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Corruzione in carcere: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di tre imputati condannati per corruzione in carcere e altri reati. Il caso riguarda l’introduzione illecita di telefoni cellulari e droga in un istituto penitenziario da parte di un agente di polizia penitenziaria. La Corte ha stabilito che fornire droga all’agente come contropartita, garantendogli un approvvigionamento sicuro e con pagamenti dilazionati, costituisce un’utilità che integra il reato di corruzione e non un semplice spaccio.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione in Carcere: La Cassazione Conferma le Condanne

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha affrontato un complesso caso di corruzione in carcere, delineando i confini tra questo grave reato e la semplice cessione di stupefacenti. La decisione conferma le condanne inflitte a tre individui, tra cui un padre e un figlio, per aver corrotto un agente di polizia penitenziaria al fine di introdurre illegalmente telefoni cellulari e droga all’interno di un istituto di pena. Questo provvedimento offre importanti spunti di riflessione sulla natura del patto corruttivo e sul concetto di ‘utilità’ nel diritto penale.

I Fatti: Una Rete di Scambi Illeciti dietro le Sbarre

La vicenda giudiziaria trae origine da un’indagine che ha svelato un sistema illecito all’interno di un istituto penitenziario. Un agente di polizia penitenziaria, in cambio di denaro e sostanze stupefacenti, si era reso disponibile a introdurre beni non consentiti a favore di alcuni detenuti.

Nello specifico, sono emerse due distinte linee di condotta:
1. Un primo detenuto consegnava o prometteva somme di denaro all’agente per ricevere telefoni cellulari, che poi rivendeva ad altri reclusi. Lo stesso detenuto è stato condannato anche per resistenza a pubblico ufficiale per essersi opposto con violenza al recupero di uno di questi telefoni.
2. Altri due imputati, un padre e un figlio (quest’ultimo detenuto nello stesso carcere), avevano instaurato un rapporto corruttivo con il medesimo agente. In cambio dell’introduzione di telefoni, SIM card e hashish per il figlio, gli fornivano ripetutamente cocaina, denaro o promesse di denaro. La fornitura di droga, di fatto, serviva anche a saldare un debito pregresso che l’agente aveva con il padre per precedenti acquisti di stupefacenti.

La Corte d’Appello territoriale aveva confermato le condanne per tutti gli imputati per i reati di corruzione propria, resistenza e violazione della legge sugli stupefacenti.

I Motivi del Ricorso e la questione della corruzione in carcere

Avverso la sentenza di secondo grado, gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni.

La Posizione del Primo Detenuto

Il primo ricorrente lamentava la mancata motivazione in ordine al diniego dell’attenuante della particolare tenuità del fatto (art. 323-bis c.p.), sostenendo che il suo ruolo nel rapporto corruttivo fosse di minore gravità.

La Difesa degli Altri Coimputati

Il padre e il figlio, invece, contestavano la sussistenza stessa del reato di corruzione in carcere. A loro avviso, le prove raccolte (in particolare le intercettazioni) dimostravano unicamente una serie di cessioni di stupefacenti all’agente, e non un patto corruttivo. Sostenevano che le conversazioni evidenziassero le costanti richieste di pagamento da parte loro nei confronti dell’agente, delineando un semplice rapporto creditore-debitore per la droga, incompatibile con un accordo illecito finalizzato a far entrare oggetti in carcere.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato inammissibili tutti i ricorsi, confermando integralmente l’impianto accusatorio. Le motivazioni della Corte sono state nette e precise.

Per quanto riguarda il primo detenuto, i giudici hanno ritenuto che la Corte d’Appello avesse adeguatamente giustificato il diniego delle attenuanti generiche, sottolineando la gravità dei reati e la totale assenza di collaborazione con l’autorità giudiziaria. Il motivo di ricorso è stato quindi giudicato generico e inammissibile.

Più articolata e significativa è la motivazione relativa alla posizione degli altri due imputati. La Cassazione ha respinto la tesi difensiva secondo cui si trattasse di semplice spaccio. I giudici hanno evidenziato come le condotte andassero lette in un’ottica più ampia, rivelando una chiara ‘reciprocità di interesse’ tra i detenuti e l’agente. Da un lato, i privati ottenevano il ‘lasciapassare’ per l’ingresso di beni proibiti in carcere; dall’altro, il pubblico ufficiale riceveva un vantaggio concreto e apprezzabile. Questo vantaggio non era costituito solo dal denaro, ma da un ‘sicuro e comodo approvvigionamento di merce di qualità’, con l’ulteriore beneficio della possibilità di dilazionarne i pagamenti. Questa utilità, diversa dal denaro, è stata considerata la controprestazione per la sua condotta illecita, integrando pienamente gli estremi del reato di corruzione propria.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione: il concetto di ‘utilità’ ai fini della corruzione è ampio e non si limita alla dazione di denaro. Qualsiasi vantaggio, materiale o morale, che abbia un valore per il pubblico ufficiale e che sia legato all’atto contrario ai doveri d’ufficio, può costituire la controprestazione illecita. Nel contesto della corruzione in carcere, la pronuncia chiarisce che anche la fornitura agevolata di sostanze stupefacenti a un agente rientra a pieno titolo in questa categoria, configurando un patto corruttivo e non un semplice illecito legato alla droga. La decisione della Cassazione, dichiarando i ricorsi inammissibili, cristallizza la gravità di tali condotte che minano la sicurezza e la legalità all’interno degli istituti penitenziari.

Fornire droga a un agente penitenziario può essere considerato corruzione?
Sì. La Cassazione ha chiarito che fornire all’agente un approvvigionamento sicuro e comodo di sostanze stupefacenti, con la possibilità di dilazionarne il pagamento, costituisce un’ ‘utilità’ che integra il reato di corruzione, se in cambio l’agente introduce oggetti proibiti in carcere.

Perché il ricorso di uno degli imputati è stato ritenuto inammissibile?
Il ricorso è stato giudicato inammissibile perché la Corte d’Appello aveva adeguatamente motivato il rigetto delle attenuanti, basandosi sulla gravità dei reati e sulla totale assenza di collaborazione dell’imputato, rendendo il motivo di ricorso sul punto manifestamente infondato.

Qual è la differenza tra un semplice spaccio di droga e un patto corruttivo in questo contesto?
Secondo la sentenza, non si tratta di semplice spaccio quando la fornitura di droga è la contropartita per un’azione illegale del pubblico ufficiale. Si configura un patto corruttivo basato su un reciproco interesse: i detenuti ottengono l’ingresso di beni proibiti e l’agente un vantaggio concreto (merce ‘di qualità’ con pagamento dilazionato).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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