Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 3442 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 3442 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: COGNOME NOME nato a PALMA DI MONTECHIARO il 21/08/1.974 COGNOME NOME nato a AGRIGENTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a AGRIGENTO il DATA_NASCITA COGNOME NOME nato a RAFFADALI il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/09/2022 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udito il Sostituto Procuratore generale, AVV_NOTAIO ssa COGNOME, la quale ha concluso per l’annullamento senza rinvio limitatamente alle statuizioni relative all’applicazione della pena accessoria per tutti i ricorsi; inammissibilità nel resto per tutti i ricorsi.
uditi i difensori:
L’avvocato NOME COGNOME si riporta alle conclusioni a firma degli avvocati COGNOME e COGNOME, che deposita unitamente alla nota spese, insistendo per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto dei ricorsi.
LAVV_NOTAIOavvocato NOME COGNOME si riporta alla memoria e alle conclusioni depositate, con
pec del 10.10.2023, unitamente alla nota spese. L’avvocato NOME COGNOME insiste nell’accoglimento del ricorso. L’avvocato COGNOME NOME insiste nell’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 13 settembre 2022 la Corte di appello di Palermo, per quanto ancora rileva, ha confermato la decisione di primo grado, quanto alla affermazione di responsabilità degli imputati sotto indicati in relazione ai delitti di corruzione e falsità ideologica in atti pubblici che verranno menzionati in fra in relazione ai motivi di ricorso.
Nell’interesse degli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono stati proposti ricorsi per cassazione, affidati ai motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc pen.
3. Ricorso NOME COGNOME
3.1. Con il primo motivo si contesta l’affermazione di responsabilità rilevando che i giudici di merito sono giunti a tale conclusione attraverso una errata valutazione degli elementi di prova.
Si osserva, in particolare: a) con riguardo al reato di cui al capo j (art. 110, 319 e 321 cod. pen.), con il quale era stato contestato il delitto di corruzione, in concorso con il marito NOME COGNOME, per avere promesso una somma di denaro in favore della AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME, medico certificatore RAGIONE_SOCIALE, affinché quest’ultima predisponesse il falso certificato di cui al capo jl: al) che il marito dell’imputata, nel corso dell’interrogatorio reso su richiesta del P.M., aveva ammesso le sue responsabilità, precisando che la moglie non era al corrente di quanto da lui realizzato; a2) che, del resto, le intercettazioni telefoniche avevano confermato che i contatti con i coimputati erano stati tenuti dai solo marito della COGNOME, la quale, appreso di quanto il coniuge aveva fatto, si era infuriata, giungendo a separarsi da quest’ultimo; a3) che da tutte le intercettazioni emergeva l’estraneità all’illecito della donna, la quale, ad es., durante la visita presso la AVV_NOTAIO, aveva mostrato di essere convinta che stava facendo una visita di controllo e, in altra occasione, non era stata presenl:e alla dazione di denaro consegnata dal marito ad un coimputato; b) con riguardo al delitto di cui al capo j2 (artt. 476, secondo comma, e 479 cod. pen.), che non vi era certezza che il AVV_NOTAIO COGNOME, medico pubblico specializzato in psichiatrica, fosse stato costretto o inCOGNOMEo a mercificare le proprie diagnosi e neppure si poteva affermare con certezza la falsità dell’atto emesso; c) con riguardo al delitto di cui al capo j3 (artt. 476, secondo comma, e 479 cod. pen.), non vi era alcuna certezza della provenienza del referto medico da parte del AVV_NOTAIO COGNOME,
medico pubblico specializzato in ortopedia e comunque dell’apporto della ricorrente.
3.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali in relazione all’entità della pena e al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
