Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7149 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7149 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MILANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio in accoglimento del secondo motivo di ricorso limitatamente alla natura unitaria o meno dei fatti descritti al capo della rubrica e all’eventuale decorso della prescrizione in relazione a taluno di essi;
udite le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV_NOTAIO, che si è riportato ai motivi di ricorso ed alle note difensive chiedendo l’accoglimento del ricorso;
udite le conclusioni della parte civile costituita, con l’AVV_NOTAIO, in sostituzione dell’AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO UN FATTO
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 23/05/2023, decidendo in sede di rinvio a seguito di annullamento della Sesta sezione della Corte di cassazione con sentenza n. 9642 del 26/05/2021 con riferimento al capo a) della rubrica, ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Milano del 06/10/2016, appellata da COGNOME NOME, rideterminando la pena in anni tre e mesi nove di reclusione (artt. 319 e 320 cod. pen., art. 4 del d.lgs. 146 del 2006).
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore, il COGNOME che ha dedotto motivi di ricorso che si riportano nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 dìsp. att. cod.proc.pen.
2.1. COGNOME Vizio COGNOME della COGNOME motivazione COGNOME perché COGNOME contraddittoria COGNOME e manifestamente illogica, oltre che pesantemente carente quanto al motivo di appello relativo alla inattendibilità del teste NOME COGNOME, in aperta violazione delle direttive fornite dalla Corte di cassazione nella sentenza di annullamento con rinvio; il COGNOME è difatti l’unico effettivo accusatore del ricorrente e dalla compiuta considerazione delle sue dichiarazioni si sarebbe dovuta vagliare la portata dell’intero impianto accusatorio. Nella prospettazione della difesa la Corte di appello si è sostanzialmente sottratta a tale verifica richiesta dalla Corte di cassazione avendo semplicemente: ribadito come la posizione dello stesso COGNOME fosse stata specificamente valutata dal Tribunale; – rimandato alle conclusioni raggiunte in quella sede, confermando in tal modo le valutazioni del primo giudizio di appello, senza effettiva analisi critica e ricostruttiva secondo il dettato della Corte di cassazione; – omesso di correlare le proprie scarne considerazioni a dati di riscontro, nonostante le molteplici contestazioni difensive articolate nel motivo di appello.
2.2. COGNOME Vizio COGNOME della COGNOME motivazione COGNOME perché COGNOME contraddittoria COGNOME e manifestamente illogica, con inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di norme processuali con specifico riferimento: – al calcolo della prescrizione dei reati contestati; – alla individuazione della normativa applicabile in relazione alla successione delle condotte nel tempo, nonché in relazione alla disciplina di cui all’art. 81 cpv cod.pen. La sentenza di appello ha difatti mutato radicalmente la connotazione del fatto contestato, con conseguente violazione del diritto di difesa in considerazione della mancanza
di correlazione tra la accusa elevata e la sentenza, escludendo che nel caso in esame ricorressero quattro distinte ipotesi di reato unificate dal vincolo della continuazione e ritenendo invece la sussistenza di un reato unico a condotta progressiva o frazionata, con riconduzione di tutte le elargizioni ad un unico accordo. Tali elementi emergono precipuamente dalla motivazione in tema di trattamento sanzionatorio, con una serie di evidenti conseguenze su rilevanti temi giuridici devoluti, così semplificati e di fatto non affrontati. La motivazione è inoltre sul punto contraddittoria, attese le considerazioni effettuate dalla Corte di appello, in relazione alla vicenda c.d. “RAGIONE_SOCIALE“, quando afferma che non sia necessaria la rinnovazione dibattimentale richiesta dalla difesa affermando che il reato è prescritto. Ne consegue in conclusione una violazione di legge e violazione di norme processuali con violazione del diritto di difesa per mancata correlazione tra accusa e sentenza.
