Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7670 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7670 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 16/11/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.COGNOME NOMECOGNOME nato a Palermo il 27/07/1958
2.NOME nato a Misterbianco il 09/03/1966
3.NOME COGNOME nato a Agrigento il 28/03/1960
4.NOMECOGNOME nato a Agrigento il 28/01/1961
5.COGNOME NOMECOGNOME nato a Borgomanero il 04/08/1961
in relazione alla sentenza del 22/11/2022 della Corte di appello di Palermo visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto di tutti i ricorsi; udito, per la parte civile, Comune di Motta Sant’Anastasia, il difensore, Avvocato NOME COGNOME che si è associato alle richieste del Pubblico Ministero e ha depositato conclusioni scritte e nota spese;
n
uditi per i ricorrenti i rispettivi difensori, Avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME; per NOME COGNOME, Avvocato NOME COGNOME e Avvocato NOME COGNOME; per NOME COGNOME e NOME COGNOME, Avvocato NOME COGNOME; per NOME COGNOME, Avvocato NOME COGNOME i quali si sono riportati ai rispettivi motivi di ricorso e ne hanno chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del 18 luglio 2019 del Tribunale di Palermo, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al reato di corruzione (artt. 319-321 cod. pen.) loro ascritto al capo B) e nei confronti degli imputati NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di corruzione (artt. 319-321 cod. pen.) di cui al capo C), perché estinti per prescrizione e, conseguentemente, ha rideterminato in anni sette di reclusione la pena inflitta a NOME COGNOME Ha confermato la condanna di questi e di NOME COGNOME alla pena di anni quattro di reclusione, per il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio (art. 319-321 cod. pen.) di cui al capo A) e ha condannato i predetti alla rifusione, in solido tra loro, delle spese in favore della parte civile Comune di Motta Sant’Anastasia. Ha revocato le sanzioni accessorie nei confronti di COGNOME e NOME COGNOME e NOME COGNOME e ha ridotto l’importo della confisca nei confronti di NOME COGNOME, limitatamente al reato di cui al capo B), fino ad euro 50.000 e nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME fino ad euro 50.000. Ha confermato la confisca in danno di NOME COGNOME e NOME COGNOME nella misura della somma di euro ottantacinquemila e sino alla concorrenza di euro dodicimila per NOME COGNOME e NOME COGNOME. Ha, infine, revocato per gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME la statuizione della confisca limitatamente ai beni di cui ciascuno dei predetti aveva disponibilità per un valore corrispondente alla somma non reperita (cioè la confisca per equivalente), ferma restando la statuizione di confisca diretta delle somme innanzi indicate. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.Con riferimento al reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio di cui al capo A), si contesta a Cannova che, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in qualità di funzionario dell’Assessorato Regionale Territorio Ambiente della Regione Sicilia, quindi di pubblico ufficiale, riceveva e accettava la promessa di denaro e altre utilità da NOME COGNOME, presidente della “RAGIONE_SOCIALE“, società con sede a Catania che gestiva lo smaltimento dei rifiuti presso le discariche di COGNOME e Valanghe d’Inverno, site nel Comune di Motta
Sant’Anastasia, a titolo di controprestazione per la commissione di atti contrari ai doveri del proprio ufficio di fedeltà, imparzialità e onestà, anche omettendo atti doverosi, quali: garantire una corsia preferenziale nel rilascio del rinnovo dei provvedimenti autorizzativi; fornire consulenza tecnica nella risoluzione di problematiche amministrative; comunicare preventivamente l’imminenza di eventuali controlli e fornire continuamente tutte le informazioni, anche riservate, di cui era a conoscenza in forza del ruolo ricoperto all’interno della pubblica amministrazione onde garantire al Proto la continuità nell’esercizio dell’attività e quindi la percezione di introiti, nel caso in cui per problemi tecnici l’azienda avesse, invece, dovuto interrompere l’attività di gestione delle discariche, e, comunque, metteva a disposizione la propria funzione a tale titolo.
Nel capo di imputazione sono indicati specifici pagamenti nonché l’offerta di ulteriori somme e, comunque altre utilità, con condotte a partire dal 10 luglio 2008 fino al 27 novembre 2013.
Le contestazioni di cui ai capi B) e C), con l’indicazione di controparti, rispettivamente individuate nei fratelli COGNOME e in NOME COGNOME titolari e legali rappresentanti della “RAGIONE_SOCIALE” e della “RAGIONE_SOCIALE“, attive nel settore di smaltimento dei rifiuti, si strutturano secondo le stesse cadenze.
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME chiedono, con i rispettivi ricorsi, l’annullamento della sentenza impugnata perché inficiata da plurimi vizi di motivazione e di applicazione della legge penale, ai fini della configurabilità del reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio e dell’applicazione della prescrizione, oltre che per vizi processuali che investono la utilizzabilità delle conversazioni che costituiscono la struttura della motivazione della sentenza impugnata, nonché la statuizione di condanna civile e la confisca.
In particolare:
3.1.NOME COGNOME denuncia:
3.1.1. violazione di legge per inosservanza dell’art. 319 cod. pen., di cui difetta l’elemento strutturale costituito dal compimento di atti contrari ai doveri di ufficio in assenza di atti di competenza del pubblico ufficiale direttamente destinati alla produzione degli effetti giuridici: l’imputato, infatti, per come acclarat dall’istruttoria dibattimentale, non aveva competenze nella adozione degli atti ma solo poteri istruttori che si risolvevano in pareri ed altri atti non direttamente espressione dell’esercizio del potere pubblicistico. Le condotte accertate avrebbero potuto, comunque, essere sussunte nella fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen., poiché la mera accettazione di somme per il compimento dell’attività discrezionale,
qualora l’atto compiuto realizzi l’interesse pubblico e non sia violato alcun dovere specifico, integra il reato di corruzione cd. funzionale;
3.1.2. violazione di legge per erronea applicazione delle disposizioni in materia di prescrizione, ex artt. 158 e 161 cod. pen. Alle condotte, perlomeno quelle rubricate ai punti da 1 a 26 del capo A), si applicano, con riguardo al trattamento sanzionatorio, le disposizioni antecedenti alla modifica introdotta con la I. n. 3 del 9 gennaio 2019 sicché, non potendo trovare applicazione neppure le disposizioni sulla continuazione, i reati erano prescritti – così come quelli contestati ai capi B) e D) -, già alla data della pronuncia della sentenza di appello;
3.1.3. violazione di legge e vizio di motivazione per la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche ) , denegate essendo stata valorizzata, per tutti gli imputati, la personalità particolarmente negativa, argomento non plausibile ai fini del diniego ed essendo stati trascurati gli elementi che, invece, con riguardo al ricorrente, ne giustificavano l’applicazione quali, oltre alla incensuratezza, il contegno processuale di partecipazione alle udienze e l’osservanza delle prescrizioni impostegli in sede cautelare.
3.2. NOME NOME denuncia:
3.2.1. violazione di legge in relazione agli artt. 191, 267, 270 e 271 cod. proc. pen. Con i motivi nuovi la difesa aveva eccepito la inutilizzabilità dei decreti di autorizzazione delle operazioni di intercettazione telefonica sulle utenze di NOME COGNOME (il decreto di convalida n. 1873/2011) perché redatto su un modulo prestampato nel quale si faceva riferimento alla sussistenza delle condizioni di legge per l’adozione delle intercettazioni.
La giurisprudenza di legittimità ha censurato tale modus procedendi che non si salva neppure ricorrendo, come hanno fatto i Giudici del merito, allo schema della motivazione cd. per relationem poiché il contenuto del decreto non consentiva di apprezzare gli elementi che il giudice aveva valutato per l’adozione del decreto di convalida, tanto era generico. Né la motivazione del decreto di convalida può essere integrata attraverso il decreto del Pubblico Ministero, che rinviava alle risultanze dell’annotazione di PG relativa ad un fatto diverso (la corruzione del COGNOME in forza di suoi rapporti con uomini d’affari), non collegato, come richiesto dalla sentenza delle Sezioni Unite COGNOME, ai fatti oggetto del procedimento odierno.
Sotto altro aspetto erano inutilizzabili anche le risultanze delle intercettazioni disposte a carico del Cannova con il decreto n. 1342/2011 in quando disposte per il reato di cui all’art. 378 cod. pen. e 7 d.l. 152/1991 e altri reati ascritti a person estranee alle indagini e per rapporti intrattenuti con Cannova, ma in tutt’altro contesto, con persone diverse, oggetto del decreto n. 981/2011. Tali risultanze
sono inutilizzabili, anche quali gravi indizi idonei a legittimare le operazioni di intercettazione sia sulle utenze del Cannova sia su quelle del Proto: erronea, sul punto deve ritenersi, ad avviso del ricorrente, l’affermazione della Corte secondo cui sussiste identità tra il pubblico ufficiale corrotto e le persone indagate nel procedimento cui fa riferimento il decreto n. 981/2011, trattandosi di affermazione generica, non verificata e, comunque, erronea, poiché in tale procedimento si procedeva a carico di altri soggetti;
3.2.2. violazione di legge, in relazione agli artt. 335, 407 cod. proc. pen., per non aver dichiarato inutilizzabili gli esiti delle intercettazioni disposte nel procedimento n. 9190/2013 e conseguentemente per non avere assolto il Proto per quanto attiene alle condotte asseritamente poste in essere da giugno a novembre 2013, emettendo per le residue condotte fino al 1 maggio 2012 – data dell’ultima d’azione asseritamente avvenuta in quell’anno- sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
La motivazione della Corte d’appello è sostanzialmente contraddittoria dal momento che riconosce come le condotte poste in essere dall’imputato debbano essere inquadrate in un unico reato di corruzione permanente: in realtà tale conclusione della Corte trascura di esaminare l’eccezione, formulata già in primo grado ed erroneamente disattesa, concernente la circostanza che il Proto era stato già iscritto, fin dal 14 novembre 2011, nel registro degli indagati unitamente al Cannova e ad altri soggetti per il reato di corruzione nel procedimento n. 10308/2011, il cui termine massimo di indagini sarebbe scaduto il 30 maggio 2013. Accadeva che , a seguito del deposito in data 4 aprile 2013 di un’annotazione di polizia giudiziaria, il pubblico ministero, piuttosto che utilizzare gli elementi acquisiti come fonte di prova per il reato di corruzione per il quale le indagini erano in corso, aveva disposto, il 15 maggio 2013, l’aggiornarmento dell’iscrizione a carico del COGNOME, del Proto e di altri soggetti e aveva proceduto allo stralcio delle loro posizioni con la contestuale formazione di un nuovo fascicolo (avente il n.9190/2013) nel quale proseguivano di fatto le indagini già avviate e protrattesi per il periodo massimo di 18 mesi;
3.2.3. violazione di legge, in relazione all’articolo 319 cod. pen., e cumulativi vizi di motivazione per avere confermato la penale responsabilità del Proto per i fatti di cui al capo A) della rubrica successivi al 1 maggio 2012.
La questione della delimitazione temporale delle condotte contestate aveva costituito lo snodo centrale dei motivi di appello non esaminati dalla Corte di merito e rilevanti per le implicazioni che dovevano trarsi sull’accertamento del tempus commissi delieti. E’, cioè, centrale l’accertamento se nel caso in esame si sia in presenza di un unico accordo corruttivo la cui consumazione era iniziata con la prima dazione e si era protratta nel tempo fino all’ultimo – quindi la tesi della
struttura del reato di cui all’art. 319 cod. pen. come reato unitario con condotta permanente nel tempo -, trattandosi di conclusione che non si confronta con le censure difensive che avevano rilevato come il tempus commissi delicti fosse stato determinato sulla base delle ultime dazioni effettuate a favore del Cannova: le uniche, tra quelle contestate, che sarebbero avvenute dopo l’entrata in vigore della legge 190 del 2012, ma che non potevano essere collegate alla funzione pubblica rivestita dal Cannova poiché questi, a seguito della redistribuzione delle competenze degli uffici regionali, non si occupava più del rilascio delle autorizzazioni in materia di rifiuti e discariche e degli atti connessi.
La tesi delle sentenze di merito è stata sempre quella secondo cui NOME avrebbe retribuito NOME COGNOME proprio per la sua funzione di R.U.P. e di presidente delle conferenze dei servizi che si occupavano delle autorizzazioni. Si era, invece, sostenuta, con i motivi di appello, la diversa tesi che tale ruolo COGNOME non rivestiva in relazione alle dazioni successive all’entrata in vigore della legge 190, e cioè quelle asseritamente avvenute nel 2013, dal momento che quelle precedenti si fermavano, temporalmente, a maggio 2012.