4. Ricorso NOME COGNOME.
4.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi m (art. 110, 319 e 321 cod. pen.) e ml (artt. 476, secondo comma, e 479 cod. pen.), rilevando: a) che i coimputati NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, attinti dalle medesime imputazioni, sia pure con riguardo a delitti commessi in date diverse, erano stati assolti, dal momento che non era stato rinvenuto nel carteggio processuale «il certificato in tesi protagonista di tutta la vicenda corruttiva e falsificatoria»; b) che neppure il certificato concernente la posizione della COGNOME era stato rinvenuto, come confermato dalla informativa in atti della Digos di RAGIONE_SOCIALE e come sarebbe risultato dagli esiti dalla richiesta formulata ai sensi dell’art. 165-bis, disp. att. cod. proc. pen.; c) che, peraltro, il fratello della ricorrente, NOME COGNOME, era stato assolto dai capi di imputazione ma e mal, in relazione alla corruzione e falsità ideologica della COGNOMENOME COGNOME per la visita della moglie del primo, NOME COGNOME, in quanto quest’ultima aveva desistito dal presentare domanda di invalidità civile e non emergeva in atti il certificato asseritamente frutto della falsa spirometria guidata dalla AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
4.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla affermazione di responsabilità per i capi m3 e m4, concernenti falsità ideologica in atti fidefacenti, per avere la Corte territoriale affrontato il nodo del concorso morale della ricorrente, la quale non aveva avuto alcun contatto con i medici autori dei referti – che avevano interloquito soltanto con il faccendiere Patanè -, valorizzando «la consapevole necessità di comprare con una contropartita economica la compiacenza dei medici erogando somme di denaro al solo Patanè».
4.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi imotivazionali e violazione di legge, in relazione all’affermazione di responsabilità per i reati di corruzione (capo m) e di falsità ideologica in atti fidefacenti (capo m2), rilevando che l’erogazione, da parte della COGNOME, in favore del Patanè di somma di assoluta modestia (100 euro) era indicativa di una retribuzione al solo faccendiere ossia, a tutto voler concedere, del perfezionarsi della fattispecie di cui all’art. 346-bis cod. pen.
4.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge in relazione all’assoluto silenzio serbato dalla Corte territoriale a proposito
delle ragioni che avevano conCOGNOMEo il giudice di primo grado a discostarsi dal minimo edittale e a quantificare in modo globale l’aumento ex art. 81 cod. pen. per i reati satellite.
4.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale omesso di esercitare i propri poteri officiosi, ai sensi dell’art. 597 cod. proc. pen., sebbene fosse stata sollecitata con le conclusioni scritte della difesa ad applicare le circostanze attenuanti generiche, la circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. e la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
5. Ricorso NOME COGNOME.
5.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, sviluppando considerazioni sovrapponibili al primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
5.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione all’affermazione di responsabilità per i delitti di cui ai capi m, ml (dei quali s’è detto supra sub 4.3.) e m5 (falsità ideologica in atto fidefacente), rilevando che la Corte territoriale aveva, con motivazioni generiche, eluso il tema della individuazione dei dati processuali idonei a confermare un concreto contributo concorsuale del ricorrente alla commissione degli illeciti dei quali si tratta.
5.3. Con il terzo motivo vengono sviluppate considerazioni sostanzialmente sovrapponibili al terzo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
5.4. Con il quarto motivo vengono sviluppate considerazioni sostanzialmente sovrapponibili al quarto motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
5.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per avere la Corte territoriale applicato la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici che, all’epoca dei fatti, prima delle modifiche apportate con la I. n. 3 del 2019, non era applicabile nei confronti del corruttore.
6. Ricorso NOME COGNOME.
6.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, denunciando l’assenza di una autonoma valutazione, da parte del giudice di primo grado e, successivamente, della sentenza impugnata dei dati processuali. I giudici di merito, omettendo di valutare criticamente le intercettazioni ambientali e telefoniche indicate, si erano sottratti al dovere di specificare le ragioni dell’attribuzione all’imputato dei fatti contestatigli.
6.2. Con il secondo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione ai delitti di corruzione (capo t) e di falso ideologico per induzione (capo t4), per avere i giudici di merito: a) valorizzato il rapporto ricostruito su basi non esplicite – tra l’imputato e l’intermediario COGNOME, per supplire alla mancata dimostrazione di un rapporto tra il primo, ossia il corruttore, e il AVV_NOTAIO NOME COGNOME, ossia il corrotto; b) omesso di considerare che, secondo il capo di imputazione, il delitto di cui al capo t4 trovava il suo presupposto imprescindibile nella falsità di cui al capo t1, per la quale era intervenuta assoluzione; c) che si era trascurato di considerare come la ritenuta induzione in errore dei componenti della Commissione RAGIONE_SOCIALE per l’accertamento dell’invalidità collideva con il fatto che la madre del COGNOME, NOME COGNOME, fosse realmente affetta da significative patologie che giustificavano il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge: ciò che aveva comportato l’assoluzione, come detto, dal reato di cui al capo ti.
6.3. Con il terzo motivo si lamentano vizi motivazionali e vrolazione di legge, in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche.
