Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 3653 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 3653 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/10/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Bergamo il 27/03/1959
avverso la sentenza dell’11/10/2022 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso o l’annullamento senza rinvio della sentenza, nel caso di maturata prescrizione del reato;
uditi i difensori delle parti civili, avv. NOME COGNOME per “RAGIONE_SOCIALE e avv. COGNOME in sostituzione dell’avv. NOME COGNOME per “RAGIONE_SOCIALE, che si sono riportati alle conclusioni scritte previamente depositate;
udito il difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Bolocina ha confermato la condanna di NOME COGNOME per il delitto di corruzione per atti contrari ai doveri
d’ufficio, nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili “RAGIONE_SOCIALE e “RAGIONE_SOCIALE
A lui si addebita di avere indebitamente favorito, nella sua qualità di responsabile della programmazione del canale televisivo “RAGIONE_SOCIALE” e, come tale, di incaricato di pubblico servizio, l’azienda “RAGIONE_SOCIALE” di NOME COGNOME titolare dei diritti televisivi di produzioni cinematografiche russe ed intermediario della casa di produzione russa “RAGIONE_SOCIALE“.
Secondo la concorde decisione dei giudici di merito, nell’esercizio dei suoi compiti di selezione e proposta alla direzione generale di “RAGIONE_SOCIALE dei prodotti audiovisivi da acquistare, l’imputato ha proposto per l’acquisto da “RAGIONE_SOCIALE” numerose opere di scarso interesse per “RAGIONE_SOCIALE“, tanto da non essere inserite nei palinsesti della programmazione, ma pagate a prezzi particolarmente elevati e determinati unilateralmente dal COGNOME, nel cui esclusivo interesse egli ha perciò agito; in corrispettivo, ha complessivamente da questi ottenuto, nel corso dell’anno 2012, una somma di oltre quarantamila euro, versatagli mediante sette bonifici bancari, nonché una carta di credito prepagata, con la quale ha effettuato spese per oltre 1.800 euro tra dicembre 2012 e gennaio 2013.
Con il ricorso in rassegna, proposto per I tramite del suo difensore, l’imputato chiede alla Corte di cassazione di annullare tale decisione, per cinque motivi.
2.1. In primo luogo, per violazione della legge processuale in materia di competenza del giudice per territorio.
Il delitto di corruzione – egli sostiene, con richiami di giurisprudenza e di dottrina – si consuma nel momento e nel luogo in cui si conclude il patto corruttivo: ciò che, nello specifico, è avvenuto negli uffici della “RAI”, quindi a Roma. Nel circondario di Bologna, infatti, in particolare presso varie filiali di un istituto bancario site nella provincia di tale città, sono stati effettuati i bonifici, tuttavia rappresentavano soltanto il momento esecutivo del patto illecito, non influendo perciò sulla consumazione del reato.
2.2. Il secondo motivo contesta la configurabilità del patto corruttivo, sostenendo la difesa ricorrente che i bonifici effettuati dal COGNOME in favore dell’imputato rappresentassero un prestito e che non vi fosse il collegamento sinallagmatico degli stessi con il contratto di vendita dei diritti dei film dalla “Tele Video” a “Rai Cinema”, necessario per la sussistenza del reato. Inoltre, e comunque, COGNOME non aveva il potere d’incidere sulle scelte aziendali, spettando ad altri organi la deliberazione relativa agli acquisti.
Peraltro – aggiunge la difesa – se effettivamente quei bonifici fossero stati causalmente collegati alla stipulazione del contratto di vendita dei film, non
troverebbero spiegazione quelli effettuati successivamente a questo. Senza contare che, diversamente, essendo stato tale accordo concluso a marzo 2012, ciò rileverebbe ai fini della prescrizione dell’eventuale reato.
Con tali osservazioni e con le risultanze probatorie addotte a sostegno, evidenziate con il gravame, la Corte d’appello non si sarebbe confrontata, limitandosi a valorizzare acriticamente le mali del COGNOME con l’imputato e con il direttore della banca.
2.3. Il terzo motivo lamenta la mancata riqualificazione del fatto nel delitto di corruzione per l’esercizio della funzione, a norma dell’art. 318, cod. pen., non potendo comunque ravvisarsi una contrarietà della condotta dell’imputato rispetto ai suoi doveri d’ufficio.