Invero 111 gennaio 2013 era entrata in vigore la legge che aveva sottratto ogni competenza per l’autorizzazione in materia di rifiuti e di scarichi all’ufficio presso il quale Cannova prestava servizio poiché, in sostanza, dal mese di gennaio del 2013 questi e l’ufficio erano stati del tutto spogliati da qualsivoglia competenza nelle materie, aspetto, questo, che la difesa aveva evidenziato attraverso la consulenza tecnica e attraverso le dichiarazioni acquisite dai testi, in particolare dal teste COGNOME. E’, dunque, assolutamente pacifico che, a seguito della entrata in vigore della legge n. 3 del 2013, COGNOME non aveva più i poteri e le mansioni, quindi le competenze, che avrebbero determinato l’elargizione delle utilità potendo emettere i provvedimenti di interesse del Proto.
Aggiunge, inoltre, la difesa che la motivazione riflette una interpretazione erronea del disposto di cui all’art. 319 cod. pen.
La Corte d’appello ha ritenuto che a fronte di qualsivoglia dazione sia configurabile il delitto di corruzione propria a prescindere dalla ragione dell’adozione del provvedimento e finanche quando questa non sia in alcun modo collegata al munus publicum del pubblico ufficiale. E’, invece, evidente che qualsiasi utilità in favore del pubblico ufficiale può integrare la condotta di corruzione propria solo all’interno di un illecito sinallagma che ponga il pagamento come condizione per il compimento, da parte del pubblico ufficiale, di atti contrari ai doveri di ufficio, conclusione che, con le necessarie precisazioni, vale anche per la configurabilità del delitto di cui all’articolo 318 cod. pen. Era pacifico, nel caso, che il Cannova non si occupava più di rifiuti e discariche e, pertanto, a partire dall’Il gennaio 2013 non aveva potuto approfittare dei propri poteri pubblici, ma
si era limitato a porre in essere condotte che avrebbero potuto essere realizzate da qualsiasi cittadino, non implicanti lo svolgimento di funzioni pubblicistiche;
3.2.4. violazione di legge in relazione agli artt. 157-318 e 319 cod. pen. e vizio di motivazione per non avere la Corte di merito emesso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione con riferimento ai reati di cui al capo A) della rubrica, successivi al 1 maggio 2012, previa riqualificazione degli stessi ai sensi dell’art. 318 cod. pen.
La Corte d’appello non ha esaminato i motivi di impugnazione ed è pervenuta alla conferma della sentenza di primo grado ritenendo che le condotte integrassero un unico reato continuato. Sotto diverso profilo, con i motivi di appello, anche per tale aspetto non esaminati, veniva, altresì, censurata la possibilità di applicare, per le condotte successive all’entrata in vigore della legge 190/2012, la pena prevista da tali disposizioni, impossibilità che deriva da un’applicazione corretta, in conformità della Costituzione e della CEDU, dei principi in tema di successioni di leggi penali nel tempo. Le Sezioni Unite hanno, infatti, statuito che presupposto indefettibile per l’applicazione della normativa sopravvenuta, nell’ipotesi di reato permanente, è costituita dalla circostanza che, dopo la entrata in vigore della legge più severa, si siano realizzati tutti gli elementi del fatto-reato e quindi, in relazione al delitto di corruzione, si sarebbe dovuta accertare l’esistenza di una promessa o un’azione connessa al compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio dopo il 29 novembre 2012;
3.2.5. violazione di legge in relazione agli artt.157, 318 e 319 cod. pen. per non avere la sentenza impugnata, previa violazione di legge e comunque con vizio di motivazione, riqualificato i fatti nella previsione normativa di cui all’art. 318 cod. pen. pronunciando sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
La Corte di appello, pur avendo fatto cenno a una censura difensiva espressamente sviluppata con i motivi d’appello, non ha esaminato il tema della qualificazione giuridica del fatto sotto il profilo della corruzione funzionale. La Corte, infatti, non ha esaminato la produzione documentale e le produzioni testimoniali che avevano ricostruito quali fossero le competenze del Cannova e come si fosse sviluppata l’attività del funzionario, ricostruzione che avrebbe condotto alla conclusione che non ricorre il delitto di corruzione propria se l’intervento del pubblico ufficiale non ha comportato l’attivazione di poteri propri del suo ufficio e non sia a questi collegabile un’attività contraria ai doveri di ufficio. E’, questa, una linea interpretativa secondo la quale non può essere ricondotta alla nozione di atto d’ufficio la mera segnalazione o la raccomandazione con cui un pubblico ufficiale segnala e il privato sollecita il compimento di un atto.
In applicazione di questi principi, in tutti i casi in cui il COGNOME avrebbe potuto svolgere una consulenza tecnica in favore del Proto avrebbe dovuto escludersi la configurabilità del reato di corruzione, trattandosi di fattispecie nella quale il COGNOME non aveva esercitato i poteri propri nè aveva agito nell’ambito delle proprie competenze funzionali. Anche a questo riguardo il vizio di motivazione della sentenza, che non ha esaminato congruamente il motivo di appello, è rilevante;
3.2.6. violazione di legge (in relazione agli artt. 2, 62-bis 132, 133, 319 cod. pen.) e vizio di motivazione per avere la Corte applicato una pena eccessiva e denegato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche a fronte della incensuratezza dell’imputato e della sua leale condotta processualel avendo egli reso interrogatorio senza negare i pagamenti e senza sottrarsi, peraltro, ad alcuna domanda nonchè della indubbia rilevanza, comunque, delle attività imprenditoriali sviluppate dall’imputato sul territorio. Il Tribunale aveva ritenuto applicabile la pena prevista dall’art. 319 cod. pen. (da quattro a otto anni, prevista dalla I. 190/2012), facendo applicazione di una pena che corrisponde alla minima prevista dalla nuova legge, statuizione, comunque, erronea per le ragioni che si sono innanzi indicate;
3.2. 7. violazione degli artt.185, 76 e ss., 539 cod. proc. pen., e vizio di motivazione per aver rigettato la richiesta di esclusione della parte civile, Comune di Motta Sant’Anastasia, condannando il Proto al risarcimento dei danni e al pagamento della provvisionale, quantificata in euro 100.000.
Come rilevato nella richiesta di esclusione della parte civile, il Comune si era limitato ad asserire del tutto genericamente che non sarebbero da escludere possibili conseguenze sulla salute pubblica a causa degli omessi controlli e in mente ai fini del rilascio delle autorizzazioni. Non si comprendeva né era indicato, se non in modo del tutto generico, quale danno sarebbe potuto derivare in modo diretto dalle condotte degli imputati nei confronti del Comune. Il rigetto della richiesta difensiva, quindi, non è stato motivato dalla sentenza impugnata.
Infine si chiede la revoca della confisca, in tutto o in parte, e relativamente alle condotte per le quali sarà emessa sentenza di assoluzione per intervenuta prescrizione.
Con motivi nuovi depositati il 24 ottobre 2023 i difensori di NOME COGNOME si riportano al terzo e al sesto motivo del ricorso principale e denunciano:
3.2.8. violazione di legge, in relazione agli articoli 157, 346-bis e 319-321 cod. pen. e connessi vizi di motivazione per non aver emesso sentenza di non doversi procedere per intervenuta prescrizione con riferimento ai fatti di cui al capo A), successivi al 1 maggio 2012, previa riqualificazione degli stessi ai sensi dell’articolo 346-bis cod. pen. Si osserva che dall’il. gennaio 2013 NOME
Cannova era stato trasferito ad altro settore e quindi le attività successive a tale data (le uniche tra quelle contestate verificatesi dopo l’entrata in vigore della legge 190/2012 e relative ad attività svolte a seguire dal mese di giugno 2013), non erano riconducibili alla qualifica di responsabile unico del procedimento e presidente della conferenza dei servizi poiché il Cannova non poteva più occuparsi del rilascio delle autorizzazioni in materia di discariche. Numerosi documenti e allegati alla consulenza, tra i quali anche la domanda di rinnovo dell’autorizzazione proposta 1’8 gennaio 2013 dalla “OIKOS”, e così le dichiarazioni del teste COGNOME sono state trascurate nella ricostruzione delle funzioni pubblicistiche rivestite dall’imputato laddove il fatto che COGNOME fosse stato esautorato da qualsiasi potere avrebbe dovuto condurre a ritenere inquadrabili i fatti nel delitto di traffico di influenze illecite, questione che la Corte di legittimità può esaminare di ufficio. Si è, infatti, al cospetto di una ipotesi di cosiddetta mediazione qualificata ovvero del traffico che vede protagonista un pubblico agente. Sotto altro profilo, data la richiamata spoliazione dei poteri funzionali del Cannova, deve escludersi che le presunte dazioni possano essere ricondotte ad una ipotesi corruttiva dal momento che l’intervento del pubblico ufficiale non comportava l’attivazione di poteri tipici del suo ufficio dal momento che Cannova svolgeva le sue attività in un assessorato distinto e separato da quello, nelle more, divenuto competente per il rilascio delle autorizzazioni.
3.3. NOME COGNOME e NOME COGNOME denunciano:
3.3.1. violazione di legge in relazione alla qualificazione giuridica del fatto, inquadrato nel reato di corruzione, laddove gli imputati hanno sempre sostenuto che il rapporto con NOME COGNOME fosse di tipo concussivo, aspetto questo che emerge dalle intercettazioni nelle quali risulta che il COGNOME non volesse la realizzazione dei progetti del Sodano. Una conversazione emblematica viene, ad avviso dei ricorrenti, riportata a pagina 85 della sentenza della Corte d’appello, in cui gli imputati lamentano che il funzionario abbia detto loro di accontentarsi della discarica che già avevano.
Le considerazioni che la Corte ha svolto, rigettando le eccezioni difensive, sono del tutto generiche e la motivazione non può che ritenersi apparente, essendo stata pretermessa la valutazione, in punto di diritto, sulla sussistenza degli elementi del fatto tipico di cui all’art. 319 cod. pen. rispetto a quello di cui al 317 cod. pen. ovvero all’art. 319-quater cod. pen.
La difesa, fin dal primo grado, aveva prodotto una perizia nella quale aveva dimostrato che le iniziative dei ricorrenti erano regolari e assentibili e che in questo contesto si era inserito, con il richiamo a generiche pressioni di uomini politici, il COGNOME a scopo di esigere pagamenti di somme.
Nel caso in esame, dunque, l’analisi per distinguere tra corruzione propria impropria nonché tra il delitto di corruzione e quello di concussione è stata completamente pretermessa dalla Corte d’appello.
3.3.2. violazione di legge, in relazione agli artt. 322-ter cod. pen. e 578-bis cod. proc. pen. per erronea applicazione della normativa penale in tema di confisca del profitto o del prezzo del reato.
La Corte d’appello ha dichiarato prescritto il reato di corruzione e, esclusa la confisca per equivalente, ha confermato la confisca diretta, applicando erroneamente la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen. La Corte d’appello, inoltre, per disporre l’ablazione a carico dei COGNOME, ha qualificato come diretta la confisca richiamando il disposto di cui all’art. 322-ter cod. pen. che, tuttavia, prevede solo la confisca del profitto del reato e, se questa non è possibile, autorizza la confisca di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente, e, comunque, non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità date o promesse al pubblico ufficiale.
4.4. NOME COGNOME denuncia:
4.4.1. nullità della sentenza per violazione di legge e cumulativi vizi della motivazione con riferimento alla sussistenza dell’atto contrario ai doveri d’ufficio e ad una condotta di reato sussumibile nel delitto di corruzione, e violazione di legge per conseguente erronea statuizione in ordine alla dichiarazione di prescrizione. La sentenza impugnata è inficiata di nullità per inosservanza delle disposizioni di cui agli artt. 319 e 321 cod. pen., sotto il profilo della sussistenza degli elementi costitutivi dell’illecito penale e dell’elemento psicologico del reato nonché della prova dell’accettazione o formulazione della promessa e della dazione.