6.4. Con il quarto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al silenzio serbato dalla Corte territoriale in relazione alle doglianze sviluppate dalla difesa quanto alla mancata esclusione, in relazione al reato di cui al capo t4) della circostanza aggravante del nesso teleologico, nonostante l’intervenuta assoluzione dal reato di cui al capo ti).
6.5. Con il quinto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione al mancato riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen., alla luce delle condizioni di salute della COGNOME.
6.6. Con il sesto motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., previa riqualificazione dei fatti nella fattispecie di cu all’art. 318 cod. pen.
6.7. Con il settimo motivo si lamenta il mancato rilievo dell’intervenuta estinzione per prescrizione dei reati di cui ai capi t e t4.
6.8. Con l’ottavo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, in relazione alla pena accessoria dell’interdizione in perpetuo dai pubblici uffici e alla conferma delle statuizioni civili.
6.9. Con il nono motivo si sviluppano considerazioni sovrapponibili a quelle di cui all’ultimo motivo del ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME.
Sono state trasmesse, ai sensi dell’art. 23, comma 8, d.l. 28/10/2020, n. 137, conv. con I. 18/12/2020, n. 176, memoria difensiva e conclusioni scritte
nell’interesse della parte civile RAGIONE_SOCIALE, con le quali si insiste per la conferma delle statuizioni civili.
All’udienza del 25 ottobre 2023 vi è stata la trattazione orale del procedimento.
Considerato in diritto
1. Ricorso NOME COGNOME
1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza e assenza di specificità.
Deve, innanzi tutto rilevarsi che le censure concernenti l’attribuzione alla COGNOME dei reati di cui ai capi j) e j1) sono del tutto fuori fuoco, dal momento che la Corte territoriale l’ha assolta perché i fatti non costituiscono reato.
Con riferimento alla conferma della condanna per i reati di cui ai capi j2) e j3), le generiche critiche sono sostanzialmente riproduttive dell’atto di appello e non si confrontano con l’apparato argomentativo cui la sentenza impugnata affida la conclusione della consapevolezza della ricorrente di sottoporsi a visite orchestrare ad arte per conseguire benefici ai quali non aveva diritto.
1.2. Il secondo motivo è inammissibile per l’assoluta genericità di formulazione.
In ogni caso, occorre considerare che la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che nel caso di specie – non ricorre.
Quanto poi alle circostanze attenuanti generiche, si rileva che la mancata concessione delle stesse è giustificata, nella sentenza ,impugnata, con motivazione esente da manifesta illogicità, che si sottrae, pertanto, al sindacato di questa Corte (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio, espressione della consolidata giurisprudenza di legittimità, secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli deCOGNOMEi dalle parti o rilevabili dagli att ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque
rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, COGNOME, Rv. 248244).
2. Ricorso NOME COGNOME.
2.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile dal momento che introduce una questione fattuale (quella dell’assenza in atti di un certificato medico della COGNOMENOME COGNOME del quale si è ritenuta la falsità) che non è deCOGNOMEa come prospettata al giudice di appello e che, in effetti, non risulta prospettata dinanzi al giudice di secondo grado.
Secondo il fermo orientamento di questa Corte, il giudice di legittimità non può pronunciarsi su questioni, ancorché rilevabili d’ufficio, ex art. 609, comma 2, c.p.p., quando esse richiedano nuovi accertamenti in punto di fatto (v., ad es., in motivazione, Sez. 2, n. 17235 del 17/01/2018, Tucci, Rv. 272651 – 0).
2.2. Il secondo motivo è inammissibile, per assenza di specificità, in quanto fondato su censure che, nella sostanza, ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio indicato, conducente, a mente dell’art. 591 comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità (Sez. 4, 29/03/2000, n. 5191, COGNOME, Rv. 216473; Sez. 1, 30/09/2004, n. 39598, COGNOME, Rv. 230634; Sez. 4, 03/07/2007, n. 34270, COGNOME, Rv. 236945; Sez. 3, 06/07/2007, n. 35492, COGNOME, Rv. 237596).
In particolare, la Corte territoriale ha illustrato le ragioni della particolare rilevanza assegnata alle captazioni telefoniche ed ambientali, in ragione dell’assenza di inquinamenti derivanti da imprecisioni mnemoniche o da sovrastrutture difensive. In tale contesto, va solo ribadito che, in tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 -01).
