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Corruzione per funzione: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione ha confermato una misura cautelare per un professionista accusato di corruzione per funzione. Il caso riguardava presunte sponsorizzazioni fittizie a favore della squadra sportiva di un funzionario pubblico in cambio della sua generica disponibilità a curare gli interessi del professionista. La Corte ha stabilito che per integrare il reato è sufficiente la ‘vendita’ della funzione pubblica, anche senza il compimento di specifici atti illegittimi. È stata inoltre ritenuta legittima la riqualificazione del reato da parte del giudice.

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Pubblicato il 2 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione per funzione: quando la disponibilità del P.U. è reato

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 26643/2024, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema della corruzione per funzione, delineando con chiarezza i confini di questo reato. La decisione conferma che per integrare la fattispecie non è necessario il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d’ufficio, ma è sufficiente la messa a disposizione della funzione pubblica in cambio di un’utilità. Analizziamo insieme questo importante caso.

I Fatti del Caso: Sponsorizzazioni in Cambio di Favori

Il procedimento trae origine da un’indagine che ha coinvolto un professionista e un funzionario dell’Agenzia delle Entrate, quest’ultimo anche dirigente di una squadra sportiva. Secondo l’accusa, il professionista avrebbe convinto alcuni suoi clienti a stipulare contratti di sponsorizzazione con la società sportiva del funzionario. Tali accordi, tuttavia, sarebbero stati fittizi o gonfiati, mascherando un’elargizione di denaro al pubblico ufficiale.

In cambio di questi benefici economici, il funzionario avrebbe messo a disposizione del professionista la propria funzione e il proprio ruolo, garantendogli una generica disponibilità per la cura dei suoi interessi personali e professionali presso l’ufficio pubblico. Questa disponibilità si era concretizzata in almeno due episodi: la modifica retroattiva della data di risoluzione di un contratto d’affitto e l’interessamento per una pratica di competenza di un altro ufficio.

La Decisione dei Giudici e i Motivi del Ricorso

Sulla base di questi elementi, al professionista era stata applicata la misura cautelare del divieto di esercitare la professione. Il Tribunale, in sede di appello, aveva confermato la misura, riqualificando il fatto, originariamente contestato come induzione indebita, nel più grave reato di corruzione per funzione.

L’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando principalmente tre aspetti:
1. Assenza di un patto corruttivo: la difesa sosteneva che il rapporto con il funzionario fosse di pura amicizia e che gli atti da lui compiuti non fossero illeciti.
2. Violazione del diritto di difesa: la riqualificazione del reato operata d’ufficio dal Tribunale avrebbe impedito una difesa adeguata.
3. Estraneità degli atti all’ufficio: i favori ricevuti non rientravano nelle specifiche mansioni del funzionario.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione sulla corruzione per funzione

La Suprema Corte ha rigettato tutti i motivi di ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali. Innanzitutto, ha stabilito che la valutazione sull’esistenza di un patto corruttivo, basata su intercettazioni che mostravano una chiara correlazione tra le sponsorizzazioni e la disponibilità del funzionario, è una questione di fatto non sindacabile in sede di legittimità. La Corte ha sottolineato un punto cruciale: il vero beneficiario del mercimonio non erano i clienti sponsor (che pure potevano ottenere vantaggi fiscali), ma il professionista stesso, il quale otteneva come corrispettivo la messa a disposizione della funzione pubblica per le sue necessità, anche future.

Riguardo alla riqualificazione del reato, i giudici hanno ribadito che il Tribunale del riesame ha il potere di modificare la qualificazione giuridica data dal Pubblico Ministero. Il diritto di difesa è garantito dalla possibilità di impugnare tale nuova qualificazione, come di fatto avvenuto con il ricorso in Cassazione.

Infine, e questo è il principio più rilevante, la Corte ha smontato la tesi difensiva sull’estraneità degli atti all’ufficio. Per configurare la corruzione per funzione, è sufficiente che l’atto oggetto dell’accordo rientri nella sfera di competenza o di influenza dell’ufficio del pubblico ufficiale, anche se si tratta di un’ingerenza di mero fatto. Ma, ancora più a fondo, la Corte ha specificato che il corrispettivo delle sponsorizzazioni non era il compimento di quei singoli atti, bensì l’aver messo a disposizione dell’altro il proprio ruolo e le proprie funzioni istituzionali. È proprio questa ‘vendita della funzione’ a integrare il delitto previsto dall’art. 318 c.p., a prescindere dal compimento di specifici atti e dalla loro contrarietà ai doveri d’ufficio.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza un principio cardine nella lotta alla corruzione: il bene giuridico tutelato è l’imparzialità, il buon andamento e il prestigio della Pubblica Amministrazione. Il reato di corruzione per funzione si perfeziona nel momento in cui la funzione pubblica viene asservita a interessi privati in cambio di un’utilità. Non serve che il pubblico ufficiale compia un atto illegittimo; basta che accetti di ‘vendere’ la sua disponibilità e il suo potere, inquinando alla radice la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Per configurare il reato di corruzione per l’esercizio della funzione è necessario che il pubblico ufficiale compia un atto illegittimo?
No, la sentenza chiarisce che il reato sussiste a prescindere dal compimento di specifici atti e dalla loro contrarietà o meno ai doveri d’ufficio. È sufficiente che il pubblico ufficiale metta a disposizione il proprio ruolo e le proprie funzioni istituzionali in cambio di un’utilità.

Un giudice può modificare l’accusa originaria formulata dal Pubblico Ministero durante un procedimento cautelare?
Sì, il Tribunale del riesame o dell’appello cautelare può modificare la qualificazione giuridica del fatto. Secondo la Corte di Cassazione, questo non viola il diritto di difesa, poiché l’indagato può impugnare tale nuova qualificazione nel successivo grado di giudizio.

L’atto del pubblico ufficiale deve rientrare nelle sue specifiche mansioni per integrare la corruzione?
No, è sufficiente che l’atto rientri nella sfera di competenza o d’influenza dell’ufficio a cui appartiene il soggetto corrotto. L’importante è che, in relazione a tale atto, il pubblico ufficiale possa esercitare una qualche forma di ingerenza, anche di mero fatto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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