La Corte d’appello non ha esaminato compiutamente l’atto di impugnazione e la l’impostazione motivazionale risente di un errore genetico del processo, e, ancora prima, dell’iter investigativo, poiché il ricorrente operava in un settore totalmente diverso da quell’oggetto della contestazione, cioè quello dell’energia, facente capo ad assessorato diverso da quello di appartenenza del Cannova: in sintesi, se gli altri imputati per esigenze funzionali dirette erano costretti a confrontarsi sempre con l’architetto COGNOME funzionario dell’ARPA e, quindi, titolare diretto dei poteri autorizzativi, l’interesse imprenditoriale dell’COGNOME verteva su impianti diversi, sottoposti al controllo e al potere autorizzativo di un diverso assessorato regionale, precisamente quello dell’energia al quale era estraneo il COGNOME.
I Giudici di merito hanno erroneamente ritenuto che l’impresa dell’RAGIONE_SOCIALE (la “RAGIONE_SOCIALE“) fosse interessata alle procedure, ma in realtà essi hanno errato sulla funzione del Cannova, nel corso della conferenza di servizi del 20 ottobre
2008, poiché l’imputato vi aveva partecipato solo come delegato dell’Ufficio di appartenenza. La procedura della “OSMOS”, già assentita dagli uffici competenti, non necessitava di alcun parere, come attestato nel parere rilasciato dall’ing. COGNOME Non sono pertanto individuati dalla Corte di appello atti di ufficio contrari compiuti dal COGNOME che, invece, incorrendo nel vizio di travisamento della prova, la Corte di appello, e prima il Tribunale, hanno ritenuto sussistenti;
4.4.2. violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato di corruzione e mancata riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 346-bis cod. pen., già evidente nel capo di imputazione, ove la condotta del COGNOME veniva inquadrata nell’avere “garantito” ad COGNOME una corsia preferenziale nel rilascio dei necessari provvedimenti amministrativi presso le autorità competenti. COGNOME aveva svolto, secondo l’Accusa, un’attività di consulenza a favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, consulenza che, per poter essere proficua, doveva essere finalizzata ad evitare errori e a conformare a legge le istanze della “RAGIONE_SOCIALE” e, quindi, non poteva, per definizione, avere ad oggetto atti contrari alla legge. Né potevano appartenere al Cannova informazioni che questi avrebbe dovuto “veicolare” alla “RAGIONE_SOCIALE” dal momento che il predetto coimputato non aveva competenza nella materia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME perché, ferme restando le statuizioni civili e la confisca, il reato è estinto per prescrizione.
Devono essere rigettati i ricorsi di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME.
2.Secondo la ricostruzione svolta nella sentenza impugnata, il quadro probatorio a carico degli imputati era emerso a seguito di una fitta e articolata attività investigativa posta in essere dalla Polizia Giudiziaria, avente ad oggetto alcune pratiche di autorizzazione all’apertura e gestione di discariche avviate su richieste proposte nel corso del tempo dagli imprenditori interessati a tale settore di attività. Si era accertato che le pratiche erano state tutte istruite press l’Assessorato Regionale Territorio Ambiente dall’architetto NOME COGNOME all’epoca dei fatti, e fino al mese di gennaio 2013, assegnato al Servizio 2 AIA (acronimo per Autorizzazione Integrata Ambiente), VIA (acronimo per Valutazione Impatto Ambientale) e VAS (acronimo di Valutazione Ambientale Strategica), del dipartimento Ambiente.
Le indagini, articolatesi attraverso operazioni di intercettazioni telefoniche e conseguenti acquisizioni documentali, avevano consentito di accertare che NOME COGNOME era investito del ruolo di responsabile unico del procedimento nonché di quello di presidente delle conferenze dei servizi, nell’ambito delle attività istruttorie propedeutiche al conseguimento dei decreti dirigenziali di autorizzazione integrata ambientale in materia di discariche di rifiuti e di tutte le numerose attività conseguenti alla operatività e mantenimento in attività degli impianti sottoposti all’autorizzazione predetta.
Era emerso un modus operandi ricorrente da parte del COGNOME, nel senso che le motivazioni dei provvedimenti di rigetto e di accoglimento delle istanze di autorizzazione – di teorica competenza dei dirigenti superiori gerarchici dell’imputato – erano state non soltanto da lui stesso materialmente predisposte di tutto punto, con articolata indicazione dei pareri e delle prescrizioni dettate, ma, nella sostanza, da questi decise esclusivamente e poi sottoposte e sottoscritte, congiuntamente o meno, dal direttore del dipartimento e dal dirigente del servizio NOME COGNOME e NOME COGNOME sentiti come testi nel corso del procedimento.
Dalle indagini era emersa la particolare complessità del procedimento di autorizzazione, nel quale si intersecavano pareri e atti di numerose autorità amministrative competenti in diversi settori: tuttavia, dalle intercettazioni era risultato che NOME COGNOME usava o omettere le conferenze dei servizi ovvero programmarle con tempistiche strategiche in funzione del beneficio specifico che poteva derivarne al singolo imprenditore.
Risultava che fra questi il beneficiario generalmente preferito era NOME COGNOME operante in tutta la Sicilia, attraverso la società “RAGIONE_SOCIALE“, ma che, per singole pratiche, erano stati ampiamente favoriti sia i fratelli COGNOME e NOMECOGNOME che NOME COGNOME.
La sentenza impugnata, per la ricostruzione dei fatti, ha rinviato ampiamente alla sentenza di primo grado, che ha compiuto un’analisi delle attività del Cannova scandita cronologicamente per periodi analizzando, per blocchi di periodi, le conversazioni intercettate da settembre 2011 a marzo 2012; da maggio a giugno 2012 (quando venne registrata una interruzione del flusso di comunicazioni tra Cannova e Proto, in conseguenza della notifica degli avvisi di proroga delle indagini del presente procedimento), e, infine, da giugno a novembre 2013: cadenze, queste, sulle quali sono strutturati, anche al fine di trarne le conseguenze in punto di qualificazione giuridica dei fatti, i motivi di ricorso e, in particolare, quel NOME COGNOME.
3.11 tema centrale del presente procedimento attiene, come può evincersi dalla sintesi dei motivi, alla qualificazione giuridica dei fatti sussunta, nel
decisioni di merito, nel delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di uffici (art. 319-321 cod. pen.) e da ricondursi, generalmente, per i ricorrenti, al delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 cod. pen.).
Come si è detto, la sentenza impugnata rinvia, ai fini della ricostruzione delle specifiche vicende, alla sentenza di primo grado che, pur non tralasciando l’esame delle attività amministrative svolte dal Cannova in corrispondenza delle operazioni di intercettazione, per tutti e ciascuno dei ricorrenti si è dipanata nell’analisi dell conversazioni intercettate, riportate pressoché integralmente, vuoi al fine di illustrare le attività amministrative in corso, e delle quali i loquenti parlan diffusamente, vuoi per documentare i pagamenti ricevuti dal funzionario.
E’ innegabile che la mole delle conversazioni – dalle quali emerge univocamente la descrizione della figura del COGNOME come funzionario a “libro paga” del Proto e destinatario dei pagamenti effettuati dagli altri imprenditori che rivendicano i pagamenti eseguiti per sistemare le pratiche di interesse -, appanna l’analisi dell’attività amministrativa di riferimento (sono gli stessi Giudici di pri grado a evidenziare la mancata produzione della documentazione di riferimento), anche se, dal punto di vista generale, il Tribunale ha affrontato il tema del rapporto corruzione funzionale/corruzione propria, assumendo a criterio guida quello della necessaria individuazione, ai fini della qualificazione giuridica dei fatti come delitto di corruzione propria, dell’atto contrario compiuto dall’agente pubblico. Le sentenze di merito hanno, infatti, espressamente fatto rinvio alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, integra il reato di cui all’art. 318 cod. pen. (nel testo introdotto dalla legge novembre 2012, n. 190), e non il più grave reato di corruzione propria di cui all’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia prodotto il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio, poiché, in tal caso, si determina una progressione criminosa nel cui ambito le singole dazioni eventualmente effettuate si atteggiano a momenti esecutivi di un unico reato di corruzione propria a consumazione permanente (Sez. 6, n. 49226 del 25/09/2014, COGNOME, Rv. 261352). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4.Si impone, come preliminare, l’esame delle questioni processuali poste con il ricorso di NOME COGNOME che ha dedotto, per più aspetti, il tema della inutilizzabilità delle conversazioni intercettate.
Ritiene il Collegio, a tal riguardo, che le conclusioni cui è pervenuta la sentenza impugnata sono corrette e che le deduzioni difensive sono infondate.
4.1. In sintesi, la difesa del Proto, eccepisce la inutilizzabilità del intercettazioni iniziate con il decreto n. 1873/2011 perché tale decreto era carente di motivazione in quanto redatto su un modulo prestampato nel quale si faceva riferimento alla mera sussistenza delle condizioni di legge per l’adozione delle intercettazioni, nonché di quelle disposte con il decreto n. 1342/2011 perché relative a diverso reato ascritto al Cannova, non connesso ai reati oggetto di indagine.
In particolare la sentenza impugnata ha richiamato, ai fini della motivazione dei decreti di autorizzazione delle operazioni di intercettazione, il principio secondo cui è legittima la motivazione “per relationem” dei decreti autorizzativi quando in essi il giudice faccia richiamo alle richieste del P.M. ed alle relazioni di servizio dell polizia giudiziaria, ponendo così in evidenza, per il fatto d’averle prese in esame e fatte proprie, l'”iter” cognitivo e valutativo seguito per giustificare l’adozione d particolare mezzo di ricerca della prova (Sez. 5, n. 24661 del 11/12/2013, COGNOME, Rv. 259867).
A tal riguardo la Corte di appello ha testualmente riportato stralci del decreto che ne comprovano l’assunto, smentendo l’allegazione difensiva di uso di un modulo prestampato, carente delle indicazioni che non siano quelle di puro stile, nella illustrazione sia degli indizi di reato (i contatti del Cannova con imprenditori del settore fra i quali Proto, finalizzati a seguirne le pratiche di interesse, per motiv di mercimonio della funzione pubblica), sia del requisito dell’urgenza, facendo riferimento, le conversazioni intercettate, a pratiche in itinere, con la necessità di tempestivo monitoraggio. Caratteristica, conclude il Giudice di appello, comune a tutti i decreti presenti agli atti.
La sentenza impugnata, dopo un’analitica esposizione della sentenza di questa Corte che ha affrontato il tema del divieto di utilizzazione dei risultati dell intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali sono state assentite (S.U, n. 51 del 28/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277395), richiamata anche dalla difesa, ha puntualmente illustrato (pag. 32), il contenuto del decreto autorizzativo, sopra riportato in sintesi, evidenziando, altresì, che esso fa richiamo al decreto n. 981/2011 disposto, oltre che per reati diversi (artt. 629, 513 e 7 d.l. n. 152/1991), “anche” per i reati di cui agli artt. 319-321 cod. pen. e ne ha riportato la motivazione nella quale si dà atto delle cointeressenze del Cannova con NOME COGNOME, ai fini del rilascio delle autorizzazioni oggetto dell’interesse di questi, concludendo con l’affermazione che la motivazione, plasticamente, era dimostrativa della connessione tra procedimenti rilevante, ai sensi dell’art. 12 cod. proc. pen., ai fini della utilizzazione.
4.2. Non sfugge all’esito di infondatezza il motivo di ricorso che denuncia la inutilizzabilità delle conversazioni oggetto di intercettazione nel procedimento n.
9190/2013, iscritto 11 15 maggio 2013 e, conseguentemente, delle intercettazioni svolte da giugno a novembre 2013, laddove – secondo il ricorrente- gli esiti che davano luogo a tale iscrizione avrebbero dovuto essere inseriti nell’originario procedimento (quello avente il n. 10380/2011), per il quale i termini delle indagini erano scaduti.
Anche in tal caso, correttamente la Corte di merito ha evidenziato che dalla informativa di polizia del 4 aprile 2013 emergevano ulteriori episodi di corruzione che giustificavano la autonoma iscrizione di notizia di reato sulla base di una pertinente argomentazione, che fa riferimento a episodi specifici, che avrebbero dovuto essere, oggettivamente, ricostruiti a prescindere dall’operazione, logicamente successiva, dell’inquadramento giuridico dei fatti accertati in un unitario reato di corruzione (o, come si dirà innanzi) in una pluralità di accordi corruttivi.
5.Come anticipato, relativamente ai motivi di ricorso di NOME COGNOME e NOME COGNOME non è messa in discussione la circostanza che il funzionario fosse “a libro paga” dell’imprenditore.
