Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11728 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11728 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 20/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOME NOME a Milazzo il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE del 19/07/2023
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso;
udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME
sentite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO generale NOME COGNOME, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso; sentito il difensore dell’indagato, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con ordinanza del 19 luglio 2023 (motivazione depositata il 1° settembre 2023), ha annullato l’ordinanza del Gip con la quale è stata applicata la misura degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente all’addebito provvisorio di tentata concussione (capo A), confermando il titolo genetico in relazione ai reati contestati ai capi B) (concorso in corruzion propria) e C) (tentata corruzione propria in concorso).
All’indagato, all’epoca deputato regionale dell’RAGIONE_SOCIALE – si contesta al capo B) di avere concorso moralmente, con ruolo di determiNOMEre, con COGNOME NOME, dirigente medico dell’RAGIONE_SOCIALE, nell’aver fatto conseguire a NOME COGNOME una borsa di studio destinata ad un “esperto di comunicazione” del valore di 16.000 euro; ciò al fine di ottenere in cambio i servizi professionali che COGNOME avrebbe prestato in favore dello stesso COGNOME.
2.1. In riferimento al capo C) si contesta all’indagato di avere concorso moralmente – con ruolo di determiNOMEre della COGNOME NOME – nel “portare avanti” la procedura finalizzata all’assegnazione di un incarico legale da attribuire, per volere dello stesso COGNOME, all’AVV_NOTAIO, all’epoca consigliere comunale di Barcellona Pozzo di Gotto e assessore del medesimo comune, in cambio del “passaggio” della COGNOME alla lista politica “RAGIONE_SOCIALE“, riconducibile a stesso COGNOME.
Avverso l’ordinanza del riesame, l’indagato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso nel quale deduce tre motivi.
3.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato contestato al capo B).
Al riguardo, si evidenzia che il Tribunale del riesame non ha adeguatamente considerato le dichiarazioni rese da più soggetti (COGNOME, COGNOME, COGNOME, COGNOME) che avrebbero tutti riferito di non aver notato alcunchè di anomalo durante la procedura per l’assegnazione della borsa di studio.
L’ordinanza sarebbe viziata anche in relazione alla prova del concorso morale del ricorrente tenuto conto dell’esistenza di una conversazione in cui la stessa COGNOME aveva riferito a COGNOME che era stato il direttore generale della struttura sanitaria a fare delle promesse a NOME, tanto da avere interesse ad un celere svolgimento della procedura per l’assegnazione della borsa di studio.
NOME non avrebbe inciso sul bando che, secondo la prospettazione, sarebbe stato predetermiNOME e neppure sarebbe stato chiarito come l’indagato, che non aveva alcun potere, avrebbe in concreto inciso sulla procedura, tenuto altresì conto che il predetto aveva sottoscritto un contratto di assunzione con un altro esperto di comunicazione, non avendo dunque interesse alcuno ai servigi del RAGIONE_SOCIALE.
3.1. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria per il reato di cui al capo C)
Dal contenuto delle conversazioni intercettate emerge che fu la COGNOME ad avanzare la pretesa al ricorrente di avere un “tornaconto” per il passaggio nel gruppo politico e non anche NOME a proporre a costei incarichi professionali. Pertanto, il ricorrente, pressato dalla COGNOME, cercò di “prendere tempo”, tant’è che il passaggio di partito non si verificò. Non vi sarebbe stato, dunque, un tentativo di corruzione, ma solo una trattativa politica che non portò ad un esito positivo.
3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al ritenuto pericolo di reiterazione della condotta delittuosa. Sul punto, si evidenzia che NOME da settembre 2022 ha cessato la propria carica di deputato regionale e non riveste più alcun incarico politico. Ciononostante, l’ordinanza impugnata ha ritenuto – in modo illogico – che permarrebbero le esigenze cautelari dal momento il ricorrente avrebbe agito come privato corruttore. Evidenzia l’indagato che, invece, è la stessa contestazione cautelare a collocare i fatti corruttivi nell’ambito dell’azione politica del NOME, di tal che al di fuori di quel contesto risult apodittica l’affermazione circa il perdurante periodo di reiterazione delle condotte illecite.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
In relazione alla contestazione di cui al capo B), va rilevato che la motivazione dell’ordinanza impugnata non risulta adeguata nella valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza e nella qualificazione giuridica della condotta contestata al ricorrente.
Pur esponendo in modo ampio gli indizi emergenti soprattutto dalle conversazioni intercettate, il Tribunale non fornisce una logica argomentazione in merito agli elementi costitutivi del reato provvisoriamente addebitato (corruzione propria). Invero, viene dato atto, da un lato, della relazione di forte dipendenza della COGNOME
nei confronti di COGNOME NOME, i cui voleri ella era pronta ad esaudire con sollecitudine; dall’altro lato, si deduce che, atteso il conferimento della borsa di studio al COGNOME, sussistono, a livello indiziario, gli estremi della corruzione propria (e ciò perché la COGNOME, cedendo alle pressioni di NOME, ha fatto conseguire a COGNOME l’indicata utilità in cambio delle prestazioni professionali che questi, esperto di comunicazione, avrebbe successivamente posto in essere a vantaggio di NOME).
