Corruzione in Atti Giudiziari: Cassazione e i Limiti del Ricorso post-Patteggiamento
La corruzione in atti giudiziari rappresenta una delle più gravi fattispecie di reato contro la Pubblica Amministrazione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 22815/2024) offre importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione di una sentenza di patteggiamento basata su un’asserita erronea qualificazione giuridica del fatto. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: il ricorso è ammissibile solo in presenza di un ‘errore manifesto’, un paletto procedurale molto stringente.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da una sentenza di patteggiamento emessa dal Tribunale di Matera. Un imputato aveva concordato una pena di due anni e sei mesi di reclusione per diverse ipotesi di corruzione in atti giudiziari, sia propria che impropria. Secondo l’accusa, l’uomo aveva corrisposto ingenti somme di denaro e altri vantaggi economici a un appuntato dell’Arma dei Carabinieri. In cambio, il pubblico ufficiale lo avrebbe aiutato a sottrarsi a numerosi arresti e sequestri di sostanze stupefacenti, permettendogli di consolidare la sua attività nel campo del narcotraffico.
Contro questa sentenza, la difesa dell’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, lamentando una violazione di legge. La tesi difensiva sosteneva che la qualificazione giuridica del fatto come corruzione in atti giudiziari fosse errata, poiché gli episodi contestati non erano finalizzati a influenzare un procedimento giudiziario specifico e preesistente.
L’Analisi del Ricorso per Corruzione in Atti Giudiziari
Il ricorso si fondava sull’idea che alcuni degli episodi corruttivi descritti nell’imputazione fossero completamente slegati dall’esistenza di un procedimento penale pendente, nell’ambito del quale l’imputato avrebbe potuto trarre un vantaggio illecito. Secondo la difesa, mancava quindi un elemento essenziale per configurare il reato contestato.
La Corte di Cassazione, tuttavia, ha ritenuto il ricorso inammissibile per diverse ragioni concorrenti. In primo luogo, ha osservato che la difesa aveva ricostruito il capo di imputazione in modo ‘eccentrico’, trattando i singoli episodi come imputazioni autonome e distinte, mentre andavano letti nel loro complesso come parte di un unico disegno criminoso continuato.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si basa sull’applicazione dell’art. 448, comma 2-bis, del codice di procedura penale. Questa norma limita strettamente la possibilità di ricorrere in Cassazione avverso una sentenza di patteggiamento per motivi legati alla qualificazione giuridica del fatto.
Le Motivazioni
Il cuore della motivazione risiede nel concetto di ‘errore manifesto’. La Corte ha spiegato che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, l’impugnazione per erronea qualificazione giuridica è consentita solo quando tale errore sia ‘manifesto’. Un errore è manifesto quando la scorretta qualificazione risulta, ‘con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica’ rispetto ai fatti descritti nel capo di imputazione.
Nel caso di specie, secondo la Corte, non vi era alcun errore manifesto. Le argomentazioni della difesa, al contrario, si basavano su ‘verifiche in fatto’, ovvero su una rilettura e reinterpretazione degli elementi del caso che non è consentita in sede di legittimità. Il ricorso tentava di ottenere una rivalutazione del merito della vicenda, attività preclusa alla Corte di Cassazione, specialmente nell’ambito di un’impugnazione contro una sentenza di patteggiamento.
Le Conclusioni
La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso sulla stabilità delle sentenze di patteggiamento. La possibilità di contestare la qualificazione giuridica del reato dopo aver concordato la pena è un’eccezione, non la regola, e può essere attivata solo di fronte a un errore giuridico macroscopico e immediatamente percepibile. Questa pronuncia ribadisce che il patteggiamento è un accordo che implica un’accettazione del rischio processuale e che non può essere messo in discussione attraverso argomentazioni che richiedano una nuova valutazione dei fatti. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la scelta del rito alternativo deve essere ponderata attentamente, essendo le vie d’uscita successive estremamente limitate.
È possibile impugnare una sentenza di patteggiamento per un’erronea qualificazione giuridica del fatto?
Sì, ma solo in casi limitati. L’art. 448, comma 2-bis, c.p.p. permette il ricorso solo se l’erronea qualificazione è un ‘errore manifesto’, cioè palese, indiscutibile e immediatamente evidente senza necessità di riesaminare i fatti.
Cosa si intende per ‘errore manifesto’ nella qualificazione del reato?
Si tratta di un errore di qualificazione giuridica che risulta, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrico rispetto al contenuto del capo di imputazione. Non include errori che richiedono un’analisi approfondita o una verifica dei fatti.
Qual è stata la conseguenza dell’inammissibilità del ricorso nel caso specifico?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile e ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle Ammende, confermando di fatto la sentenza di patteggiamento.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 22815 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 22815 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 05/04/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME, nato a Bernalda il DATA_NASCITA avverso la sentenza del Tribunale di Matera del 9 novembre 2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO E DIRITTO
Rilevato che con la sentenza descritta in epigrafe il Tribunale di Matera ha applicato, ai sensi dell’art 444 e seguenti del codice di rito, la pena concordata di anni due e mesi sei di reclusione nei confronti di NOME COGNOME per più ipotesi di corruzione in atti giudiziari, propria e impropria, avvinte dalla continuazione e realizzate in concorso con NOME COGNOME, appuntato dell’Arma dei Carabinieri, che, ricevendo dal COGNOME consistenti introiti e vantaggi economici, consentiva a quest’ultimo di sottrarsi a diversi arresti e sequestri di sostanza stupefacente, consolidando al contempo la propria attività illecita nel campo del narcotraffico;
rilevato che avverso la detta sentenza ha proposto ricorso la difesa dell’imputato lamentando violazione di legge per la erronea qualificazione data al fatto in termini di corruzione in atti giudiziari atteso che gli episodi in fatto descri nel capo di imputazione non davano conto di un mercimonio della funzione espressamente finalizzata ad un pregresso procedimento instaurato nei confronti del corruttore e che in particolare quelli descritti ai punti 3), 7), 8), 9) sarebber completamente disancorati dall’esistenza di un procedimento penale pendente nell’ambito del quale il COGNOME avrebbe potuto lucrare un indebito vantaggio;
ritenuto che il ricorso è inammissibile per più concorrenti ragioni e, in particolare, in primo luogo, perché riscostruisce il capo di imputazione in termini eccentrici al contenuto dello stesso, attribuendo ai singoli episodi in fatto descritti dalla rubrica il significato di autonome imputazioni oggetto di distinta valutazione e verifica quando gli stessi, di contro, andavano letti nel complesso, così da dare puntuale riscontro alla contestazione sollevata con l’imputazione in termini di corretta qualificazione dei fatti a giudizio (le rilevate più ipotesi di corruzioni in giudiziari propria e impropria, non definite nel numero e cosi considerate dal patto in ragione della rilevata continuazione interna, apprezzata apportando un unico e indistinto aumento di pena);
ritenuto che il ricorso è altresì inammissibile perché in tema di applicazione della pena su richiesta RAGIONE_SOCIALE parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., l’erronea qualificazione giuridica del fatto contenuto in sentenza è limitata ai soli casi di errore manifesto, configurabile quando tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza e senza margini di opinabilità, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione mentre, nel caso, l’intero portato del ricorso risulta fondato su verifiche in fatto all’evidenza distoniche al vizio utilmente prospettabile con il ricorso di legittimità;
ritenuto, infine, che alla inammissibilità del ricorso seguono le pronunce di cui all’art. 616 cod. proc. pen. definite come da dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE c 2 < GLYPH spese processuali e della ‘somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE Ammende.
Così deciso il 5/4/2024.