Piuttosto si contesta che le condotte del funzionario fossero riconducibili al compimento di atti contrari ai doveri di ufficio e, prima ancora, che si trattasse di condotte collegate alle funzioni pubblicistiche del Cannova sotto un duplice profilo: che il funzionario, assegnato all’Assessorato Regionale Territorio Ambiente, non avesse competenze nell’adozione degli atti ma solo poteri istruttori, tesi, questa, in particolare, svolta con il primo motivo di ricorso del Cannova, e, che, comunque, questi svolgesse più funzioni pubblicistiche nel settore correlato alla gestione dei rifiuti, non potendo adottare i conseguenti provvedimenti di interesse del Proto a partire dal mese di gennaio 2013 quando le competenze del Servizio 2 erano state assegnate a diverso servizio (profilo, questo, sul quale si è soffermata, in particolare, la difesa del Proto).
Val bene rilevare, al fine di orientare l’analisi delle deduzioni difensive, che nella sentenza di primo grado – attraverso una motivazione particolarmente incentrata sulla riproduzione delle conversazioni intercettate – sono state valorizzate, ai fini della individuazione dell’atto contrario, due particolari vicende una relativa alle attività svolte dal Cannova per bloccare le iniziative dei vari uffic finalizzate alla revisione dei decreti autorizzativi dell’esercizio degli impian “RAGIONE_SOCIALE” e, in particolare, le vicende connesse alle modalità di gestione della conferenza di servizi del 13 marzo 2012; l’altra relativa agli episodi del fermo impianti presso la discarica di Tiritì del 3 e 14 aprile 2012 e al comportamento del Cannova, che si faceva inviare dalla dipendente della società i rilievi dell’ARPA,
senza adottare i dovuti provvedimenti, così agevolando gli interessi del Proto che poteva proseguire nelle sue attività.
6.11 primo motivo di ricorso di NOME COGNOME è infondato.
La Corte di appello (pag. 51) ha rigettato gli argomenti difensivi evidenziando, attraverso precisi riferimenti alle attività poste in essere e richiamando le risultanze di prova anche dichiarativa, che egli era il dominus delle questioni che riguardavano la “RAGIONE_SOCIALE“(v. tel. del 24 marzo 2012) e che svolgeva non solo un’attività di consulenza a favore del Proto e delle sue imprese, fornendogli suggerimenti e vere e proprie direttive – per es., in vista dello scioglimento dei vincoli sulla discarica di Vallone d’Inferno e per la presentazione del nuovo piano finanziario di adeguamento delle tariffe – ma adoperandosi anche per garantirgli il raggiungimento dei suoi obiettivi, a fronte di qualsivoglia emergenza che si presentasse nella gestione delle discariche: attività che si inseriva in una complessa dinamica e in un contesto sociale caratterizzato dalle proteste dei cittadini e dei comitati anti discariche, fortemente oppositive verso la gestione della discarica di Tinti da parte della “RAGIONE_SOCIALE s.p.a”.
La sentenza impugnata ha valorizzato, quali sintomatici dello svolgimento di attività contraria ai doveri di ufficio, il ruolo e il contenuto della partecipazione d Cannova alla conferenza dei servizi del 13 marzo 2012; le attività dell’imputato per pregiudicare la “RAGIONE_SOCIALE“, concorrente del Proto a Ramacca, e, nell’aprile del 2012, le vicende del fermo impianti. Per tale vicenda, in particolare, è documentato dalle intercettazioni che Cannova si adoperò per tenere nascosta la notizia alle autorità competenti, facendo comunicare la rilevata interruzione dell’impianto di selezione e vagliatura, riscontrata dall’ARPA, solo a sé medesimo ed evitando di adottare i conseguenti e necessari provvedimenti che incombevano al servizio regionale, in quanto autorità competente al controllo delle prescrizioni recate dalle autorizzazioni in modo da consentire al Proto di continuare a smaltire in discarica i rifiuti non trattati (dunque illegalmente, ossia realizzando un trattamento di rifiuto abusivo).
Anche la sentenza di primo grado (pag. 22) ha descritto i comportamenti del Cannova, valutando analiticamente (pag. 31 e ss.) contenuto e modalità della conferenza di servizi del 13 marzo 2012, alla quale Cannova aveva partecipato pur non presiedendola, ed evidenziando che la conferenza si inseriva in una problematica centrale per Proto, involgendo le sorti dei decreti di autorizzazioni ricevuti dalla “RAGIONE_SOCIALE” che concernevano la sussistenza dei requisiti operativi dell’esercizio dell’impianto, la compatibilità ambientale della discarica e la sua coerenza rispetto alle previsioni dettate dal piano di rifiuti e alle leggi nazionali regionali vigenti in materia.
In particolare, rileva il Tribunale, già dal settembre 2011, quando erano iniziate le intercettazioni, erano state captate conversazioni di COGNOME e COGNOME che riguardavano proprio questo argomento e la riunione del 13 marzo 2012 era finalizzata a decidere una partita decisiva per l’imprenditore, cioè il mantenimento o la chiusura della discarica storica della società in INDIRIZZO, in esercizio dagli anni 80, e della nuova discarica già autorizzata in INDIRIZZO, all’interno sempre del medesimo sito.
Il Tribunale ha illustrato come la riunione della conferenza dei servizi fosse stata accuratamente preparata dal COGNOME che, al termine, ne relazionava minuziosamente l’andamento informando Proto su come avesse manipolato tutti i partecipanti, facendo credere loro che la discarica di Tiritì era prossima alla chiusura (che in realtà sarebbe avvenuta solo a giugno 2013) e che il nuovo impianto di Valanghe d’Inverno sarebbe stato conforme a legge, a differenza di altre discariche.
Il COGNOME, come evidenziato dai Giudici del merito, aveva, addirittura, registrato la riunione, per farne ascoltare il contenuto a Proto (conversazione a pag. 195 e 209) e gli aveva garantito che l’iniziativa di aprire un procedimento sulle sue discariche non avrebbe avuto seguito tanto che il presidente, NOME COGNOME gli aveva restituito l’incartamento “OIKOS”.
COGNOME, prosegue la sentenza di primo grado, aveva esposto in dettaglio l’andamento della seduta, evidenziando la sua maestria nel manipolare con astute argomentazioni tecniche frammiste ad informazioni menzognere da lui stesso commentate col Proto, il presidente NOME e gli altri personaggi mettendoli a tacere, imponendosi all’attenzione e divenendo punto di riferimento del presidente NOME. Tra gli altri successi il COGNOME riferiva che era riuscito a conseguire l’allontanamento del pericolo che COGNOME riuscisse a far avere alla società “RAGIONE_SOCIALE“, concorrente del Proto, l’autorizzazione per l’esercizio di una discarica nel Comune di Ramacca, nel comprensorio delle discariche di Motta Sant’Anastasia.
La sentenza ha, infine, ricostruito gli episodi del fermo impianto, evidenziando l’iniziativa del Cannova per occultare il fatto, facendo comunicare solo a sé il fermo, assicurando la copertura con altre autorità amministrative e, quindi, garantendo la prosecuzione dell’attività della “RAGIONE_SOCIALE“.
L’analitica disamina delle attività svolte dal COGNOME ha trovato conferma, secondo la sentenza impugnata, nelle deposizioni dei testi, COGNOME e COGNOME che non avevano smentito la ingerenza dell’imputato, in linea con la sua posizione funzionale, in tutte le attività dell’ufficio strumentali all’esame delle pratiche interesse della “OIKOS”.
La Corte di merito, infine, in risposta ai rilievi difensivi sull’articolazione tempo delle attività del Cannova, soprattutto a partire dal mese di gennaio 2013,
a seguito della entrata in vigore della legge regionale n. 3, ha ritenuto accertata, e sussumibile nella fattispecie di cui agli artt. 319-321 cod. pen., la funzione di consulenza che, stabilmente, l’imputato aveva svolto a favore dell’imprenditore e come assumessero rilevanza i suggerimenti a lui dati per raggiungere i suoi obiettivi, non trattandosi di meri pareri ma di suggerimento su come comportarsi in caso di controlli dell’ARPA, quali iniziative intraprendere per chiedere lo scioglimento di vincoli gravanti sulle aree della discarica Valanghe d’Inverno presso la Soprintendenza e l’Ente Parco, come regolarsi in vista della presentazione di piani per la revisione delle tariffe.
7.Le conclusioni dei Giudici di merito sul tema della qualificazione giuridica dei fatti ai sensi dell’art. 319 cod. pen., piuttosto che come corruzione funzionale, alla quale rinviano i motivi di ricorso, proposti da NOME COGNOME e da NOME COGNOME non possono essere totalmente condivise, anche se la prospettazione difensiva sviluppata, in particolare, nel terzo motivo di ricorso del Proto, in merito alla natura del reato di corruzione, ai fini della individuazione del tempus commissi delicti, necessita di alcune precisazioni.
Ritiene, infatti, la Corte che la condotta di COGNOME e Proto debba essere sussunta nella fattispecie di corruzione propria per le condotte commesse fino al mese di giugno 2012 – e per le dazioni indicate nei punti da 1 a 26 – e alla fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. per le condotte successive, reati entrambi ormai prescritti, come sarà di seguito precisato.
8.La giurisprudenza di legittimità, esaminando il tema del rapporto tra corruzione propria e corruzione funzionale, con una decisione successiva alla sentenza di primo grado, ha definitivamente stabilizzato il punto controverso in materia, costituito dalla individuazione dell’elemento specializzante del reato di corruzione propria, rispetto a quella che è stata individuata come la figura base del reato di corruzione di cui all’art. 318 cod. pen., cioè il contenuto del patto che, ai fini dell’inquadramento nel delitto di corruzione propria, deve essere necessariamente ricondotto al compimento di atto contrario ai doveri di ufficio.
La giurisprudenza, approfondendo un aspetto che era stato già enucleato nella giurisprudenza precedente (in particolare nella sentenza COGNOME, richiamata nella sentenza impugnata), ha affermato, esaminando i requisiti delle due figure criminose sul piano dell’offesa al bene giuridico protetto, che il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione pubblica, di cui all’art. 318 cod. pen. come novellato dalla I. 6 novembre 2012, n. 190, si differenzia da quello di corruzione propria, di cui all’art. 319 cod. pen., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro
una dazione o promessa indebita (in motivazione, Sez. 6, n. 4486 del 11/12/2018, dep. 2019, COGNOME), ritenendo integrata la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. ogniqualvolta la finalità dell’accordo corruttivo, al quale si riconduce il mercimonio della funzione, non sia nota (in motivazione, Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, COGNOME).
Pacifica, inoltre, l’affermazione che il reato di cui all’art. 318 cod. pen. h natura di reato eventualmente permanente se le dazioni indebite sono plurime e trovano una loro ragione giustificatrice nel fattore unificante dell’asservimento della funzione pubblica (Sez. 6, n. 3043, cit., Rv. 265919).
Il vero punto critico della più risalente esegesi era rappresentato dal rapporto tra i concetti di esercizio della funzione, contrarietà ai doveri di ufficio discrezionalità amministrativa.
Ci si chiedeva, posto che costituiscono atti contrari a doveri di ufficio quelli illeciti (perché vietati) o illegittimi, perché in contrasto con norme riguardanti l loro validità ed efficacia, se e in quali termini un atto discrezionale possa considerarsi contrario ai doveri di ufficio, soprattutto nei casi di asservimento delle funzioni del pubblico ufficiale agli interessi del privato poiché, si osservava, in tal evenienza, anche la presenza di atti formalmente legittimi, non rigorosamente predeterminati, ma tesi a realizzare l’interesse del privato, anziché quelli istituzionali, determina un inquinamento della decisione del funzionario pubblico tale da configurare, ex se, “un eccesso di potere”, riconducibile al concetto di contrarietà ai doveri di ufficio richiamato dall’art. 319 cod. pen. poiché comportava una abdicazione del dovere di valutazione comparativa degli interessi in gioco (ex multis, Sez. 6, n. 29267 del 05/04/2018, COGNOME, Rv. 273448).