2.1. Va rilevato che, sebbene detta ricostruzione in fatto risulti certamente plausibile ed evidenzi uno sviamento dell’esercizio della funzione pubblica da parte della COGNOME, il Tribunale del riesame non ha individuato le parti e i termini del contestato patto corruttivo, non precisando neppure quale rapporto logico-causale correli l’atto posto in essere dalla COGNOME e la successiva utilità conseguita da NOME.
Invero, il delitto di corruzione postula un patto nel quale siano dedotti l’atto dell’ufficio e, sinallagmaticamente, la prestazione di un’utilità che, dunque, non può rilevare ex se al di fuori del suo specifico inserimento nell’illecita intesa (cfr. Sez. 6, n. 3765 del 09/12/2020, dep. 2021, Mazzarella, Rv. 281144). In altre parole, ai fini della configurabilità del delitto di corruzione propria, non è sufficiente che risult provata la dazione o la promessa del denaro o dell’utilità in favore del pubblico ufficiale o del terzo, essendo, invece, necessario che detta utilità trovi la sua causa nel compimento dell’atto contrario ai doveri di ufficio, rappresentando l’adempimento del patto corruttivo (Sez. 6, n. 5017 del 7/11/2011, dep. 2012, Bisignani, Rv. 251867).
Ciò premesso, rileva il Collegio come dal provvedimento impugNOME non risulta la sussistenza della necessaria relazione sinallagmatica tra l’atto compiuto dalla COGNOME e la successiva utilità che si assume conseguita da NOME, rispetto alla quale non viene neppure chiarito se la sua realizzazione fosse stata ab initio programmata dal ricorrente e resa nota alla COGNOME allorché questi prospettò alla stessa di far conseguire al NOME la borsa di studio.
2.2. La carenza argomentativa relativa al sinallagma atto/utilità concerne anche la necessaria individuazione delle parti del contestato rapporto corruttivo. Dall’ordinanza impugnata, infatti, non emerge con chiarezza chi sia il soggetto corruttore: se il ricorrente, la cui posizione di destinatario dell’utilità appare, pe poco compatibile con tale ruolo, ovvero il COGNOME, il quale, tuttavia, sembrerebbe essersi limitato a sollecitare NOME – e non la COGNOME – a procurargli un posto di lavoro. Peraltro, ove si identificasse il corruttore nel COGNOME, va, comunque, considerato che detto ruolo non appare pienamente coerente con la fase in cui,
dinanzi alla sua sopravvenuta ritrosia, COGNOME e COGNOME si sono, secondo quanto esposto dal Tribunale del riesame, attivati per convincerlo a partecipare al concorso.
2.3. Con riferimento, infine, all’oggetto del patto corruttivo, rileva il Collegio ch l’ordinanza impugnata non contiene alcuna argomentazione sulla natura dell’atto contestato. Va, infatti considerato, anche alla luce delle censure difensive, che nel caso in esame viene in rilievo un’attività di carattere discrezionale rispetto alla quale il Tribunale ha omesso di valutare la sua eventuale rispondenza ad una esigenza della Pubblica Amministrazione.
Tale lacuna argomentativa si riflette inevitabilmente sulla qualificazione giuridica della condotta. Va, infatti, considerato che, secondo il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, che il Collegio condivide, l’accettazione da parte del pubblico agente di una indebita remunerazione per l’esercizio di un potere discrezionale non implica necessariamente l’integrazione del delitto di corruzione propria, dovendosi accertare che egli, violando le regole che disciplinano l’esercizio del potere, abbia pregiudizialmente inteso realizzare l’interesse del privato corruttore, sicché, qualora l’atto compiuto abbia comunque perseguito l’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, e non sia stato violato alcun dovere specifico, è configurabile il delitto di corruzione per l’esercizio della funzione (così, da ultimo, Sez. 6, n. 44142 del 24/05/2023, Di Guardo, Rv. 285366 – 02). Ai fini della configurabilità della corruzione propria è, dunque, necessario, in primo luogo, considerare le regole sottese all’esercizio dell’attività discrezionale e verificare: a) se l’atto sia posto in essere in violazione delle specifiche regole che disciplinano l’esercizio del potere discrezionale; b) se l’interesse pubblico sia stato in concreto condizioNOME dalla “presa in carico” dell’interesse del privato corruttore (cfr. Sez. 6 , n. 1594 del 10/11/2020, dep. 2021, Siclari, Rv. 280342). Con la conseguenza che ove tale duplice verifica abbia un esito negativo, risultando che l’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere è stato, comunque, soddisfatto, il fatto integrerà la fattispecie di cui all’art. 318 cod. pen. A tal fine, è, dunque imprescindibile un’analisi attenta della struttura del patto corruttivo al fine d accertare, da una parte, se sia o meno identificabile “a monte” un atto contrario ai doveri di ufficio e, qualora ciò non sia possibile, se la condotta del pubblico agente, «al di là del caso di manifeste violazioni di discipline cogenti, di elusione della causa fondativa del potere attribuito, abbia, nonostante ed in conseguenza del patto, fatto o meno buon governo del potere assegNOMEgli» (così, testualmente, Sez. 6, n. 1594 del 2021). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Insufficiente risulta la motivazione dell’ordinanza impugnata anche in riferimento all’addebito di cui al capo C).
