Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14839 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14839 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale presso la Corte di appello di Caltanissetta nel procedimento nei confronti di
COGNOME NOMECOGNOME nato a Barrafranca il 3/02/1961
avverso la sentenza del 29/02/2024 della Corte di appello di Caltanissetta visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; uditi gli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori di NOME COGNOME che hanno concluso per l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento in epigrafe indicato la Corte di appello di Caltanissetta ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di
Caltanissetta del 17 maggio 2023 che ha assolto NOME COGNOME dal reato ascrittogli – in concorso con COGNOME NOME, COGNOME NOME NOME e COGNOME NOME, separatamente giudicati – di cui agli artt. 110, 318, 416-bis.1 cod. pen., relativo all’imputazione di corruzione impropria per avere in qualità di pubblico ufficiale, responsabile dell’ufficio tecnico del Comune di Barrafranca, ricevuto o accettato la promessa di somme di denaro per l’esercizio delle sue funzioni ed in particolare per l’assegnazione all’impresa di COGNOME NOME di due appalti per la fornitura di impianti termici di due istituti scolastici e per il ser di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti termici comunali, nel contesto di un accordo mafioso cui hanno preso parte NOME COGNOME ed il padre di quest’ultimo, NOME COGNOME noti esponenti dell’associazione mafiosa di “Cosa Nostra”, con l’aggravante per costoro di essersi avvalsi delle condizioni di assoggettamento ed omertà derivanti da tale appartenenza mafiosa. (tra settembre del 2018 e il dicembre del 2019).
La Corte di appello ha confermato la sentenza di assoluzione emessa all’esito di giudizio abbreviato, condividendo la valutazione del compendio probatorio operata dal Giudice di primo grado, in ordine alla mancanza di una prova piena della partecipazione di COGNOME all’accordo corruttivo, non essendosi accertato se la richiesta dei due presunti “mafiosi” (NOME COGNOME e NOME COGNOME) di favorire l’impresa di COGNOME NOME nella scelta discrezionale del contraente delle predette forniture sotto soglia e, quindi, non soggette a gara pubblica, sia stata formulata in termini di mera minaccia o piuttosto con l’offerta di denaro e l’accettazione da parte del pubblico ufficiale della correlativa promessa.
In piena condivisione con quanto affermato dal primo Giudice, secondo la sentenza della Corte di appello è stato ritenuto che l’aggravante del metodo mafioso sarebbe confliggente con l’ipotesi di un accordo corruttivo, essendo indicativa di una decisione discrezionale assunta dal pubblico funzionario succube del potere mafioso, senza alcun tornaconto personale.
2. Il Procuratore generale ha proposto ricorso per cassazione per violazione di legge e vizio della motivazione, evidenziando essenzialmente due errori tra loro connessi, uno di valutazione delle risultanze istruttorie costituite dall intercettazioni e l’altro di diritto, per essersi affermata una incompatibilità assolut tra l’aggravante dell’art. 416-bis.1 cod.pen. e la fattispecie del reato di corruzione ex art. 318 cod.pen.
Sotto il primo profilo, si osserva che dalle intercettazioni richiamate testualmente nel corso del ricorso emergerebbe la prova logica che NOME COGNOME abbia quanto meno accettato la promessa di ricevere del denaro in cambio
della scelta di favorire l’impresa di NOME COGNOME nei due appalti oggetto dell’imputazione.
Ciò evincendosi dalle conversazioni, che, sebbene intercorse “intera/los” tra i due COGNOME NOME e NOME (padre e figlio) e tra i predetti con NOME COGNOME (madre di NOME e moglie di NOME), oltre che tra NOME COGNOME e NOME COGNOME – hanno comunque fornito la conferma di come NOME COGNOME avesse aderito alla richiesta dei due predetti esponenti mafiosi in cambio di un proprio tornaconto economico, secondo lo schema tipico, proprio del metodo mafioso di gestione degli appalti pubblici, in base al quale le somme di denaro versate dagli imprenditori avvantaggiati vengono suddivise tra gli esponenti mafiosi ed i pubblici funzionari corrotti.
Con riferimento al diverso profilo della compatibilità tra l’aggravante mafiosa ed il reato di corruzione si richiamano le analoghe situazioni che contraddistinguono i casi di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti degli imprenditori compiacenti che, pur sottostando inizialmente ad una metodica di intimidazione, si accordano con i mafiosi per conseguire un proprio tornaconto in una logica di reciproco scambio di vantaggi.
Si rappresenta che la Corte di appello ha confermato nel separato giudizio abbreviato le condanne per i reati di cui agli artt. 318 e 416-bis.1. cod. pen. nei confronti dei coimputati NOME COGNOME e NOME COGNOME con il conseguente rischio di un contrasto di giudicati suscettibile di giustificare un futuro giudizio di revisione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è nel suo complesso infondato.
Si deve ricordare che a norma dell’art. 608, comma 1-bis, cod. proc. pen., aggiunto a seguito della riforma introdotta dalla I. 23 giugno 2017, n. 103, in caso di sentenza di proscioglimento confermata nel giudizio di appello, il ricorso per cassazione del pubblico ministero è proponibile solo per i motivi di cui alle lettere a), b) e c) del comma 1 dell’art. 606 stesso codice, e quindi solo per violazione di legge e non anche per vizi della motivazione.