Il rischio di siffatta ricostruzione è, in effetti, quello di far coincider contrarietà dell’atto di ufficio con l’osservanza dei doveri istituzionali, espressi i norme di qualsiasi livello, compresi quelli di correttezza e imparzialità, come espressamente affermato in alcune decisioni, pervenendo all’affermazione che integra il delitto di corruzione propria la condotta del pubblico ufficiale che, dietro elargizione di un indebito compenso, esercita i poteri discrezionali spettantigli rinunciando ad una imparziale comparazione degli interessi in gioco, al fine di raggiungere un esito predeterminato, anche quando questo risulta coincidere, “ex post”, con l’interesse pubblico, e salvo il caso di atto sicuramente identico a quello che sarebbe stato comunque adottato in caso di corretto adempimento delle funzioni, in quanto, ai fini della sussistenza del reato in questione e non di quello di corruzione impropria, l’elemento decisivo è costituito dalla “vendita” della discrezionalità accordata dalla legge (Sez. 6, n. 6677 del 03/02/2016, Maggiore, Rv. 267187).
La Corte di Cassazione, come si è anticipato, ha, invece, affermato, negli approdi più recenti, che lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l’impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, è sussumibile nella previsione dell’art. 318 cod. pen., e non in quella, più severamente punita, dell’art. 319 cod. pen., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia in concreto prodotto il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio (Sez. 6, n. 18125 del 22/10(2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555- 4).
Con riferimento all’attività di natura discrezionale dell’agente pubblico, la Corte ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, è necessaria la individuazione di specifiche norme attinenti a modi, contenuti, o tempi dei provvedimenti e decisione, non potendo ravvisarsi la contrarietà dell’atto nella mera violazione dei doveri istituzionali di correttezza ed imparzialità, che, invece, connotano il reato di corruzione cd. funzionale.
Si è osservato che « Ove si ritenga che la retribuzione del pubblico ufficiale implichi di per sé la violazione del dovere di imparzialità, la violazione di detto dovere finirebbe per costituire un contenitore generale al cui interno ricondurre una quantità indistinta di condotte la cui rilevanza, ai fini della integrazione della fattispecie di cui all’art. 319 cod. pen., sarebbe fatta derivare solo dalla esistenza dell’accordo corruttivo, “a prescindere” dalla concreta offesa della funzione amministrativa, dalla concreta violazione di questa, dalla inosservanza dei doveri specifici di ufficio». Si precisa, ulteriormente, che non può condividersi «il “presupposto, di tipo “presuntivo psicologico”, secondo cui una volta concluso l’accordo corruttivo, “il successivo (futuro e incerto) esercizio del potere pubblico non potrà non essere inquinato, contaminato dall’interesse privato veicolato dell’intesa illecita”», perché, in realtà, ciò che rileva è la necessità di «fa riferimento alle regole sottese all’esercizio dell’attività discrezionale e verificare se l’interesse pubblico sia stato in concreto condizionato dalla “presa in carico” dell’interesse del privato corruttore; nel caso in cui l’interesse pubblico non sia stato condizionato, il fatto integrerà la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen
Si conclude perciò che: «L’esistenza di un potere discrezionale non basta a far ritenere integrata la fattispecie di corruzione propria, che, invece, sussiste solo ove sia dimostrata la violazione di una delle regole sull’esercizio del corrispondente potere».
E si aggiunge, a specificazione: «E’ necessario esaminare la struttura del patto corruttivo, da una parte, per accertare se sia o meno identificabile “a monte” un atto contrario ai doveri di ufficio; nel caso in cui ciò non sia possibile, occorre verificare la condotta del pubblico agente nei settori che interferiscono con gli interessi del corruttore, per comprendere se il predetto funzionario, al di là del
caso di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia, nonostante ed in conseguenza del patto, fatto o meno buon governo del potere assegnatogli, tenendo conto di tutti i profili valutabili, o se abbia pregiudizialmente inteso realizzare l’interesse del privato corruttore, a fronte di ragionevolmente possibili esiti diversi».
Da tale inquadramento deriva la conclusione che la mera accettazione da parte del pubblico agente di un’indebita utilità a fronte del compimento di un atto discrezionale non integra necessariamente il reato di corruzione propria, dovendosi verificare, in concreto, se l’esercizio dell’attività sia stato condizionato dalla “pres in carico” dell’interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare, ovvero se l’interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, nel qual caso la condotta integra il meno grave reato di corruzione per l’esercizio della funzione.
Detto in sintesi, la mera violazione del dovere di lealtà e correttezza del pubblico funzionario, insita nell’accettare una retribuzione indebita per il compimento delle attività alle quali è tenuto, in virtù dell’incarico svolto nell’ent di appartenenza, non è di per sé rilevante ai fini della qualificazione della contrarietà dell’atto ai doveri di ufficio, dovendo necessariamente accertarsi che l’illecito accordo tra pubblico funzionario e privato corruttore preveda il compimento, da parte del primo, di un atto specificamente individuato od individuabile come contrario ai doveri d’ufficio.
Sul piano probatorio, occorre procedere alla rigorosa determinazione del contenuto delle obbligazioni assunte dal pubblico funzionario (il patto) alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, avuto riguardo in particolare al movente ed alle specifiche aspettative del privato, alla condotta serbata dall’agente pubblico ed alle modalità di corresponsione a questi del prezzo della corruttela, che devono essere ricondotte alla violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare.
Acquista, così, importanza centrale la verifica delle regole che, in concreto, presidiano l’esercizio dell’attività amministrativa, verificando se l’interesse pubblico sia stato valutato e, posto che sia stato valutato, se sia stato condizionato dalla presa in carico dell’interesse del privato corruttore, sicché, nel caso in cui l’interesse pubblico non sia stato condizionato il fatto integrerà la fattispecie di cu all’art.318 cod. pen..
L’atto discrezionale ed il comportamento sottostante sono contrari ai doveri di ufficio nei casi in cui siano state violate le regole sull’esercizio del pote discrezionale o ne siano stati consapevolmente alterati i fondamentali canoni di esercizio in vantaggio del corruttore.
C. 1
Si torna, così, alla nozione del vizio di legittimità dell’atto che rileva non sol quando l’atto amministrativo sia posto in essere in contrasto con le norme che ne disciplinano l’esercizio – sotto il profilo della disciplina – ma anche nella forma dell’eccesso di potere e di sviamento di potere, nozioni che rimandano al modulo procedurale tipico dell’azione amministrativa discrezionale e che sono costituite da regole logiche o di comune esperienza, oggettive e verificabili quali quelle della parità di trattamento, della logicità, della completezza dell’istruttoria, dell’esatt rappresentazione dei fatti la cui violazione è il primo indice sistematico del cattivo svolgimento della funzione, determinando di conseguenza l’illegittimità del provvedimento. Non sempre sono regole previste dalla legge, ma si tratta di regole elaborate nel corso del tempo dalla giurisprudenza stessa al fine di conferire sostanza alla figura dell’eccesso di potere.
Attraverso il sindacato per eccesso di potere il giudice non sostituisce la propria valutazione a quella dell’amministrazione, ma ne controlla la corretta formazione.
9.Come si è detto in premessa, la sentenza di primo grado, valorizzando precipuamente il contenuto delle conversazioni intercettate e la remunerazione del COGNOME, che le conversazioni attestano (talvolta registrando in diretta l’erogazione di somme di denaro, oltre i riferimenti ad altre utilità quali ospitalit presso rinomati hotel), ha ritenuto dimostrato che NOME COGNOME fosse a “libro paga” del Proto (e occasionalmente ricevesse o, comunque, avesse ricevuto denaro dagli altri imprenditori) ed ha scandito la ricostruzione individuando, sulla base delle conversazioni intercettate, tre periodi nei quali si è compendiata l’attività del COGNOME contraria ai doveri di ufficio in favore del Proto: attivi ampiamente discrezionale anche per effetto degli ampi poteri di manovra riconosciutigli nella fase istruttoria e decisoria dai dirigenti del servizio, cioè, settembre 2011 a marzo 2012, da maggio a giugno 2012 e, infine, da giugno a novembre 2013.
Particolare attenzione, ai fini della individuazione dell’atto contrario, è stata dedicata all’analisi delle conversazioni intercettate da marzo 2012 ai mesi a seguire, fino a giugno 2012, e, cioè, le conversazioni dalle quali emerge l’attivismo del Cannova in relazione alla conferenza di servizi del 13 marzo 2012 e agli episodi di fermo impianti dell’aprile 2012.
Le conclusioni alle quali i Giudici di merito sono giunti, valutate attraverso le coordinate ermeneutiche innanzi descritte, non sono del tutto condivisibili, anche tenuto conto dei deficit di acquisizioni documentali rispetto ai procedimenti di interesse.
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/9)
In particolare, non emergono elementi univoci per ritenere che le attività svolte dal Cannova, con riferimento alla conferenza di servizi del 13 marzo 2012, siano sussumibili nella delineata nozione di atto contrario ai doveri di ufficio.
Del tutto generica, al riguardo, è la ricostruzione compiuta nella sintesi della sentenza di primo grado (pag. 363), che rinvia alla ricostruzione dell’iter seguito dalle pratiche di interesse di NOME COGNOME fin dal 2008, segnalandone carenze documentali e la natura provvisoria del progetto assentito, poiché resta inafferrabile, anche all’esito della lunga analisi delle conversazioni intercettate in vista della riunione del 13 marzo 2012, la individuazione dell’atto contrario ai doveri di ufficio che NOME COGNOME avrebbe compiuto nel corso della riunione, che risultava, a sua volta, preliminare e prodromica all’annullamento dei decreti di autorizzazione ambientale della “RAGIONE_SOCIALE“: annullamento poi finito in un nulla di fatto, pur emergendo, secondo la richiamata sentenza di merito, attraverso la serie dei contatti preliminari e successivi, l’asservimento delle funzioni agli interessi del Proto.
A ben diversa conclusione deve, invece, pervenirsi con riferimento agli episodi del fermo impianto che, ad avviso della Corte, integrano il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio da parte del Cannova, poiché questi aveva occultato (non protocollandoli, cfr. pag. 227) i fax inviatigli dalla responsabile della sicurezza della “RAGIONE_SOCIALE” che gli aveva comunicato i guasti, e il conseguente fermo, degli impianti: Cannova aveva omesso qualunque attività, di natura istruttoria e sanzionatoria, in relazione ai due episodi che, per come efficacemente rappresentato dallo stesso COGNOME al Proto, avevano creato una situazione di apparente regolarità formale della documentazione della società di gestione, che risultava avere comunicato il disservizio direttamente all’Assessorato Regionale. Contemporaneamente il COGNOME aveva, inoltre, dato precise istruzioni all’incaricato della società di non eseguire comunicazioni ad altri enti parimenti preposti alla verifica dell’osservanza delle prescrizioni.
Chiaro, a tal riguardo, il contenuto delle conversazioni intercettate, con le quali, a ben vedere, non si confrontano i motivi di ricorso e, prima ancora, quelli di appello.
Dalle conversazioni emerge, in particolare, che l’addetto alla sorveglianza della “RAGIONE_SOCIALE” aveva comunicato al Cannova la tipologia di problema al nastro dell’impianto di trattamento e la necessità di sistemare i rifiuti in una vasca (pag. 235 della sentenza di primo grado), con le conseguenti rassicurazioni del Cannova al Proto (pag. 238), con le quali gli confermava che l’unica autorità competente che poteva prendere provvedimenti era il suo ufficio al quale, parimenti, competeva il potere di dare comunicazione delle irregolarità rilevate alle altre autorità amministrative coinvolte nella gestione.
Le irregolarità riscontrate non erano di poco conto assumendo i connotati di un vero e proprio reato, come lo stesso COGNOME non mancava di evidenziare al Proto.
Infatti, in assenza di una vasca apposita, munita di sistemi di raccolta del percolato e del biogas per quel tipo di conferimento temporaneo che neppure il decreto AIA autorizzava, non è consentito per legge ed è punito come reato stoccare, anche solo per qualche giorno, i rifiuti non differenziati in un’area non autorizzata, anche all’interno di una discarica autorizzata, trattandosi di conferimento di rifiuti tal quali, vietato dalla legge. Sono precise, sul punto, le risultanze della sentenza di primo grado (pag. 228), nelle quali vengono riportate le dichiarazioni del verbalizzante che aveva accertato la inesistenza di tale vasca e, in merito al guasto del 5 aprile 2012, anche le risultanze dell’accertamento dell’ARPA, che aveva verificato l’ingresso di camion contenenti rifiuti abbancati senza preselezione per il guasto dell’impianto di pretrattamento.