I film acquistati – si sostiene – erano tutti di alta qualità, non potendo perciò mancare in una videoteca pubblica, come quella della “RAI”; inoltre, il loro prezzo d’acquisto è stato congruo, come riferito in dibattimento dal consulente della difesa e dall’amministratore delegato di “RAGIONE_SOCIALE“.
Quindi, replicando alle osservazioni contenute in sentenza, la difesa deduce: che l’assunto dell’omessa preventiva valutazione, da parte dell’imputato, delle opere acquistate dalla “RAGIONE_SOCIALE” non è dimostrata, anzi è smentita dalle testimonianze; che la mancata valutazione di proposte alternative a quelle di tale società non era possibile, essendo quest’ultima esclusivista in Italia del mercato cinematografico russo; che, comunque, non spettava all’imputato, ma agli organi decisionali dell’azienda, effettuare le valutazioni comparative.
2.4. La quarta doglianza consiste nella violazione dell’ari:. 603, cod. proc, pen., per avere la Corte d’appello respinto l’istanza difensiva di rinnovazione dell’istruttoria, al fine di eseguire una perizia sulle circostanze appena evidenziate, indispensabile ai fini della corretta qualificazione giuridica del fatto, se ritenuto sussistente.
2.5. L’ultimo motivo attiene al trattamento sanzionatorio, per non avere il giudice d’appello specificamente motivato sull’irrogazione di una pena superiore alla metà edittale e sulla ritenuta gravità del fatto.
Hanno depositato argomentate conclusioni scritte e note spese le parti civili “RAGIONE_SOCIALE e “RAGIONE_SOCIALE, chiedendo di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso, con condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di causa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Nessuno dei motivi di ricorso può essere ammesso.
Essi presentano un limite comune, che consiste nella loro aspecificità, consistendo essenzialmente nella riproposizione dei motivi di appello, senza alcun confronto critico puntuale con le ragioni della sentenza impugnata, la cui motivazione si presenta diffusa e puntuale, priva di salti logici e giuridicamente corretta.
Passando dunque in rassegna i singoli motivi, nell’ordine in cui sono stati proposti, va rilevato che, in verità, con il primo, in tema ci competenza per territorio, la difesa ha provato a contrastare sul piano giuridico la tesi dei giudici di merito, sebbene con argomenti privi di qualsiasi fondamento.
Il ricorso, infatti, omette di misurarsi con l’ormai consolidato principio per cui il delitto di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa ovvero con la dazione o la ricezione dell’utilità, e, quando alla promessa faccia seguito la dazione o ricezione, è solo in tale ultimo momento che, approfondendosi l’offesa tipica, il reato viene a consumazione (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills, Rv. 246583).
Nello specifico, dunque, il momento consumativo del reato va ravvisato nell’erogazione delle dazioni, che sono tutte avvenute presso le filiali bancarie della provincia di Bologna, spettando perciò al Tribunale di quella citi:à la competenza a decidere, a norma dell’art. 8, comma 1, cod. proc. pen..
Il secondo motivo, in tema di configurabilità del patto corruttivo, replica sostanzialmente le questioni sottoposte alla Corte d’appello e da questa respinte con motivazione esente da censure.
Tanto dicasi per l’addotta causale del prestito, a giustificazione dei versamenti effettuati da COGNOME (vds., in particolare, pagg. 16 s., sent.); per la relazione sinallagmatica tra questi ultimi e l’avanzare della trattativa per l’acquisto dei film dalla “Tele Video” (pagg. 15 s., sent.); per il potere di fatto, tutto nelle mani del COGNOME, di decidere per conto dell’azienda l’acquisto dei film, formalmente deliberato dai vertici ma attraverso un controllo di mera regolarità amministrativa e non sul merito delle scelte (pagg. 17 s., in cui si riportano le testimonianze dell’annministrator delegato di “RAGIONE_SOCIALE” e del direttore di “RAGIONE_SOCIALE).
Sfugge, infine, la ragione per la quale – secondo quel che adduce la difesa la posteriorità nel tempo dei bonifici rispetto alla stipulazione del contratto tra “RAGIONE_SOCIALE” e la “Rai” sarebbe dimostrativa dell’assenza di un collegamento degli uni all’altro: come se il prezzo della corruzione, per essere tale, debba essere versato sempre e soltanto in anticipo. Senza contare che, peraltro, tali versamenti sono avvenuti tutti nel breve lasso di tempo di qualche mese, proprio lo stesso in cui si è svolta e perfezionata la procedura d’acquisto.
