

La Sufficienza degli Indizi Cautelari

La Cassazione ha evidenziato che, in fase di riesame, il giudice non deve raggiungere la prova piena della colpevolezza, ma valutare se gli elementi raccolti costituiscano ‘gravi indizi di colpevolezza’. In questo caso, le intercettazioni, le movimentazioni finanziarie e la palese fittizietà delle fatture costituivano un quadro logico e coerente, sufficiente a sostenere l’accusa.

Le Motivazioni della Sentenza

Il Collegio ha ritenuto che il percorso argomentativo del Tribunale del Riesame fosse adeguato e privo di vizi logici. Le argomentazioni della difesa sono state qualificate come un tentativo di proporre una lettura alternativa dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. Anche riguardo al reato fiscale connesso all’uso di fatture false, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile, osservando che la stessa ammissione di aver pagato per causali diverse da quelle indicate in fattura integrava comunque il reato contestato.

Le Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cruciale: il concorso in corruzione propria non richiede necessariamente che il concorrente sia un pubblico ufficiale. Anche un privato cittadino, come un professionista, può essere ritenuto pienamente responsabile se fornisce un contributo materiale e consapevole alla realizzazione del patto corruttivo. La decisione sottolinea inoltre che l’interesse a una pronuncia di merito su una misura cautelare non viene meno con la sua revoca, se il ricorrente mira a far valere in futuro il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione. Infine, viene confermata la sufficienza, in fase cautelare, di un quadro indiziario grave, preciso e concordante, la cui valutazione logica da parte del giudice di merito non è sindacabile in Cassazione se non per vizi manifesti.

L’interesse a un ricorso contro una misura cautelare permane anche se la misura è stata revocata?
Sì, la sentenza conferma che l’interesse del ricorrente a ottenere una decisione nel merito sussiste se è finalizzato a far valere il diritto a una possibile riparazione per ingiusta detenzione ai sensi dell’art. 314 del codice di procedura penale.

Quali elementi possono configurare il concorso di un professionista nel reato di corruzione propria?
Secondo la Corte, il concorso si configura quando il professionista fornisce un contributo materiale e consapevole alla realizzazione dell’accordo illecito. Nel caso specifico, questo contributo è consistito nell’aver spalleggiato i correi nella redazione di atti contrari ai doveri d’ufficio e nell’aver gestito il meccanismo di pagamento della tangente attraverso le proprie società e fatture fittizie.

Come viene valutata la prova in sede di riesame per una misura cautelare per corruzione propria?
In sede di riesame, il giudice deve valutare la sussistenza di ‘gravi indizi di colpevolezza’, non la prova piena della responsabilità. La valutazione si basa sulla coerenza e logicità degli elementi raccolti (es. intercettazioni, flussi finanziari), che devono delineare un quadro di alta probabilità di colpevolezza, sufficiente a giustificare la misura restrittiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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