9.1.1 motivi di ricorso, al cospetto della chiarezza dell’accertamento e delle conclusioni che il Tribunale ne ha tratto, propongono una rivalutazione in fatto con riguardo alla esistenza di una vasca di raccolta dei rifiuti, sulla base di argomenti generici e assertivi.
La riduttiva versione del contenuto delle conversazioni con il Proto, dalle quali COGNOME aveva preso le distanze sostenendo, nella memoria difensiva, di avere fatto uno sfoggio di competenze con il suo interlocutore, è contraddetta dalla ricostruzione del quadro normativo di riferimento costituito dalla legge della Regione Sicilia n. 9 dell’8 aprile 2010 (in materia di gestione integrata dei rifiuti e bonifica dei siti inquinati), che rinvia in senso dinamico alla legge statale in materia, legge che, all’epoca dei fatti, era costituita dall’art. 29 -decies d. Igs. 3 aprile 2006 n. 152, che conferiva all’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione poteri sanzionatori che andavano dalla diffida alla revoca dell’autorizzazione, secondo la gravità delle infrazioni, ferme le sanzioni penali. Per le violazioni, suscettibili di integrare fatto di reato di natura contravvenzionale, il direttore del servizio era tenuto, per legge, a inviare rapporto all’autorità giudiziaria. Va ricordato che, all’epoca dei fatti, (cfr. Sez. 3, n. 34522 del 16/03/2017, Bulgarini, n. mass.), qualsiasi violazione delle prescrizioni (anche di natura documentale) comportava l’applicazione delle disposizioni penali e che solo per effetto delle modifiche intervenute nel corso del tempo sulla disposizione del d. Igs. n. 152 cit. il sistema sanzionatorio è stato diversamente modulato, prevedendo la sanzione amministrativa per le violazioni qualificate dell’esercente della discarica afferenti a violazioni di natura documentale, laddove quelle che afferiscono alla «gestione dei rifiuti» costituiscono, a tutt’oggi, violazioni di natur penale.
La rottura del nastro impianti e il conseguente fermo dei sistemi di vagliatura e selezione, situazione alla quale è riconducibile l’attività riscontrata nella discarica della “OIKOS” in conseguenza del mancato funzionamento del nastro dell’impianto con il conseguente accumulo dei rifiuti tal quali, hanno determinato violazioni relative non alla gestione della documentazione, ma alla gestione dei rifiuti.
Il comportamento del COGNOME, preliminare all’assunzione delle determinazioni funzionali, è sussumibile in una condotta contraria ai doveri di ufficio poiché si è risolto nel riscontrato mancato protocollo e occultamento della nota inviata dalla funzionaria della “Oikos”.
L’esercizio della discrezionalità amministrativa circa le azioni da adottare (o non adottare) si sarebbe, infatti, potuta collocare in una fase successiva, una volta protocollata la nota ricevuta, ma non è utilmente opponibile a fronte dell’occultamento della segnalazione che, a monte, aveva implicato il mancato esercizio di qualsivoglia potere di accertamento, traducendosi in un evidente favoritismo verso la “RAGIONE_SOCIALE“, in violazione delle regole che presidiavano lo svolgimento dell’attività amministrativa, quali la completezza dell’istruttoria e l’esatta rappresentazione dei fatti la cui violazione è il primo indice sistematico del cattivo svolgimento della funzione, determinando l’illegittimità del comportamento del funzionario.
I riscontrati fermi degli impianti erano tanto più rilevanti, specie se comunicati alle altre autorità competenti, tenuto conto del difficile momento che la gestione della discarica aveva fatto registrare, culminato nella conferenza dei servizi del 13 marzo 2012, il cui esito negativo, temuto dal Proto, cioè la chiusura dell’impianto, era stato sì scongiurato ma non era irretrattabile.
Effettivamente la sentenza di appello non si è fatta carico di esaminare le deduzioni difensive, con riguardo agli episodi di cd. fermo impianto, ma tale mancato esame non appare risolutivo e non comporta, per ciò solo, l’annullamento della decisione impugnata. I motivi di appello, così come quelli di ricorso, si soffermavano nell’analisi della coeva vicenda processuale (quella della truffa correlata al pagamento degli oneri comunali per il trattamento di preselezione dei rifiuti in realtà non effettuato e calcolato presuntivamente su un periodo più ampio / di quello dei fermi impianto) / ma, come ben evidenziato dal Tribunale, prospettavano un argomento eccentrico rispetto al fatto oggetto del presente giudizio, poiché la truffa contestata riguardava una questione relativa all’applicazione delle tariffe, con riferimento ai rifiuti trattati e alle operazio preselezione, oggetto di un accertamento operato in via presuntiva.
10. Come anticipato, a fronte delle eccezioni della difesa, dirette a distinguere nelle condotte del Proto un primo periodo, protrattosi fino al 1 maggio 2012, in cu’
era emerso un accordo corruttivo finalizzato al compimento di atti contrari e un secondo periodo in cui, invece, a seguito della modifica delle competenze del servizio con la legge n. 3 dell’Il gennaio 2013, era configurabile nei fatti emersi solo la corruzione cd. funzionale, la Corte di merito ha osservato che, invece, vi era stato un unico accordo corruttivo tra i due, il cui inizio era ravvisabile con la consegna della prima dazione. Tale accordo si era protratto ininterrottamente fino all’ultima, valorizzandosi proprio la costante attività di consulenza svolta dal Cannova a favore del Porro.
10.1. L’approccio metodologico della Corte di appello non è di per se erroneo ma è fallace l’applicazione che ne viene fatta in relazione al caso concreto tenuto conto che con l’entrata in vigore della legge regionale n. 3 dell’Il gennaio 2013 la materia delle autorizzazioni ai rifiuti e discariche era stata sottratta al Servizio 2, del dipartimento Ambiente, nel quale era incardinato, rimanendovi fino al mese di novembre 2013, l’imputato COGNOME.
Si è, infatti, ritenuto (Sez. 6 , n. 16781 del 21/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281089) che lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri d’ufficio che di atti conformi o no contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen., in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all’art. 318 stesso codice, nell’ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallagmaticamente connesse all’esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria.
Ciò che rileva, al fine della configurabilità del reato come condotta unica, è, infatti, la circostanza che le condotte costituiscano manifestazione del medesimo accordo corruttivo stipulato con il soggetto privato: ed è l’approdo al quale la Corte ritiene ragionevole pervenire con riferimento alle condotte accertate fino al giugno 2012, tenuto conto della emersione dell’atto contrario quale innanzi descritto in relazione agli episodi di fermo impianti.
10.2.Nel caso in esame, tuttavia, in conseguenza di una modifica sostanziale delle funzioni pubblicistiche rivestite dal Cannova per effetto del trasferimento delle competenze ad altro settore della Regione, questi non esercitava più poteri e mansioni inerenti al servizio ed alle competenze specifiche.
Ciò è tanto più vero alla stregua del contenuto delle conversazioni intercettate, che denotano lo svolgimento, a favore del Proto, di una stabile attività di consulenza, come del resto indicato nella sentenza di appello che ha puntualmente descritto le attività svolte nei vari settori di interesse del Proto (in particolare, suggerendogli come comportarsi in caso di controlli dell’ARPA; quali iniziative intraprendere per chiedere lo scioglimento di vincoli gravanti sulle aree
della discarica Valanghe d’Inverno presso la Soprintendenza e l’Ente Parco; come regolarsi in vista della presentazione di piani per la revisione delle tariffe).
L’accordo corruttivo tra COGNOME e Proto aveva, dunque, subito una modifica sostanziale assumendo precipuamente i connotati del funzionario “a libro paga” che svolgeva, a favore del Proto, una continuativa attività di consulenza: come noto, il compimento dell’atto da parte del pubblico ufficiale non ha rilievo al fine di determinare il momento consumativo del reato, con la conseguente affermazione che la continuazione nel reato non può essere legata alla plurima attività pubblica posta in essere dal corrotto; ciò nondimeno può venire in rilievo la pluralità di pattuizioni e remunerazioni che, esse sì, sono idonee a dare corpo alla figura della pluralità di reati.
A questo fine rilevano, ad avviso della Corte, non le rivendicazioni e spiegazioni del COGNOME al figlio – oggetto della conversazione del 27 novembre 2013- né la circostanza, esaminata dal Tribunale nella sentenza di primo grado a pag. 67, che COGNOME sia rimasto sostanzialmente in servizio presso il INDIRIZZO nonostante il trasferimento ad altro ufficio -, quanto la modifica delle competenze dell’ufficio di appartenenza del funzionario: tanto ciò è vero che nelle conversazioni intercettate a partire dal mese di giugno 2013 non vengono in rilievo riferimenti alle attività del funzionario, ma consigli e pareri che Cannova impartiva al Proto su come comportarsi, nel rinnovato contesto delle modifiche che avevano investito, rispetto al passato, la struttura regionale.
Non si è trattato, peraltro, di meri suggerimenti e consigli che un qualsiasi privato cittadino avrebbe potuto dare al Proto, perché non implicanti lo svolgimento di funzioni pubblicistiche (motivo di ricorso sub 5), ma di un’attività collegata all’incarico pubblico che, presso l’ente di appartenenza, Cannova continuava a rivestire.
La disposizione di cui all’art. 318 cod. pen., che contiene i divieti diretti al pubblico funzionario di non ricevere denaro o altre utilità in ragione della funzione pubblica esercitata e, specularmente, al privato di non corrisponderglieli, riassume episodi riconducibili alla corruzione sistemica che assumono connotati variegati nell’esperienza giudiziaria quali la “messa a libro del pubblico ufficiale”, l’asservimento della funzione pubblica agli interessi privati o la messa a disposizione del proprio ufficio. A tal riguardo si è affermato che, ai fini della configurabilità del reato di corruzione propria, non è determinante il fatto che l’atto d’ufficio o contrario ai doveri d’ufficio sia ricompreso nell’ambito delle specifiche mansioni del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, ma è necessario e sufficiente che si tratti di un atto rientrante nelle competenze dell’ufficio cui il soggetto appartiene ed in relazione al quale egli eserciti, o possa esercitare, una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto. (Sez. 6, n.
23355 del 26/02/2016, COGNOME, Rv. 267060; Sez. 6. n. 20502 del 2/3/2010, COGNOME, Rv. 247373).
Le condotte accertate a carico del COGNOME (puntualmente descritte dalle pagg. 277 a seguire della sentenza di primo grado) riconducono proprio a tale schema.
In particolare, con riferimento alla cd. vicenda COGNOME, COGNOME riferiva al Proto di avere appreso dal predetto COGNOME del rinvenimento di documentazione di interesse dell’imprenditore in un fascicolo relativo a tutt’altra materia (le cave, servizio al quale era addetto COGNOME), a comprova di come il dirigente dell’ufficio, COGNOME lavorasse “per confondere le carte”, in chiave ostile al Proto.
COGNOME, inoltre, si adoperava per predisporre la risposta che il Proto avrebbe dovuto inviare all’ARPA a seguito di rilievi ricevuti da tale ente e, dunque, nel complesso, si tratta di conversazioni dalle quali, come rimarcato nelle decisiGni di merito, emerge come “Cannova abbia alacremente continuato a lavorare per Proto per condizionare e vigilare affinché vengano scansati tutti i pericoli che incombono sulla discarica del Proto di Matta Sant’Anastasia e per l’ampliamento dei suoi affari”.
Non si è in presenza di mere raccomandazioni o segnalazioni, ma di una vera e propria attività svolta a favore dell’imprenditore, anche per acquisire informazioni presso i callehi / ian le quali il ricorrente omette di confrontarsi criticamente.
Tuttavia, sulla scorta dei dati di fatto acquisiti, non ne appare prospettabile la sussumibilità nel reato di cui all’art. 346-bis cod. pen., che presuppone l’accertamento della esistenza di una condotta di mediazione, che NOME COGNOME avrebbe potuto compiere (o millantava di compiere) presso gli uffici pubblici: condotta rimasta, viceversa, del tutto inesplorata nonostante le “lodi” tessute sul COGNOME, con il quale COGNOME aveva un ottimo rapporto e con il quale era stato intercettato al telefono poco prima della telefonata informativa fatta al Proto.
11.La riqualificazione dei fatti comporta la dichiarazione di prescrizione dei reati.