3.1. In primo luogo, non viene chiarito se i colloqui tra l’indagato e la COGNOME fossero effettivamente finalizzati a concludere un accordo avente ad oggetto il “passaggio” di partito quale contropartita per l’attribuzione dell’incarico professionale. Invero, tentativo di corruzione presuppone, data la struttura bilaterale del reato, che alla parziale realizzazione dell’iter criminis abbiano partecipato entrambi i soggetti, i quali venendo a contatto abbiano intrapreso – senza concluderle – trattative sul mercimonio. In particolare, in tema di corruzione su proposta dello stesso pubblico ufficiale, per la configurabilità del predetto reato, si richiede che tale proposta non venga senz’altro respinta in modo da dare origine alle trattative poi non concluse (così, Sez. 6, n. 3056 del 10/02/1984, COGNOME, Rv. 163472 – 01).
3.2. A tale riguardo, l’ordinanza del riesame evidenzia a pag. 24 che a seguito delle insistenze del COGNOME, la COGNOME si diede da fare ma che la procedura relativa alla “attivazione procedure bando di gara per esperto avvocato specializzato per le professioni legali …” – in ipotesi a favore della COGNOME – non si concretizzò ma inoltre, “la COGNOME non accettava di effettuare la propria prestazione nei termini utili pe le mire politiche del NOME, pretendendo di ottenere contestualmente l’incarico richiesto, laddove l’espletamento della relativa procedura richiedeva “tempi tecnici” non aggirabili dalla COGNOME“; si precisa altresì che “l’impasse determiNOME dalla resistenza della COGNOME portava il COGNOME, in una conversazione con la COGNOME del 21 gennaio 2022, ad ipotizzare di trovare qualche altra persona quale beneficiario dell’incarico di professionista legale”. Elementi che inducono dubbi in ordine all’esistenza degli estremi per qualificare i “contatti” tra il ricorrente e la COGNOME termini di un tentativo di corruzione.
3.3. Inoltre, valgono anche in riferimento a tale addebito le già rilevate insufficienze motivazionali circa la qualificazione del fatto in termini di “corruzion propria”. Sul punto, l’ordinanza del riesame (/oc. cit.) rileva “come la COGNOME avesse del tutto rinunciato ad esercitare ad esercitare la sua funzione pubblica secondo principi di correttezza e imparzialità per perseguire pedissequamente i fini illeciti del NOME, che, d’altro canto, non mostrava alcuno scrupolo ad utilizzare la sua influenza per fini personali”: argomentazione che per le ragioni prima esposte non risulta idonea a ritenere giuridicamente configurabile la fattispecie di cui agli artt. 5 e 319 cod. pen.
Fondato è anche il terzo motivo del ricorso, relativo all’apprezzamento delle esigenze cautelari. L’ordinanza impugnata (pag. 25) le ha ritenute tuttora sussistenti, nonostante la cessazione dalla carica di deputato regionale, in quanto il COGNOME “non ha agito nella veste di pubblico ufficiale ma q uale privato determiNOMEre della COGNOME; era invece quest’ultima ad agire quale intraneus”.
Questa Corte ha avuto modo di precisare che «In tema di esigenze cautelari, l’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., nel testo introdotto dalla legge 16 aprile 2015, 47, richiede che il pericolo che l’imputato commetta altri delitti deve essere non solo concreto, ma anche attuale; ne deriva che non è più sufficiente ritenere altamente probabile che l’imputato torni a delinquere qualora se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario prevedere che all’imputato si presenti effettivamente un’occasione prossima per compiere ulteriori delitti della stessa specie» (ex multis, Sen 3 /n. 34154 del 24/04/2018, Ru gg erini, Rv. 273674 – 01).
Alla luce di detto principio, la motivazione del Tribunale messinese non risulta persuasiva considerato che, secondo q uanto emerge dall’ordinanza impugnata, COGNOME per porre in essere le condotte corruttive si sarebbe avvalso della COGNOME, disponibile nei suoi confronti proprio in virtù dell’importante “ruolo politico” del ricorrente. Dunque, non essendo più l’indagato deputato re g ionale e risultando la COGNOME sottoposta agli arresti domiciliari e sospesa dal pubblico servizio, è necessario che ven g ano indicati ulteriori elementi dai quali dedurre il concreto pericolo di reiterazione di reati della stessa specie da parte del NOME.
Alla luce delle precedenti considerazioni, va disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo giudizio al Tribunale del riesame di RAGIONE_SOCIALE.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
Così deciso il 20 dicembre 2023
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