2.3. Del pari inammissibile, per assenza di specificità, è il terzo motivo che del tutto genericamente omette di confrontarsi con i dati valorizzati dalla
sentenza impugnata (in particolare, v. pag. 19 e 20) a proposito dei destinatari finali delle erogazioni e della conseguente configurabilità del delitto di corruzione.
2.4. Il quarto motivo è inammissibile, dal momento che la Corte territoriale ha affrontato, quanto alla dosimetria sanzionatoria, l’unico profilo che risulta devoluto con l’atto di appello, ossia la determinazione della pena base e l’entità del complessivo trattamento punitivo. Il tema della motivazione degli aumenti per la continuazione non ha costituito oggetto di una critica specifica. E, in ogni caso, anche su tale profilo la Corte territoriale ha argomentato rispetto alla minima entità dell’aumento complessivo.
2.5. Il quinto motivo è inammissibile, giacché la censura che investa la mancata motivazione della sentenza in ordine a questioni che siano state prospettate al giudice di merito presuppone che esse siano state devolute in termini specifici, laddove il semplice esame delle conclusioni datate 16 novembre 2011 rivela la sostanziale assertività delle richieste concernenti la circostanza attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen. e la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen.
D’altra parte, sia con riguardo a tali profili, sia con riferimento alle circostanze attenuanti generiche (si tratta delle solo questioni sulle quali il quinto motivo si sofferma), la sentenza, ove esaminata nel suo complesso, replica, sottolineando, in termini che non esibiscono alcuna manifesta illogicità, la gravità della conCOGNOMEa posta in essere.
Del resto, come si è sopra ricordato, non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli deCOGNOMEi dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione
2.6. Piuttosto, sebbene non abbia costituito oggetto di motivo di ricorso, deve prendersi atto d’ufficio dell’illegalità della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici applicata nei confronti della ricorrente.
Invero, come già chiarito da questa Corte, in tema di corruzione, non trova applicazione nei confronti del corruttore la pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici in caso di condanna per fatti commessi, come nella specie, prima dell’entrata in vigore della legge 9 gennaio 2019, n. 3, dal momento che l’art. 317 -bis cod. pen., nel testo antecedente alla novella, non conteneva alcun riferimento alla fattispecie di reato disciplinata dall’art. 321 cod. pen. (Sez. 6, n. 5457 del 12/09/2018, dep. 2019, Cosentino, Rv. 275029 – 03). Ciò posto, secondo quanto osservato in motivazione da Sez. 5, n. 15825 del 17/01/2020, COGNOME, n.m., ai fini dell’applicazione della pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici, in caso di più reati unificati sotto il vinco della continuazione, occorre fare riferimento alla misura della pena base stabilita in concreto per il reato più grave, come risultante a seguito della diminuzione per la scelta del rito, e non a quella complessiva risultante dall’aumento della continuazione (v. anche Sez. 5, n. 8126 del 6/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272408; Sez. 5, n. 28584 del 14/3/2017, COGNOME, Rv. 270240; Sez. 6, n. 3633 del 20/12/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269425; Sez. 7, n. 48787 del 29/10/2014, COGNOME, Rv. 264478; Sez. 1, n. 7346 del 30/1/2013, COGNOME, Rv. 254551).
Ne discende che la pena inflitta alla NOME per il reato più grave (cinque anni di reclusione), riCOGNOMEa per la scelta del rito abbreviato, va assunta, nella prospettiva dell’applicazione dell’art. 29, primo comma, cod. pen., nella misura di tre anni e quattro mesi, con la conseguenza che, all’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente alla determinazione della pena accessoria della quale si tratta, segue la rideterminazione della stessa, ai sensi dell’art. 620, comma 1, lett. I), cod. proc. pen., nella misura di cinque anni.
3. Ricorso NOME.
3.1. Il primo motivo è inammissibile per le stesse ragioni sviluppate supra sub 2.1.
3.2. Il secondo motivo è inammissibile per assenza di specificità, alla luce di quanto sopra precisato alla luce della natura di tale vizio (v. supra sub 2.2). In particolare, le generali e generiche doglianze articolate omettono di confrontarsi con i dati valorizzati dalla sentenza impugnata (v., in particolare, pag. 21 e 22) che dimostrano il consapevole dinamismo dell’imputato nelle vicende che gli sono state attribuite.