Le condotte accertate sono a cavallo della modifica normativa introdotta con la I. 190 del 12 ottobre 2012 che, come noto, ha introdotto, nella veste oggi familiare della corruzione funzionale, la disposizione di cui all’art. 318 cod. pen. (prima diversamente strutturata), prevedendo per detto reato la pena della reclusione fino ad anni cinque e che ha elevato fino ad anni otto di reclusione, rispetto alla pena di anni cinque di reclusione, quella prevista per il delitto di cui all’art. 319 cod. pen..
Premesso che non sono indicate nella sentenza di appello, che ha dichiarato la prescrizione dei reati di cui ai capi B) e C), cause di sospensione della prescrizione il reato di corruzione propria, contestato dal luglio 2008 fino al giugno 2012 (per le ragioni innanzi specificate), si è prescritto il 1 novembre 2019 (in data successiva alla sentenza di primo grado del 18 luglio 2019), dovendo trovare applicazione i termini di prescrizione previsti per la fattispecie incriminatrice prima delle modifiche introdotte con la I. 190 del 2012, mentre il reato di cui all’art. 318 cod. pen. (commesso fino al 27 novembre 2023) si è prescritto il 27 maggio 2021.
Solo per completezza va precisato che il reato di cui all’art. 318 cod. pen., ravvisabile nei fatti commessi fino alle date del 4 e 27 aprile 2012 per lo stabile asservimento del Cannova agli interessi personali del Proto, è assorbito nel reato di corruzione per atto contrario, come ritenuto, reato che configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen.
I reati commessi fino al giugno 2012 si atteggiano, conclusivamente, a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria, con la conseguente decorrenza del termine di prescrizione dal conseguimento dell’ultima retribuzione.
Le conclusioni non mutano nel caso in cui, come precisato dalla difesa, si ritenesse operativa una sospensione del corso della prescrizione per effetto dei rinvii dell’udienza, su richiesta della difesa, dal 16 marzo al 6 luglio 2017 (pari a mesi tre e giorni venti giorni), rimanendo pertanto assorbita le deduzioni svolte con riguardo al tempus commissi delicti sia in relazione alla natura del reato di corruzione che al suo rapporto con la successione delle leggi penali nel tempo.
12.La dichiarazione di prescrizione impone di ritenere assorbiti i motivi di ricorso in punto di pena, ma legittima la conferma delle statuizioni civili a favore del Comune di Motta Sant’Anastasia e della confisca a carico dei ricorrenti Cannova e Proto.
Sul primo punto, la motivazione della sentenza impugnata – che non è inesistente o meramente apparente- ha esaminato l’eccezione difensiva relativa alla richiesta di esclusione del Comune rigettandola con argomentazioni che conservano, al di là della modifica della qualificazione giuridica del fatto, piena validità.
Premesso, infatti, che le discariche gestite da NOME COGNOME ricadevano nel territorio del Comune di Motta Sant’Anastasia, l’asservimento retribuito delle funzioni di NOME COGNOME alle esigenze imprenditoriali dalla “OIKOS” e il compimento di attività amministrative contrarie ai suoi doveri di ufficio hanno integrato una condotta illecita suscettibile di arrecare danno alla salubrità dell’ambiente e alla salute dei cittadini di Motta Sant’Anastasia di cui il Comune è tutore.
La Corte di appello ha evidenziato che i comitati cittadini avevano denunciato i cattivi odori e le polveri sottili della discarica di Tiritì; la irregolare vicinan centro abitato e le illegittimità che afferivano al rilascio dei provvedimenti autorizzativi. I predetti comitati avevano denunciato, altresì, che l’ampliamento della discarica aggravava le problematiche già esistenti. Infine, nel mese di giugno 2011, un’ispezione ordinaria dell’ARPA aveva rilevato il superamento della soglia limite delle polveri sottili, situazione che, in una alla iniziativa di un dirigente del Provincia di Catania, aveva determinato l’avvio di una procedura per l’annullamento in autotutela delle autorizzazioni rilasciate negli anni 2009 e 2010 alla “OIKOS”.
La descritta situazione di fatto integra la condizione suscettibile di dare luogo alla lesione di diritti azionabili dal Comune, quale parte civile, perché danneggiato dal reato, tenuto conto che il diritto alla costituzione di parte civile – sul quale s innesta la valutazione del ricorrente di richiesta di esclusione- va verificato ex ante e sulla base delle allegazioni della parte.
Ma le argomentazioni svolte dalla Corte di appello valgono anche ad escludere la fondatezza del motivo di ricorso che concerne la condanna generica al risarcimento del danno che, come noto, deve essere oggetto di allegazione e prova nel corso del processo in cui la parte civile è stata ammessa e la cui consistenza sarà valutata ex post.
Questa Corte ha, infatti, affermato che, ai fini della condanna generica al risarcimento dei danni, non è necessaria la prova della concreta esistenza di danni risarcibili, essendo sufficiente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza di un nesso di causalità tra questo e il pregiudizio lamentato, desumibile anche presuntivamente (Sez. 4, n. 32899 del 08/01/2021, COGNOME, Rv. 281997).
Va, infine, evidenziato che la descritta posizione soggettiva del Comune è distinta da quella delle associazioni ambientaliste alle quali si fa riferimento in altra pronuncia di questa Corte (sentenza n.31574 del 2023), non senza trascurare che, nel caso in esame, le conclusioni dell’ARPA documentano anche la sussistenza di un danno della cui liquidazione è investito il giudice civile.
13.Quanto alla confisca, disposta nella sentenza di primo grado in dipendenza della condanna per il reato di corruzione quale profitto o prezzo del reato fino alla concorrenza della somma di euro 85.000, nei confronti di NOME COGNOME e NOME COGNOME con la precisazione contenuta nella sentenza di appello che trattasi di confisca diretta, rileva la Corte che sono del tutto generiche le deduzioni svolte dal COGNOME, limitatosi a chiedere la revoca della misura ablatoria in
conseguenza dell’accoglimento dei motivi di ricorso inerenti alla diversa qualificazione giuridica dei fatti.
L’importo per il quale è stata disposta la misura ablatoria corrisponde alle somme direttamente ricevute dal Cannova nel corso degli anni o al valore delle regalie di altra natura, sulla base di quanto da costui e dallo stesso Proto confermato.
Va ribadito, con riferimento al delitto di corruzione, che le somme ricevute per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio da parte del pubblico ufficiale corrotto, costituiscono “prezzo” del reato (e non invece profitto), con la conseguenza che esse sono interamente sequestrabili (Sez. 6, n.28412 del 30/03/2022, Ragno, Rv. 283666).
Si tratta di un principio applicabile non solo al reato di corruzione di cui all’art. 319 cod. pen. ma anche al delitto di corruzione funzionale di cui all’art. 318 cod. pen. poiché, anche in relazione a tale condotta illecita, la corresponsione di una somma costituisce il prezzo del reato, ovvero il prezzo pagato dal corruttore al pubblico ufficiale per l’asservimento delle sue funzioni.
Ne consegue che la intervenuta riqualificazione della condotta, per i fatti commessi a partire dal giugno 2012, non comporta la necessità di rivedere l’importo delle somme da assoggettare a confisca.
14.1 motivi di ricorso proposti da NOME COGNOME e NOME COGNOME sono infondati e i loro ricorsi devono, pertanto, essere rigettati.
Va rilevato che nei confronti dei predetti ricorrenti la Corte di appello ha dichiarato la prescrizione del reato loro ascritto al capo B) confermando, previa precisazione che si verte in tema di confisca diretta, la confisca della somma di euro 50.000, quale prezzo del reato di corruzione.
La presenza di una statuizione in punto di confisca, a prescindere dalla sua fondatezza, rende concreto e attuale l’interesse alla proposizione del ricorso con il quale i predetti censurano la declaratoria di prescrizione sostenendo la erroneità della qualificazione giuridica del fatto, in tesi sussumibile nei diversi reati di concussione (art. 317 cod. pen.) o induzione indebita (art. 319-quater cod. pen.), secondo la linea difensiva sviluppata fin dal primo grado poiché, anche sulla scorta di una perizia, era stata accertata – in tesi – la regolarità e assentibilità delle loro iniziative economiche e la pretestuosità dell’ingerenza del COGNOME che faceva riferimento a generiche pressioni politiche per esigere il pagamento della tangente. I ricorrenti hanno richiamato anche un’altra conversazione dalla quale si evince che COGNOME era ostile alla realizzazione dei loro progetti.
Rileva la Corte che, contrariamente all’assunto difensivo, la sentenza impugnata e quella di primo grado hanno esaminato le risultanze di fatto e, con
argomentazioni puntuali e corrette, dal punto di vista giuridico, sono pervenute alla conclusione che il fatto di cui al capo B) debba essere ricondotto all’ipotesi di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, ai sensi degli artt. 319-321 cod. pen..
Richiamate le considerazioni che rendono configurabile, in presenza di un accordo tra agente pubblico e privati interessati all’adozione di atti, il reato di corruzione per atto contrario svolte al punto 8 che precede, va osservato che tali condotte delittuose sono ravvisabili anche a carico degli odierni ricorrenti tenuto conto che il reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio è stato argomentato, nella sentenza impugnata e in quella di primo grado, non solo in presenza di un chiaro favoritismo del COGNOME verso i COGNOME per il rilascio, a favore della “RAGIONE_SOCIALE“, dell’autorizzazione all’apertura di una nuova discarica a poca di distanza da quella, operativa dal 2007, in località INDIRIZZO, alla periferia di Agrigento, ormai satura, ma anche per il compimento di un atto contrario ai doveri di ufficio da parte del funzionario.
Le sentenze di merito hanno ricostruito la vicenda evidenziando che l’operazione di interesse dei fratelli COGNOME registrava le opposizioni provenienti sia da comitati cittadini che da consiglieri dei Comuni interessati dall’iniziativa e dalle articolazioni locali della Soprintendenza e di altre autorità amministrative, coinvolte nella procedura di valutazione di impatto ambientale, che ravvisavano pericoli per la salute pubblica e incompatibilità paesaggistiche.
Il procedimento si era concluso a favore dei COGNOME, con il rilascio delle autorizzazioni del 18 aprile 2011 (per la realizzazione della discarica di inerti, in località Monserrato) e, a seguire, con il rilascio di due ulteriori autorizzazioni del 2 dicembre 2012 per le discariche di Siculiana (parimenti per la discarica dei soli inerti) e Noto.
Proprio con riferimento alle allegazioni difensive dei Sodano, la Corte di appello ha articolato una diffusa motivazione sulle differenze strutturali che sono ravvisabili tra i reati di concussione (art. 317 cod. pen.) o induzione indebita (art. 319 -quater cod. pen.) (v. pag. 71): osservazioni che si innestano sulle valutazioni già compiute nella sentenza di primo grado (pag.332 e ss.), alla stregua della puntuale descrizione delle procedure amministrative finalizzate al rilascio delle autorizzazioni per le discariche di Siculiana, Noto e Pachino (questa, invero, mai conseguita).
In particolare, il Tribunale, richiamato il contenuto delle intercettazioni che segnalavano la emersione dell’accordo corruttivo (il pagamento dei COGNOME, a favore dell’imputato, è un fatto pacifico e da questi stesso ammesso), ha analiticamente esaminato, riportando le dichiarazioni dei testi escussi, la dinamica delle procedure di interesse dei COGNOME ed ha evidenziato come, a dispetto pr)
dell’astratta legittimità delle iniziative imprenditoriali connesse all’ampliamento della discarica e in un contesto di forte discrezionalità che connotava l’esercizio dei poteri del responsabile del procedimento presso l’assessorato, le iniziative del Cannova si erano tradotte, nell’esercizio delle sue funzioni, in veri e propri artifici e raggiri volti a inquinare le determinazioni che avrebbero dovuto assumere le autorità coinvolte nel rilascio dei pareri di competenza, pareri che, per la discarica di Pachino, erano risultati tutti negativi, come ampiamente documentato, in dibattimento, attraverso la escussione dei testi, cioè i tecnici delle amministrazioni coinvolte (l’architetto COGNOME, tecnico del Comune di Pachino; la dottoressa COGNOME, della Soprintendenza, in relazione al predetto progetto; il teste NOME COGNOME responsabile delle procedure di valutazione di impatto ambientale della Provincia di Siracusa, riguardante sia la discarica di Noto che quella di Pachino; il dottor NOME COGNOME, responsabile della ASL di Siracusa), e superati dal rilascio dell’autorizzazione all’esito delle conferenze di servizi gestite dal Cannova sia per la discarica di Siculiana che per quella di Noto.