Il Procuratore generale ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza in accoglimento del secondo motivo di ricorso limitatamente alla natura unitaria o meno dei fatti descritti al capo a) ed all’eventuale decorso della prescrizione in relazione a taluno di essi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché proposto con motivi manifestamente infondati, generici e non consentiti.
Il primo motivo di ricorso non è consentito, oltre che manifestamente infondato. In via preliminare occorre considerare che la Sesta sezione di questa Corte, nel delimitare il giudizio devoluto alla Corte di appello a seguito dell’annullamento con rinvio, aveva espressamente individuato le tematiche che caratterizzavano il perimetro valutativo, specificando che era necessario motivare in relazione ai seguenti temi: – se e in che limiti si potesse giungere ad una affermazione di responsabilità in ordine al capo a); – se ricorresse un unico patto corruttivo o diverse e separate condotte in relazione al loro oggetto; – se la fattispecie contestata fosse riconducibile all’art. 319cod. pen. ovvero a quella prevista dall’art. 318 cod. pen., considerando le norme vigenti al momento della commissione del fatto e le modifiche normative successivamente intervenute, con conseguente vaglio in ordine alla eventuale decorrenza del termine di prescrizione.
La Corte di appello ha puntualmente adempiuto all’onere motivazionale oggetto di devoluzione, nell’ambito del perimetro valutativo tracciato dalla Sesta sezione, con motivazione logica ed approfondita, che non si presta a censure in questa sede.
In tal senso, il primo motivo di ricorso si deve ritenere non consentito nella parte in cui contesta la mancata valutazione della attendibilità del COGNOME NOME da parte della Corte di appello. Le doglianze, per come articolate, non si confrontano con la complessiva motivazione del giudice di secondo grado, emergendo conseguentemente anche un profilo di aspecificità del ricorso sul punto (Sez. 4, n. 256 del 18/09/1997, COGNOME, Rv. 210157-02; Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007, COGNOME, Rv. 236945-01; Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013, NOME, Rv. 255568-01; Sez. 2, n. 11951 del 20/01/2014, Lavorato, Rv. 259435-01; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 277710 -01).
La stessa struttura della sentenza evidenzia come non colga nel segno l’argomentazione difensiva secondo la quale la Corte di appello si sarebbe limitata ad un sintetico e mero rimando per relationem alla sentenza di primo grado quanto alla attendibilità del COGNOME.
È infatti presente, nella motivazione della sentenza impugnata, una amplissima ricostruzione delle valutazioni effettuate dal giudice di primo grado su tale tema, oltre che un richiamo specifico ed analitico alle circostanze, valutate dal Tribunale, che hanno portato all’avvio delle indagini per le contestazioni elevate, alle molteplici acquisizioni documentali conseguenti, alle ampie dichiarazioni rese da tutti i soggetti coinvolti nell’ampio contesto corruttivo evidenziato nella imputazione di cui al capo a) in senso oggettivamente convergente ed integrato dalle plurime attività di osservazione e controllo, oltre che di perquisizione e sequestro, a carico dei soggetti coinvolti con il ricorrente in una articolata e strutturata attività congiunta in danno della RAGIONE_SOCIALE.
Sono state quindi esplicitamente richiamate le valutazioni di primo grado quanto: – alla presenza di una serie di progetti imprenditoriali paralleli; – alle operazioni finanziarie in danno della predetta RAGIONE_SOCIALE; – alle specifiche condotte unitariamente ricomprese nell’articolazione dell’unico capo di imputazione di cui alla lettera a); – alle molteplici cointeressenze per finalità estranee alla RAGIONE_SOCIALE del ricorrente insieme ad una serie di altri soggetti, tra i quali il COGNOME, il COGNOME, i COGNOME, il COGNOME, il COGNOME, il COGNOME ed altri, tutti in relazione tra di loro per conoscenza, frequentazione, e progetti comuni, risalenti ad epoca anche precedente alla contestazione elevata; – alla attendibilità del
COGNOME, specificamente considerata in relazione ad ogni singolo progetto strutturato in danno della RAGIONE_SOCIALE predetta, per come ricostruita e correlata all’esito della attività di indagine, anche tenuto conto della registrazione ambientale effettuata dallo stesso ricorrente in un dialogo con il COGNOME; – alla considerazione specifica della condotta imputata e sua qualificazione ai sensi dell’art. 319 cod. pen. da intendersi in senso unitario, proprio attese le evidenze complessivamente valutate dal giudice di primo grado.
