Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 19465 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 19465 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 30/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 22/04/1980 in Romania
COGNOME NOMECOGNOME nato il 21/02/1960 in Albania
NOME COGNOME nato il 26/05/1988 in Albania avverso la sentenza del 12/11/2024 dalla Corte di appello di Genova;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
NOME COGNOME che chiede il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza in epigrafe, la Corte d’appello di Genova confermava la condanna di NOME COGNOME per corruzione propria (artt. 319, 321 cod. pen.) perché, in concorso con un agente della polizia penitenziaria in servizio presso il carcere di Sanremo (NOME COGNOME) consegnava, e/o prometteva al suddetto agente importi di denaro per il recapito di telefoni cellulari che poi rivendeva ad altri detenut (capo D).
Confermava inoltre la condanna di NOME Dan per resistenza pubblico ufficiale (artt. 337, 61, n. 2, cod. pen.) perché, fine di occultare il reato sub capo D), usava violenza, consistita in spintoni nei confronti di un assistente di polizia penitenziaria, per opporsi allo stesso che era intento a recuperare un telefono cellulare da lui illecitamente detenuto presso la cella (capo E).
Confermava la condanna di NOME COGNOME e NOME COGNOME per corruzione propria (artt. 319, 321 cod. pen.) perché, in concorso tra loro e con l’agente NOME COGNOME, ripetutamente consegnavano al predetto agente cocaina – di fatto scontandone il corrispettivo al debito che questi aveva per pregressi acquisti di sostanze stupefacenti, dallo stesso NOME COGNOME– e/o denaro e /o gli promettevano denaro per recapitare a NOME COGNOME, detenuto presso la medesima casa di reclusione, telefoni cellulari, una sim card e quantitativi di sostanza stupefacente di tipo hashish (capo F).
Confermava la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 73, comma 1 e 4, 80 lett. g) d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in numerose occasioni illecitamente deteneva a fini di spaccio quantitativi di cocaina di cui si approvvigionava a Milano; cedeva dietro corrispettivo in denaro a NOME COGNOME quantitativi di cocaina nonché gli consegnava, in almeno due o tre occasioni, quantitativi di hashish da recapitare all’interno del carcere al figlio NOME COGNOME ivi detenuto (capo G).
Confermava la condanna di NOME COGNOME per il reato di cui agli artt. 73, comma 5, 80, lett g), d.P.R. n. 309 del 1990 cìt. perché, essendo detenuto presso la suddetta casa di reclusione, in almeno due occasioni cedeva ad altri detenuti quantitativi di hashish fornitigli dal padre e consegnatigli dall’agente di polizi penitenziaria NOME COGNOMEcapo H).
Avverso la sentenza ha presentato ricorso NOME COGNOME articolando un unico motivo in cui lamenta l’omessa motivazione in ordine alla richiesta di riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen.
Nell’atto di appello si richiamava il particolare contesto in cui si sono verificat i fatti e la scarsa entità delle conseguenze dell’azione criminosa, nonché
l’ordinanza con cui il Tribunale per il riesame di Genova, nel sostituire la misura cautelare con altra meno afflittiva, osservava che il ruolo del Dan nel rapporto corruttivo «era da ricostruirsi a traino di ben più strutturati rapporti conseguentemente, in termini di minore gravità». Ma la Corte ha omesso di motivare sul punto.
Presentano ricorso anche NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali deducono, nell’unico motivo di ricorso presentato, vizio di motivazione quanto alla mancata assoluzione di entrambi dal reato di cui al capo F).
Dalle conversazioni confluite nel materiale probatorio erano emerse le costanti richieste di pagamento avanzate dal COGNOME nei confronti di NOME che era sempre in ritardo con i pagamenti, e dunque la prova delle plurime cessioni; non quella della corruzione.
In particolare, in una conversazione del 26 luglio 2019, NOME, raccomandandosi con NOME di non trattenersi per troppo tempo sotto le telecamere insieme a lui, gli promette che pagherà il padre con la tredicesima e cercherà di versargli C 1.500, atteggiamento incompatibile con il ruolo ascritto all’imputato dalle sentenze.
Né dalle suddette conversazioni emergono condotte identificabili in una dazione di denaro ovvero in una volontà di concedere a Leone sconti e quindi vantaggi a fronte dell’introduzione, da parte sua, nell’istituto penitenziario di sostanze stupefacenti.
Hanno presentato conclusioni scritte NOME COGNOME e NOME COGNOME insistendo per l’accoglimento dei ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi, relativi alla condanna degli imputati per una vicenda di corruzione di un agente di polizia penitenziaria, mirata ad introdurre in carcere droga e cellulari a beneficio di due detenuti (padre e figlio), sono inammissibili.
Inammissibile è il motivo unico di cui consta il ricorso di NOME COGNOME
Infatti, è vero che la Corte d’appello si limita ad affermare che nessuna censura merita la dosimetria della pena, facendo riferimento alla disapplicazione della contestata recidiva e al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, attesa la gravità dei reati e la totale assenza di collaborazione con l’autorità giudiziaria.
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Dal canto suo, però, il motivo di ricorso, formulato, già in appello nei termini, pressocché testuali, replicati nel “ritenuto in fatto”, è chiaramente aspecifico, non
indicando elementi a cui ancorare il riconoscimento della circostanza attenuante richiesta.
3. Del pari inammissibili sono i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali deducono l’erronea qualificazione del fatto, da cui non si evincerebbero gli
elementi costitutivi della corruzione, considerato che il corrotto non soltanto non avrebbe ricevuto utilità economiche, ma, al contrario, sarebbe stato
pressantemente richiesto di far fronte ai debiti contratti per gli acquisti di droga presso l’imputato padre, per sé e per altri.
In realtà, potendo il prezzo della corruzione consistere, oltre che in denaro, altresì in utilità economicamente valutabili (purché in rapporto di proporzionale
corrispettività: tra le altre, Sez. 6, n. 10084 del 08/01/2021, COGNOME
Rv. 281502; Sez. 6, n. 51765 del 13/07/2018, COGNOME, Rv. 277562), nel caso di specie, è agevole ravvisare una reciprocità di interesse tra detenuti e agente di polizia penitenziaria, consistente nel fatto che i primi ottenevano il lasciapassare all’ingresso di cose proibite nel carcere e il secondo riceveva – non già danaro, bensì – un sicuro e comodo approvvigionamento di merce “di qualità”, con annessa possibilità di dilazionarne i pagamenti.
Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento e al versamento delle somme indicate nel dispositivo, ritenute eque, in favore della Cassa delle ammende, in applicazione dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 30/04/2025