Il rilascio delle autorizzazioni in favore della società RAGIONE_SOCIALE appariva fortemente inquinato, in relazione al negativo contenuto dei pareri intervenuti nella fase istruttoria, da una condotta che si connota come chiara manifestazione di un vizio di eccesso di potere, sintomatica dell’atto contrario che, in relazione alla procedura inerente alla discarica di Pachino, si era tradotta (cfr. in sintesi pag. 364 della sentenza di primo grado), in vere e proprie iniziative di indebita ingerenza del Cannova sui tecnici delle altre amministrazioni interessate alla procedura (significative le osservazioni del COGNOME sul parere espresso dalla Sovrintendenza che non veniva chiamata neppure a partecipare alla conferenza di servizi e le dichiarazioni del COGNOME sulla richiesta di invio di un parere artefatto).
Tali aspetti, decisivi ai fini della ricostruzione delle condotte del Cannova e degli imputati e del loro inquadramento nel reato di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio, non sono stati esaminati nei motivi di ricorso, che si soffermano sulla ricostruzione di un dato – quale quello della astratta legittimità dell’iniziativa dell’azienda dei Sodano- trascurando, rispetto a complessi procedimenti amministrativi nei quali entrano in gioco interessi connessi alla tutela della salute pubblica e ambientale, proprio i contrari pareri espressi dagli enti interessati.
15.Non è fondato il secondo motivo di ricorso dei fratelli COGNOME che attiene alla confisca della somma di cinquantamila euro, individuata quale prezzo del reato di corruzione.
Il tema della confisca, della sua natura e dei rapporti con la prescrizione del reato è segnato, nella giurisprudenza, da un percorso tortuoso che affiora anche dalle numerose decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte in materia, chiamate
a valutare, da ultimo, l’applicabilità della nuova disposizione di cui all’art. 578-bi cod. proc. pen. ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore. (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284209), escludendola per i casi di confisca per equivalente ed evidenziando che, trattandosi di un istituto di diritto sostanziale, non è applicabile retroattivamente la disposizione recante norme “a sfavore”.
La Corte di appello ha fatto puntuale applicazione dei criteri dettati nella giurisprudenza, secondo i quali, rispetto alla misura della confisca, la sua natura “per equivalente” deve essere rigorosamente accertata, tenuto conto che la confisca “diretta” è, invece, qualificabile come misura di sicurezza e può essere applicata, anche in caso di prescrizione, in ossequio agli insegnamenti delle Sezioni Unite “COGNOME” (S.U., n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264435), quando vi sia stata una condanna in primo grado e si verta in ipotesi di confisca obbligatoria, casi tra i quali devono essere compresi quelli in cui è applicabile l’art. 322-ter cod. pen.
Sulla base di tali principi, la confisca del denaro costituente profitto o prezzo del reato, comunque rinvenuto nel patrimonio dell’autore della condotta, e che rappresenti l’effettivo accrescimento patrimoniale monetario conseguito, va sempre qualificata come “diretta”, e non per equivalente, in considerazione della natura fungibile del bene, con la conseguenza che non è ostativa alla sua adozione l’allegazione o la prova dell’origine lecita della specifica somma di denaro oggetto di apprensione (Sez. U, n. 42415 del 27/05/2021, C., Rv. 282037).
Non è, dunque, controverso il principio, applicato nel caso in esame dalla sentenza di appello, secondo cui il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1, cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., l confisca “diretta” del prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata, come nel caso in esame, una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo (che è appunto la tipologia del caso in esame) rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (S.U., COGNOME, cit.).
Ne consegue che la sentenza di appello, nella parte in cui, prima della declaratoria di intervenuta prescrizione, ha esaminato i motivi di appello e ritenuto configurabile nei fatti il delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di uffi ha compiuto una attenta verifica della responsabilità degli imputati non esauritasi nella verifica della insussistenza di cause che, ictu oculi, rinviavano alla pronuncia di una sentenza ai sensi dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., e della natura
delle somme assoggettate al provvedimento ablatorio, oggetto di puntuale verifica dei presupposti della sua applicabilità al caso concreto.
16.Anche il ricorso di NOME COGNOME deve essere rigettato, potendo, addirittura, dubitarsi della sua ammissibilità poiché, in presenza di declaratoria di prescrizione del reato e di applicazione della confisca, il ricorrente non ha dedotto questioni specifiche inerenti a tale statuizione.
Il ricorso involge, soprattutto, il tema della qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 346-bis cod. peri. poiché, fin dalla contestazione originaria, ciò che si addebitava all’imputato, nei suoi rapporti con Cannova, era la circostanza che questi aveva, in realtà, garantito alla società di cui COGNOME era responsabile la buona conclusione dei procedimenti amministrativi che lo interessavano “garantendo” una corsia preferenziale per il rilascio dei provvedimenti amministrativi di competenza di altre autorità amministrative. La “RAGIONE_SOCIALE“, amministrata a partire dall’anno 2008 da NOME COGNOME secondo la prospettazione sviluppata nel ricorso, operava nel settore dell’energia elettrica ricavabile da fonti rinnovabili (biogas) e non nel settore di competenza del Cannata, che era quello del settore rifiuti, presso l’Assessorato Regionale Territorio Ambiente della Regione Sicilia.
La prospettazione in fatto del ricorrente, presupposto dell’inquadramento giuridico delle condotte accertate, non si confronta con le risultanze processuali illustrate a carico dell’imputato, che la sentenza di appello (pag. 89) ha precisamente indicato evidenziando come l’attivazione dell’impianto di biogassificazione, che la “RAGIONE_SOCIALE” aveva in essere fin dal 2008, e che necessitava del rilascio di specifica autorizzazione ambientale integrata di competenza dell’ufficio del Cannata, non era stata mai rilasciata perché la documentazione allegata era incompleta, nonostante l’impianto fosse operativo all’interno di una discarica della società “RAGIONE_SOCIALE” (questa sì ritualmente assentita).
La sentenza di primo grado (a pag. 326), ha evidenziato che COGNOME era stato “l’artefice della mistificazione che aveva consentito, con lo stratagemma del silenzio assenso poi disvelato a seguito delle indagini intraprese nell’anno 2012, di dare avvio all’esercizio dell’impianto di biogas all’interno della discarica di rifiuti urbani di Mazzarà Sant’Andrea, senza che un progetto venisse regolarmente esaminato e valutato in seno a una regolare procedura e senza un momento valutativo da cui sarebbe dovuto scaturire un ponderato provvedimento concessorio di autorizzazione integrata ambientale”.
Una conclusione in linea con l’analisi della procedura amministrativa che aveva riguardato la pratica di interesse della “OSMOS”, effettivamente di competenza del dipartimento energia presso l’assessorato regionale – all’epoca
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7rr diretto da COGNOME – ma sulla quale, e lo confermano le conferenze di servizio attivate, ma gestite con modalità artificiose del Cannata, avrebbe dovuto essere acquisita l’autorizzazione di impatto ambientale, il cui rilascio era di competenza del suo ufficio.
E’ evidente che l’attestazione rilasciata dall’ingegnere COGNOME, relativa alla non necessità della procedura di via (che investe, in via preventiva, i profili localizzativi e strutturali), era altra cosa rispetto alla necessità, viceversa, dell’autorizzazione, cioè al provvedimento complessivo con cui si valutano specificamente gli aspetti gestionali dell’attività e dell’esercizio dell’impianto, autorizzazione che venne richiesta dai funzionari ARPA al momento dei controlli e la cui mancanza ingenerò gli accertamenti dell’ufficio del COGNOME al quale anche il Genio Civile e altri enti si erano rivolti.
Le conversazioni intercettate ad indagini in corso (negli anni 2011 a seguire) dalle quali emergono sia i contatti del Cannata con COGNOME che quelli intercorsi con l’amministratore della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME e con il titolare della società, l’odierno ricorrente NOME COGNOME (con riferimento anche alle somme pagate a titolo di tangenti, di cui gli interlocutori non parlano espressamente, ma acclarate attraverso l’acquisizione della documentazione relativa all’auto ceduta al Cannata), comprovano i contatti del COGNOME per “mettere a posto” la vicenda del biogassificatore della “OSMOS” quando erano già in corso gli accertamenti da parte dell’autorità giudiziaria. Infatti, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva sequestrato l’impianto. In tale frangente il duo COGNOME–COGNOME si impegnava sinergicamente per risolvere la questione pervenendo ad un aggiustamento della situazione attraverso una sanatoria. Tale esito non esclude le illegittimità a monte della procedura, cioè nella fase del procedimento in cui si erano inseriti atti di competenza dell’ufficio del Cannata / la cui mancata adozione, sussumibile in un’attività contraria ai doveri di ufficio, aveva consentito, per anni, l’operatività della centrale – fortemente contrastata dai comitati cittadini -, in assenza del necessario presupposto di autorizzazione che non avrebbe potuto essere rilasciata per le carenze documentali che inficiavano la procedura. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Le intercettazioni del periodo 2011/2013, con riferimento a questa vicenda, documentano, secondo l’efficace sintesi della sentenza di primo grado, le manovre congiunte del COGNOME e del COGNOME, quali responsabili dei rispettivi uffici, per “mettere a posto” la situazione della “RAGIONE_SOCIALE” e confermano come, su suggerimento di NOME COGNOME, amministratore della società, fosse già stato studiato, a suo tempo, l’escamotage del ricorso al silenzio-assenso sulla pratica “OSMOS”, procedura non consentita in materia di autorizzazioni ambientali: aspetto, questo, taciuto dal COGNOME nelle conferenze di servizio alle
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quali aveva partecipato , , ma che sarebbe stato immediatamente rilevato dall’autorità giudiziaria. Cionondimeno, a cura del COGNOME, in nome del pactum sceleris che era a suo tempo intervenuto con NOME COGNOME, il problema della illegittimità dell’impianto doveva essere risolto. Soluzione che fu, appunto, escogitata attivando una pratica di sanatoria (conclusasi favorevolmente per la società).
Il contenuto della conversazione del 1 dicembre 2011, tra NOME COGNOME e NOME COGNOME denota, altresì, la piena consapevolezza dell’imputato della contrarietà a legge della gestione della pratica, per la quale aveva direttamente versato il prezzo corrispondente alla tangente, consapevolezza che emerge chiaramente quando, a fronte della emersione dei rilievi che COGNOME gli riassume, COGNOME gli rammentava che la strada della sanatoria era stata già presa in considerazione.
La compiuta ricostruzione rende infondata la deduzione difensiva di riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 346-bis ovvero dell’art. 346 cod. pen., poiché concentra l’attenzione dell’interprete sulle risultanze delle intercettazioni e trascura l’antefatto correttamente ricondotto, richiamate le coordinate ermeneutiche di cui al punto 8 che precede, al delitto di corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio.
Questa Corte ha, infatti, condivisibilmente affermato il principio (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 -08) secondo cui risponde di concorso di persone in corruzione propria, ai sensi degli artt. 110 e 319 cod. pen., e non di traffico di influenze illecite, ai sensi dell’art. 346-bis cod. pen., i collaboratore di un pubblico ufficiale che, dietro indebita promessa o corresponsione di una retribuzione da parte di un terzo, realizzi un’attività di collegamento tra questi ed il pubblico ufficiale funzionale all’accordo corruttivo, essendo in tal caso la retribuzione dell’agente causalmente orientata alla realizzazione dell’accordo stesso e non limitata soltanto a remunerare l’opera di mediazione compiuta da chi si attiva per promuovere un accordo corruttivo al quale resta estraneo.
17, NOME COGNOME e NOME COGNOME devono essere condannati al pagamento delle spese di rappresentanza e difesa della parte civile, Comune di Motta Sant’Anastasia, liquidate, secondo i parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014 e ss. modifiche, in euro 3.686,00.
18.NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno condannati, in conseguenza del rigetto dei loro ricorsi, al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Cannova
NOME e NOME perché il reato è estinto per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili e la confisca. Condanna, inoltre, i predetti imputati alla
rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Comune di Motta Sant’Anastasia, che liquida in complessivi euro
3.686,00, oltre accessori di legge. Rigetta i ricorsi di Sodano COGNOME, Sodano
NOME COGNOME NOME e li condanna al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 novembre 2023
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Il Consigliere relatore
Il Presidente