La Corte di appello, dopo aver dato ampiamente conto delle considerazioni contenute nella sentenza di primo grado, ha dunque affrontato il tema devoluto specificamente dalla sentenza di annullamento con rinvio nelle sue diverse aree di riferimento, punto per punto, condividendo le conclusioni alle quali era giunto il Tribunale ed analizzando specificamente i motivi di appello proposti sul tema della attendibilità del COGNOME.
In tal senso, si deve rilevare come ricorra una affermazione di responsabilità a carico del ricorrente conforme da parte dei due giudici di merito e la critica articolata in questa sede si risolve nella volontà da parte della difesa di introdurre una non consentita lettura alternativa del merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217-01, Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 275100-01, Sez. 4, 1219 del 14/09/2017, COGNOME, Rv. 271702-01, Sez. 5, n. 48050 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277758-01), in presenza tra l’altro di motivi che, in questo caso, non si confrontano con la logica e persuasiva motivazione della Corte di appello, che ha richiamato dati inequivoci in ordine alla responsabilità ascritta al ricorrente.
Dunque, la sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo (Sez. 2, n. 37295 del 12/06/2019, E., Rv. 277218-01; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 25759501; Sez. 3, n. 13926 del 01/12/2011, NOME, Rv. 252615-01; Sez. U, n. 6682 del 04/02/1992, COGNOME, Rv. 191229-01). Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le argomentazioni che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (Sez. 2, n. 46261 del 18/09/2019, Cammi, Rv. 27759301; Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, NOME, Rv. 260841-01)
La Corte di appello ha, quindi, autonomamente ed ampiamente argomentato sui motivi di appello proposti, correlandoli al devoluto conseguente alla decisione di legittimità, analizzando il tema della attendibilità del COGNOME sia in generale quanto alle sue dichiarazioni, alla loro coerenza interna, alla presenza di formidabili riscontri estrinseci, che nel particolare in
relazione alle singole azioni poste in essere e integranti il reato contestato al capo a) della rubrica.
In tal senso sono state richiamate situazioni inequivoche di vicinanza, amicizia e cointeressenza tra il COGNOME e il ricorrente; le ripetute e costanti comunicazioni via mail, che hanno senza alcun dubbio evidenziato un progetto comune e la chiara violazione da parte del COGNOME dei propri compiti e funzioni in relazione al ruolo dallo stesso svolto; la sistematica omissione di controllo per il raggiungimento di vantaggi personali e non (in tal senso la vicenda COGNOME); il ricorso ad organizzazione amplia, articolata, con strumenti finanziari raffinati e sintomo di particolare intenzionalità (in tal senso l’analisi relativa alla RAGIONE_SOCIALE); la presenza di documentazione a riscontro delle dichiarazioni del COGNOME quanto alle caratteristiche degli accordi intervenuti; le disponibilità finanziarie riferibili al ricorrente, mai dichiarate, detenute all’estero, mai giustificate; il coinvolgimento dello stesso in una serie di attività, che per il tramite di articolate e consistenti schermature portavano a ricondurre consistenti passaggi economici e finanziari proprio al COGNOME (anche in relazione alle altre imputazioni allo stesso elevate ed oggetto del primo giudizio di legittimità). Le dichiarazioni del COGNOME hanno poi trovato evidentissimo e formidabile riscontro, nella articolata e approfondita valutazione della Corte di appello, anche nella registrazione ambientale dallo stesso effettuata nel dialogare con il COGNOME – che nel evidenziare una corresponsione non dovuta in favore dello stesso per compensare il ritardo nelle precedenti corresponsioni pattuite, evidenziava in piena