Anche il terzo motivo, in tema di riqualificazione del fatto nella fattispecie della corruzione ex art. 318, cod. pen., altro non fa, se non ripetere quanto già rassegnato alla Corte d’appello e da questa correttamente valutato. La sentenza, infatti, spiega diffusamente perché COGNOME abbia agito esclusivamente nell’interesse del Vidakis, recependone integralmente le indicazioni dei titoli da acquistare ed i relativi prezzi di vendita, informandolo costantemente delle dinamiche interne alla “Rai”, consentendogli di dettare i tempi delle trattative e perciò, in questo modo, completamente abdicando all’esercizio del proprio potere discrezionale ed al perseguimento dell’interesse aziendale.
Sul punto, allora, va ribadito quanto già altre volte questa Corte ha affermato: ovvero che, nell’ipotesi in cui l’atto del pubblico funzionario sia espressione di un potere discrezionale a lui riconosciuto, l’accettazione, da parte sua, di un’indebita remunerazione integra la corruzione “propria” (art. 319, cod. pen.) se, in concreto, l’esercizio della sua attività sia stato condizionato dalla “presa in carico” dell’interesse del privato corruttore, comportando una violazione delle norme attinenti a modi, contenuti o tempi dei provvedimenti da assumere e delle decisioni da adottare; solo se l’interesse perseguito sia ugualmente sussumibile nell’interesse pubblico tipizzato dalla norma attributiva del potere, invece, la condotta dev’essere sussunta nella fattispecie della corruzione per l’esercizio della funzione (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555-05). Occorre, cioè, in altri e più semplici termini, accertare se l’atto sia stato posto in essere in violazione delle regole che disciplinano l’esercizio del potere discrezionale e se il pubblico agente abbia pregiudizialmente inteso realizzare l’interesse del privato corruttore, dovendosi invece ritenere integrato il reato di cui all’art. 318, cod. pen., qualora l’atto compiuto realizzi ugualmente l’interesse pubblico e non sia stato violato alcun dovere specifico (Sez. 6, n. 44142 del 24/05/2023, COGNOME, Rv. 285366; Sez. 6, n. 1594 del 10/11/2020, dep. 2021, Siclari, Rv. 280342). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Quanto appena esposto conduce inevitabilmente a ritenere superfluo l’accertamento al quale era funzionale la richiesta di rinnovazione istruttoria e, di conseguenza, a considerare manifestamente infondato il quarto motivo di ricorso, che del rigetto di quella si duole.
È irrilevante, cioè, come correttamente ha ritenuto la Corte d’appello (pag. 21, sent.), stabilire il valore commerciale dei film, una volta ac:certato che il loro acquisto è stato promosso dal COGNOME e da lui proposto ai vertici aziendali solo per avvantaggiare COGNOME e dietro un compenso non dovutogli.
Non è consentito, infine, l’ultimo motivo di ricorso, in tema di misura della pena.
La determinazione di quest’ultima, infatti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133, cod. pen.. È inammissibile, perciò, la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena, la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, essendo necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale (tra le tantissime: Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288; Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243; Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142).
Nello specifico, allora, è sufficiente rilevare che la sentenza ha ragionevolmente valorizzato la significativa entità della remunerazione indebita ottenuta dall’imputato ed il lasso temporale non breve durante il quale la sua condotta si è svolta, coerentemente ricavandone la significativa intensità del dolo e ritenendo equa una pena pari al medio edittale dell’epoca (ovvero sei anni di reclusione, su una forbice da quattro ad otto anni: sulle modalità di calcolo del medio edittale, vds. Sez. 3, n. 29968/2019, cit.).
L’inammissibilità del ricorso comporta obbligatoriamente – ai sensi dell’art. 616, cod. proc. pen. – la condanna del proponente alle spese del procedimento ed al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, non ravvisandosi una sua assenza di colpa nella determinazione della causa d’inammissibilità (vds. Corte Cost., sent. n. 186 del 13 giugno 2000). Detta somma, considerando la manifesta assenza di pregio degli argomenti addotti, va fissata in tremila euro.
In quanto soccombente, il ricorrente dev’essere altresì condannato alla rifusione delle spese in favore delle parti civili, che si liquidano come da dispositivo, considerando l’ordinario impegno richiesto dal procedimento per i loro difensori.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Condanna inoltre il ricorrente a rifondere alle parti civili “RAGIONE_SOCIALE e “RAGIONE_SOCIALE le spese di rappresentanza e difesa del
presente grado di giudizio, che liquida in euro 3.686,00 per ciascuna.
Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2023.