3.3. Il terzo e il quarto motivo sono inammissibili per le medesime ragioni sviluppate supra sub 2.3 (si veda il rinvio di pag. 23 alle considerazioni dedicate all’appello di NOME COGNOME) e 2.4.
3.4. Il quinto motivo è fondato, per le stesse ragioni sopra indicate sub 2.6. In questo caso, poiché la pena base, quale rideterminata dalla Corte di appello, è di quattro anni di reclusione, la riduzione di un terzo porta ad una pena inferiore ai tre anni, con la conseguenza che non ricorrono i presupposti per l’applicazione della pena accessoria temporanea, ai sensi dell’art. 29, primo comma, cod. pen.
4. Ricorso NOME COGNOME.
4.1. Il primo motivo è inammissibile per l’assoluta genericità di formulazione che omette qualunque confronto con l’apparato motivazionale della sentenza impugnata. Anche il tema dell’omessa valutazione della memoria depositata in
primo grado è articolato in termini di inammissibile genericità’ poiché il ricorso non indica quali decisivi profili di censura non sarebbero stati esaminati.
Al riguardo, va ribadito che l’omesso esame di una memoria difensiva non può essere deCOGNOMEo in sede di legittimità, salvo che introduca temi nuovi e questioni diverse potenzialmente decisive, non sussistendo un’omessa valutazione quando gli argomenti in essa sviluppati, sui quali il provvedimento impugnato sia rimasto silente, siano smentiti dal complessivo impianto motivazionale, in quanto logicamente incompatibili con la ricostruzione accertata e la valutazione formulata (Sez. 5, n. 5443 del 18/12/2020, dep. 2021, Bagalà, Rv. 280670 – 01, in tema di incidente cautelare, ma con l’affermazione di principi di carattere generale).
4.2. Prima di esaminare i restanti motivi, occorre considerare, per ragioni logiche, il settimo motivo, con il quale si lamenta il mancato rilievo dell’intervenuta prescrizione dei reati di cui ai capi t) e t4).
Entrambi i delitti sono contestati come commessi in data 13 marzo 2013 e, sul punto, il ricorso non muove rilievo alcuno, condividendo siffatta premessa.
Ora, quanto al delitto di cui al capo t (art. 319 e 321 cod. pen.), il massimo edittale vigente all’epoca dei fatti, prima dell’innalzamento operato con la I. 69 del 2015, era di otto anni, con la conseguenza che, per effetto dell’applicazione degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., si giunge a dieci anni, cui devono sommarsi 303 giorni di sospensione. Ne discende che il termine alla data della decisione non era ancora scaduto.
Al contrario, il reato di cui al capo t4), rispetto al quale non v’è contestazione dell’aggravante della fidefacenza, il termine di sette anni e mezzo, risultante per effetto dell’applicazione degli artt. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen., anche considerando i 303 giorni di sospensione, era spirato ben prima della sentenza di secondo grado, con la conseguenza che deve farsi applicazione dei principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 266818 – 01).
Ne consegue, non ricorrendo, per i motivi che verranno evidenziati in prosieguo, anche alla luce dell’esame delle questioni civilistiche, ragioni idonee a condurre al proscioglimento, che la sentenza va annullata senza rinvio con riguardo al reato di cui al capo t4), estinto per prescrizione, con eliminazione della relativa pena (tre mesi di reclusione al lordo della riduzione per la scelta del rito; sul punto si avrà modo di tornare al termine dell’esame dei motivi).
4.3. Il secondo motivo è inammissibile per assenza di specificità, poiché, attraverso proposizioni di carattere generale, omette di confrontarsi con le puntuali indicazioni sviluppate nella sentenza impugnata a proposito della consapevole realizzazione dei fatti illeciti da parte del COGNOME. In realtà, la
doglianza, in termini assertivi, aspira ad una rivalutazione delle risultanze istruttorie, inammissibile in questa sede.
4.4. Il terzo motivo è inammissibile per l’assorbente ragione che il ricorrente neppure indica quali positivi fattori di contenimento della pena, valutabili ai fini del riconoscimento delle circostanze di cui all’art. 62-bis cod. pen., non sarebbero stati considerati dal giudice d’appello.
4.5 Il quarto motivo resta superato dall’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata in relazione al delitto di cui al capo t4) (e questo al di là del rilievo che la Corte territoriale ha escluso che sia stata ritenuta sussistente la circostanza aggravante di cui all’art. 61, n. 2, cod. pen. (pag. 31 della sentenza impugnata).