spontaneità, senza avere alcuna possibilità di essere a conoscenza della registrazione, la portata dell’accordo illecito in relazione alla percentuale in centesimi richiamata nel capo di imputazione – oltre che nelle acquisizioni documentali rinvenute presso il ricorrente, del tutto corrispondenti a quelle nella disponibilità del COGNOME, a conferma delle caratteristiche dei loro accordi e dei vantaggi conseguenti; ed ancora dalle dichiarazioni degli altri testi anche quanto alla condotte poste in essere per venire in possesso del certificato RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, in un incontro direttamente osservato dagli agenti operanti e in relazione al quale il ricorrente ha fornito una giustificazione ampiamente considerata dalla Corte di appello e ritenuta non credibile sulla base di una logica argomentazione, che non si presta a censure in questa sede. Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
Dopo avere puntualmente considerato la posizione del COGNOME, le sue dichiarazioni, la attendibilità delle stesse in relazione all’insieme di riscontri testimoniali, documentali e di indagine, la Corte di appello ha poi
puntualmente valutato la portata di tali dichiarazioni in relazione alla contestazione di cui al capo a), richiamando specificamente i singoli elementi riferibili alla posizione del ricorrente.
La Corte di appello ha, quindi, compiutamente ricostruito ruolo e rilevanza della condotta ascritta al ricorrente al capo a), evidenziando la svendita della propria funzione per compiere atti contrari ai propri doveri di ufficio sostanzialmente scegliendo strumenti, apparentemente a fine di investimento, non solo inadeguati, ma oggettivamente dannosi rispetto alle risorse della RAGIONE_SOCIALE, senza esercitare il doveroso controllo e la necessaria verifica nell’interesse della stessa ed anzi omettendo le attività conseguenti, nell’ambito del proprio ruolo, al fine di arginare l’intervenuta illegittima sottrazione di tali beni, limitandosi ad attività volte piuttosto a precostituirsi una sorta di giustificazione dal punto di vista della buona fede e non consapevolezza rispetto a quanto articolatamente posto in essere dallo stesso con i suoi sodali.
Ciò con particolare riferimento: – alla dazione quale illecito corrispettivo per un precedente investimento di risorse della RAGIONE_SOCIALE per circa dieci milioni mediante la consegna di un certificato azionario al portatore, predisposto e già intestato al COGNOME, consegnato dal COGNOME; – all’accreditamento in favore di COGNOME, nell’interesse e vantaggio di persona direttamente collegata al ricorrente, come emerso anche dalla documentazione allegata ed esaminata dalla Corte di appello, di un importo complessivo pari a 850.000,00 euro, in considerazione delle riscontrate allegazioni che evidenziavano il coinvolgimento del COGNOME, del COGNOME e del COGNOME oltre al ricorrente, atteso il suo ruolo centrale nell’individuare la società destinataria del finanziamento; – l’accreditamento di una consistentissima somma di denaro, grazie alla azione coordinata di COGNOME e COGNOME ad una società direttamente riferibile al RAGIONE_SOCIALE, richiamando una giustificazione non riscontrata e non provata in alcun modo; – la presenza di un accordo a percentuale in relazione alla massa di risorse della RAGIONE_SOCIALE conferita ad RAGIONE_SOCIALE quale remunerazione proprio per tale affidamento; – le attività svolte dal COGNOME quale contropartita per i versamenti disposti dalla RAGIONE_SOCIALE in favore delle società allo stesso riferibili.
Ciò posto, occorre rilevare che il motivo proposto è manifestamente infondato anche in relazione al tema devoluto e compiutamente affrontato dalla Corte di appello quanto alla qualificazione giuridica della condotta, alla natura unitaria o meno della stessa ed alla disciplina giuridica applicabile.