Sebbene sia effettivamente errata in punto di diritto la tesi sostenuta nella sentenza impugnata in merito all’affermata incompatibilità ontologica tra la sussistenza della circostanza aggravante del metodo mafioso e il reato di corruzione, risultano per il resto manifestamente infondate tutte le altre censure dedotte solo nominalmente per denunciare profili di violazione di legge, essendo rivolte sostanzialmente a sollecitare una diversa lettura delle intercettazioni, non
consentita in sede di legittimità, ancor più quando si tratti dell’impugnazione di una doppia conforme pronuncia di assoluzione.
Con riguardo all’unico profilo di censura che rientra tra i motivi di ricorso consentiti va osservato che non è certamente condivisibile l’affermazione secondo cui il riconoscimento del metodo mafioso sarebbe astrattamente incompatibile con il reato di corruzione quando vi sia la prova che il funzionario pubblico abbia conseguito una utilitas o ne abbia accettato la promessa in cambio dell’asservimento della funzione per aver scelto di sottostare alle richieste del potere mafioso.
L’intimidazione mafiosa di cui si può avvalere il corruttore giustifica l’applicazione dell’aggravante prevista dall’art. 416-bis.1 cod. pen. certamente a carico del corruttore mafioso ma anche dello stesso funzionario corrotto che, pur subendo la intimidazione, scelga di assecondare il “sistema mafioso” di spartizione degli appalti pubblici anziché ribellarsi ad esso, non solo per il timore di attentat alla propria incolumità ma anche per condividerne i vantaggi, al fine del conseguimento di un indebito arricchimento personale.
Se il pubblico funzionario in tale contesto accetta la promessa di una utilità in cambio di un atto del proprio ufficio, anche al medesimo deve riconoscersi l’applicazione dell’aggravante del metodo mafioso per la condivisione del sistema criminale di assegnazione degli appalti pubblici e la conseguente consapevolezza di come detto sistema si avvantaggi delle condizioni di omertà e di paura che inducono tutti gli imprenditori e funzionari pubblici a non opporsi ad esso, risultando funzionale a una più agevole e sicura consumazione del reato.
È pacifico che la circostanza aggravante del metodo mafioso di cui all’art. 7 d.l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito con modificazioni nella legge 12 luglio 1991, n. 203, ora prevista dall’art. 416-bis.1, comma primo, cod. pen., in quanto riferita alle modalità di realizzazione dell’azione criminosa, ha natura oggettiva ed è valutabile a carico dei concorrenti, sempre che siano stati a conoscenza dell’impiego del metodo mafioso ovvero l’abbiano ignorato per colpa o per errore determinato da colpa (Sez. 4, n. 5136 del 02/02/2022, COGNOME, Rv. 282602).
Ciò premesso in punto di diritto, va però rilevata l’inammissibilità per il resto delle censure rivolte a sindacare la valutazione del compendio probatorio costituito dalle intercettazioni senza evidenziare alcuna illogicità della motivazione, attraverso la prospettazione di una loro diversa chiave di lettura non ammessa in sede di legittimità neppure nei casi in cui il ricorso è proponibile per vizio dell motivazione (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
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Nella motivazione della impugnata sentenza, che conferma quella di primo grado, è stato evidenziato, in modo logico e rigoroso, come le risultanze delle
intercettazioni non abbiano consentito di ritenere provato che COGNOME abbia accettato la promessa di ricevere una utilità, essendo emerso che abbia solo subito
l’intimidazione della cosca mafiosa, assecondando di favorire l’impresa di COGNOME perché minacciato.
In particolare, le intercettazioni hanno fornito la prova di come i due soggetti, ritenuti appartenenti all’associazione mafiosa di “Cosa Nostra”, abbiano sfruttato
lo stato di terrore in cui viveva lo COGNOME dopo l’omicidio di un suo parente – altro amministratore locale ucciso in quello stesso periodo – per indurlo a favorire
l’impresa di NOME NOMECOGNOME senza assicurargli o promettergli alcuna utilità in cambio di tale favore.
Nella sentenza sono adeguatamente illustrate le ragioni per cui non è stato ritenuto provato che COGNOME avesse ricevuto e accettato la promessa di una somma di denaro, per il carattere congetturale degli argomenti tratti dal modello astratto di funzionamento del “sistema” mafioso di assegnazione dei lavori pubblici, senza la prova rigorosa che COGNOME avesse effettivamente partecipato all’accordo corruttivo mafioso, quanto piuttosto che il presunto corruttore avesse soltanto richiesto all’imprenditore (NOMECOGNOME una somma di denaro con il pretesto di dover pagare il funzionario rimasto estraneo all’accordo.
In conclusione, va affermato che, pur non sussistendo in linea di principio alcuna incompatibilità in astratto tra l’aggravante del metodo mafioso ed il delitto di corruzione, nel caso concreto l’aggravante mafiosa contestata ai soli corruttori mafiosi è stata considerata in modo non illogico un indice della intimidazione mafiosa subita dal funzionario COGNOME senza la prova del mercimonio della funzione in cui si sostanzp ‘ in reato di corruzione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso il giorno 31 gennaio 2025
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