4.6. Il quinto e il sesto motivo sono inammissibili poiché reiterano prospettazioni, in ordine alla particolare tenuità dei fatti e alla auspicata riqualificazione degli stessi ai sensi dell’art. 318 cod. pen., che sono del tutto reiterativi di critiche puntualmente esaminate dalla Corte territoriale e oggetto di valutazioni, anche in punto di fatto, quanto alle condizioni di salute della COGNOME e al carattere strutturato degli illeciti, che non esibiscono alcuna illogicità
4.7. La declaratoria di inammissibilità dei superiori motivi di ricorso (il tema che verrà affrontato subito infra, a proposito della determinazione della pena accessoria, non incide in alcun modo nel rapporto con le parti civili), con la sola eccezione dell’accoglimento del settimo motivo di ricorso, quanto al reato di cui al capo t4), estinto per prescrizione prima della sentenza di secondo grado, travolge, per le stesse ragioni, le generiche doglianze che investono le statuizioni risarcitorie sviluppate con l’ottavo motivo.
4.8. Il nono motivo è fondato, per le stesse ragioni sopra indicate sub 2.6 e conduce alla medesima rideterminazione della pena accessoria nella durata di cinque anni, posto che la pena base irrogata al COGNOME è, come per la COGNOME, al netto della riduzione di un terzo per la scelta del rito, di tre anni e quattro mesi di reclusione.
Peraltro, residuando soltanto la condanna per il reato di cui al capo t), per effetto dell’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata’ quanto al reato di cui al capo t4), proprio in tre anni e quattro mesi di reclusione, va rideterminata la pena inflitta all’imputato.
Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso della COGNOME consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione delle questioni deCOGNOMEe, appare equo determinare in euro 3.000,00. Con riguardo al regolamento delle spese nel rapporto con le parti civili,
occorre considerare che, secondo il fermo orientamento di questa Corte, nel caso in cui, in parziale accoglimento del ricorso dell’imputato, la Corte di cassazione annulli con rinvio la sentenza impugnata ai soli fini della rideterminazione della pena di un reato in relazione al quale vi sia stato accoglimento della domanda della parte civile, il ricorrente deve essere condannato alla rifusione delle spese di lite in favore delle parti civili costituite vittoriose, poiché alle stesse non può derivare alcun pregiudizio dal giudizio di rinvio (Sez. 4 , n. 9208 del 15/01/2020, L., Rv. 278908 – 02). Identiche conclusioni, alla luce del medesimo principio, valgono nei casi, qui ricorrenti, di annullamento senza rinvio in relazione al trattamento sanzionatorio accessorio o nei casi in cui l’annullamento senza rinvio per intervenuta prescrizione si accompagni alla reiezione del ricorso agli effetti civili.
Ne discende che la COGNOME – nei cui soli confronti è indirizzata la relativa pretesa civilistica – va condannata al pagamento delle spese sostenute dalla RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in relazione all’attività svolta, come da dispositivo. Tutti gli imputati vanno condannati, in solido, al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, liquidate, in relazione all’attività svolta, come da dispositivo. Quanto alle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE), le Sezion Unite di questa Corte hanno chiarito che compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre è rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R. (Sez. U, n. 5464 del 26/09/2019 – dep. 12/02/2020, COGNOME Falco, Rv, 27776001). In questi termini va, pertanto, pronunciata la condanna in solido degli imputati.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente al reato di cui al capo t4), in quanto estinto per prescrizione, e, eliminato il relativo aumento per la continuazione, ridetermina la pena inflitta in anni tre mesi quattro di reclusione, così determinata per il rito. Annulla senza rinvio la medesima sentenza nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, limitatamente all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici, che sostituisce, nei confronti dei soli COGNOME NOME e COGNOME NOME, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni cinque. Dichiara
inammissibili nel resto i ricorsi e condanna COGNOME NOME al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Condanna, inoltre, gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile I.n.p.s., che liquida in complessivi euro 3.000,00, oltre accessori di legge. Condanna, altresì, COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, che liquida in complessivi euro 3.686,00, oltre accessori di legge. Condanna, inoltre, gli imputati in solido tra loro alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili ammesse al patrocinio a spese dello RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nella misura che sarà liquidata dalla Corte di appello di Palermo con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello RAGIONE_SOCIALE.
Così deciso il 25/10/2023.