Tenuto conto delle indicazioni e tematiche devolute, il giudice di secondo grado, con motivazione articolata ed approfondita, ha esplicitamente risposto al tema della qualificazione unitaria o meno delle condotte descritte nel corpo del capo di imputazione di cui al capo a), evidenziando la natura unitaria della condotta contestata, con argomentazioni specifiche e puntuali, in applicazione del principio di diritto, che qui si intende confermare, secondo il quale configura il delitto di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio – e non il più lieve delitto di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen. – lo stabile asservimento del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio ad interessi personali di terzi, che si traduca in atti che, pur formalmente legittimi, in quanto discrezionali e non rigorosamente predeterminati, tuttavia si conformano all’obiettivo di realizzare l’interesse del privato nel contesto di una logica globalmente orientata alla perseguimento di finalità diverse ed inconciliabili con quelle istituzionale (Sez. 5, n. 34979 del 10/09/2020, COGNOME, Rv. 280321-02).
La valutazione specificamente realizzata dalla Corte di appello, in ossequio al devolutum della Sesta sezione, si pone dunque, con pluralità di argomenti, in linea di continuità con i principi affermati da Sez. 6, n. 51126 del 18/07/2019, COGNOME, Rv. 278192-01, qui condivisi, secondo cui “in tema di corruzione lo stabile asservimento di un pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, con episodi sia di atti contrari ai doveri di ufficio, che di atti conformi o non contrari a tali doveri, configura un unico reato permanente, previsto dall’art. 319 cod. pen., in cui è assorbita la meno grave fattispecie di cui all’art. 318 stesso codice, nell’ambito del quale le singole dazioni eventualmente effettuate, sinallagmaticamente connesse all’esercizio della pubblica funzione, si atteggiano a momenti consumativi di un unico reato di corruzione propria”.
La Corte di appello ha, dunque, specificamente considerato e motivato quanto alla unitarietà della condotta oggetto di contestazione (tema appunto devoluto dalla sentenza di annullamento con rinvio), richiamando una serie di elementi univoci e concordanti quanto alla ricostruzione della condotta imputata, ricostruendo la sostanziale svendita da parte del ricorrente della propria funzione per compiere anche atti contrari ai propri doveri di ufficio in vista di una serie consistenti di utilità sia personali che in favore di terzi ai quali era direttamente interessato, omettendo qualsiasi attività tipica della funzione svolta (controllo degli investimenti e conferimenti, denuncia per azioni illecite che determinavano la dispersione delle risorse della RAGIONE_SOCIALE, tentativo di predisporre una difesa, mediante registrazioni in realtà
estremamente significative dell’accordo corruttivo in corso, rispetto ai fatti che stavano emergendo in fase di indagine, mancanza di valide giustificazioni in relazione alle risorse non dichiarate ed allo stesso riferibili rinvenute in fase di indagine).
Dalla qualificazione della condotta nel senso sopra riportato, con piena considerazione anche delle tesi difensive, quanto alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio ed acquisite ai sensi dell’art. 513 cod. proc. pen., è conseguita la chiara conclusione in tema di disciplina applicabile in considerazione della contestazione elevata e dell’ultima condotta rilevante per come individuata dalla Corte di appello, con decisione che appare corretta, motivata, chiaramente riscontrabile nel suo iter logico argomentativo.
Né ricorre la lamentata contraddittorietà della motivazione in considerazione del richiamo alla asserita ricorrenza della prescrizione di parte dell’azione. In tal senso si deve rilevare come tale affermazione risulta contenuta nell’ambito della valutazione con la quale la Corte di appello ha affermato essere irrilevante e non utile una rinnovazione istruttoria, in una sorta di irrilevante motivazione in subordine sia in relazione al tema della rinnovazione probatoria, che quanto alla valutazione dell’eventuale decorso del termine di prescrizione, argomento che viene complessivamente affrontato in altro e successivo punto della sentenza, che richiedeva necessariamente, da una punto di vista logico, la previa identificazione dei caratteri della condotta contestata e il suo compiuto inquadramento giuridico, che, con motivazione non censurabile, viene effettuata dalla Corte di appello in una diversa e successiva fase del giudizio motivazionale espresso e oggetto di critica difensiva. In tal senso, si deve ribadire il principio ripetutamente affermato da questa Corte secondo il quale la presenza di una criticità su una delle molteplici valutazioni contenute nel provvedimento impugnato, qualora le restanti offrano ampia rassicurazione sulla tenuta del ragionamento ricostruttivo, non può comportare l’annullamento della decisione per vizio di motivazione, potendo lo stesso essere rilevante solo quando, per effetto di tale critica, all’esito di una verifica sulla completezza e globalità del giudizio operato in sede di merito, risulti disarticolato uno degli essenziali nuclei di fatto che sorreggono l’impianto della decisione (Sez. 1, n. 46566 del 21/02/2017, M., Rv. 271227-01; Sez. 6, n. 3724 del 25/11/2015, COGNOME, Rv. 267723-01; Sez. 2, n. 37709 del 26/09/2012, COGNOME, Rv. 253445-01), circostanza all’evidenza non ricorrente nel caso in esame, sulla base dei molteplici elementi analizzati e delle conclusioni sopra riportate ed argomentate della Corte di appello.
Manifestamente infondato conseguentemente anche il secondo motivo in relazione all’erroneo computo del termine di prescrizione. La valutazione espressa dalla Corte di appello evidenzia come al momento della decisione il reato contestato non si potesse ritenere estinto per decorso del termine di prescrizione, in modo argomentato, chiaro e direttamente riscontrabile, con motivazione che non si presta a censure in questa sede.
Nell’ambito del secondo motivo la difesa ha poi argomentato – al fine di far valere il tema della intervenuta prescrizione di parte delle condotte imputate e l’erronea valutazione complessivamente realizzata dalla Corte di appello – rilevando la violazione del diritto di difesa per mancata correlazione tra accusa e sentenza.
Il rilievo è manifestamente infondato. In tal senso occorre preliminarmente osservare che il tema della condotta quale unitaria o meno rappresentava l’oggetto del giudizio devoluto a seguito del primo giudizio di legittimità.
La Corte ha compiutamente motivato sul punto, come sopra evidenziato, e tale soluzione non può certo ritenersi in violazione del principio di diritto evocato dalla difesa. Anche le Sezioni Unite, in relazione a diversa fattispecie, ma con principi certamente applicabili al caso di specie, hanno puntualizzato le caratteristiche che un mutamento della contestazione inizialmente proposta deve assumere per poter riscontrare il difetto di correlazione tra accusa e sentenza.
In tal senso si è chiarito che per aversi mutamento del fatto deve ricorrere una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri una incertezza sull’oggetto della imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa, sicché l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto, puramente letterale, fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato durante l’iter del processo si sia trovato nella concreta possibilità di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME Rv. 248051-01; Sez. 5, n. 36155 del 30/04/2019, COGNOME, in motivazione; Sez. 2, n. 34969 del 20/05/2013, COGNOME, Rv. 257782-01; Sez. 2, n. 12328 del 24/10/2018, COGNOME, Rv. 276955-01, Sez. 3, n. 24932 del 10/02/2023, Garagano, Rv. 284846-04), come avvenuto all’evidenza nel caso oggetto di esame.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, stimata equa, di euro tremila in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, in persona del leg. rappr. P.t., che liquida in complessivi euro 5000/00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile RAGIONE_SOCIALE, in persona del leg. rappr. p.t., che liquida in complessivi euro 5000/00, oltre accessori di legge.
Così deciso il 19 gennaio 2024.