Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 2749 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 2749 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 03/10/2023
SEN TENZA
Sul ricorso proposto da
NOME NOME, nato a Curinga il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il 20/04/2023
visti gli atti ed esaminato il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME;
udito il Sostituto Procuratore Generale, AVV_NOTAIO, che ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
uditi gli AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, difensori dell’indagato, che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE ha confermato l’ordinanza con cui è stata disposta la misura degli arresti domiciliari nei confronti di COGNOME NOME, ritenuto gravemente indiziato del reato di corruzione in atti giudiziari, in relazione all’art. 318 cod. pen.
NOME COGNOME, tenente colonnello della RAGIONE_SOCIALE con l’incarico di Comandante del gruppo tutela entrate presso il RAGIONE_SOCIALE– reparto che aveva svolto una verifica fiscale per gli anni 2009- 2020-
h GLYPH li 2011 nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e di COGNOME NOME– avrebbe posto la sua funzione a servizio degli COGNOME.
In particolare, a COGNOME si contesta di aver svolto in favore dell’impresa una consulenza relativa al sequestro preventivo disposto il 26.7.2016 in relazione alla somma di cui avrebbe potuto essere chiesta la restituzione a seguito della definizione anticipata RAGIONE_SOCIALE liti pendenti con la RAGIONE_SOCIALE, nonché di aver fornito ag stessi NOME consigli tecnici, relativi alla possibilità di ottenere il dissequestro d intera somma; sulla base di tre incontri- avvenuti tra novembre e dicembre 2017 con COGNOME e RAGIONE_SOCIALE indicazioni di questi, COGNOME avrebbe presentato il 5.12.2017 una istanza di dissequestro per la somma di 573.923,99 in sostituzione di una precedente richiesta per la somma di 267.143,28 euro; detta istanza sarebbe stata raccolta dallo stesso COGNOME che l’avrebbe trasmessa alla Procura della Repubblica.
In tale contesto COGNOME avrebbe anche sollecitato attraverso un messaggio Whatsapp il Sostituto Procuratore della Procura di Lamezia Terme – titolare del procedimento – a dissequestrare in favore di COGNOME NOME le somme in quanto “ha già pagato più di quanto è in sequestro” , dissequestro poi effettivamente disposto il 25.1.2018.
In cambio dell’asservimento RAGIONE_SOCIALE sue funzioni, NOME sarebbe stato ospitato in più occasioni e in modo riservato presso un immobile nella disponibilità degli NOME il 14.5.2017 e per alcuni giorni compresi fra 1’1.1.2018 e il 7.1.2018, nonché il 6.9.2018 e il 18.9.2018: il tema attiene alla relazione extraconiugale in quel momento avuta dal militare.
Ha proposto ricorso per cassazione Sgomo NOME articolando tre motivi.
2.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di gravità indiziaria.
Il Tribunale avrebbe omesso qualsiasi autonoma valutazione rispetto al Giudice per le indagini preliminari ed ai Pubblico Ministero e non avrebbe tenuto conto di una serie di rilevi e questioni a lui devolute, atteso che i fatti non potrebbero essere sussunti nel fattispecie di reato contestato.
Il ricorrente evidenzia che:
il provvedimento con cui fu disposta la restituzione RAGIONE_SOCIALE somme era legittimo: gli COGNOME avevano diritto alla restituzione della intera somma in sequestro e non della minore somma oggetto della prima istanza; si sarebbe trattato di un atto dovuto in ragione del fatto che COGNOME aveva ottenuto in data 2 ottobre 2017 di poter accedere alla c.d. definizione agevolata RAGIONE_SOCIALE liti pendenti, e che, sulla base di tale atto, er stati effettuati e documentati ingenti pagamenti;
indipendentemente dalla circostanza che COGNOME potè suggerire al Pubblico Ministero l’adozione del provvedimento poi disposto il 12.1.2018, quel provvedimento
avrebbe dovuto essere comunque emanato, atteso che gli NOME avevano effettuato pagamenti all’erario di somme maggiori di quelle che erano oggetto della precedente istanza di dissequestro del 25.10.2017;
I fatti, si assume, non sarebbero riconducibili all’art. 318 cod. pen., non essendo stato nella specie il comportamento tenuto da COGNOME in violazione del dovere di imparzialità e con l’obiettivo di favorire qualcuno.
Di fronte ad una decisione giudiziaria discrezionale, argomenta il ricorrente, sarebbe necessario verificare non se la stessa decisione sia risultata a posteriori giusta o meno, ma se essa sia stata metodologicamente viziata: l’atto o il comportamento deve essere contrassegnato da una finalità non imparziale e la direzione della volontà costituirebbe un connotato soggettivo della condotta del pubblico ufficiale.
Nel caso di specie, COGNOME si sarebbe limitato a fornire un consiglio tecnico volto a consentire ai fratelli COGNOME di chiedere al Pubblico Ministero- che procedeva per un reato fiscale nei loro confronti – il dissequestro dell’intera somma oggetto di sequestro e in ragione di detto consiglio vi sarebbe stata la sostituzione della originaria istanza dissequestro; un dissequestro al quale tuttavia gli COGNOME avevano diritto e che avrebbe potuto essere richiesto autonomamente dagli interessati anche senza i consigli di COGNOME e che il Pubblico Ministero avrebbe comunque autorizzato in ragione RAGIONE_SOCIALE somme pagate.
L’eventuale segnalazione di COGNOME a COGNOME, si aggiunge, sarebbe solo la conseguenza di un doveroso comportamento della Pubblica Amministrazione che avrebbe peraltro l’obbligo giuridico di segnalare anche gli elementi a favore del contribuente.
Nel caso di specie, la condotta di COGNOME non sarebbe sintomatica di un asservimento della funzione e della violazione del principio di parzialità e il militare n avrebbe avuto ragioni per rifiutare la richiesta di incontro da parte degli COGNOME, i qual peraltro, avevano diritto a ricevere chiarimenti dal titolare dell’ufficio che aveva istr la pratica; in tale contesto non sarebbe decisivo il messaggio inviato da COGNOME a COGNOME con il quale il primo avvisò il secondo che “da noi non è arrivato nulla”.
Discorso analogo viene compiuto anche in relazione al messaggio del 7 dicembre in cui COGNOME avrebbe inoltrato a COGNOME la copia del messaggio da lui inviato al Procuratore della Repubblica in cui si sottolineava che “conformemente alla legge” (così il ricorso) i a quel dissequestro i due contribuenti avevano diritto; un dissequestro disposto her effetto di nessun inquinamento, nemmeno temporale, come invece adombrato dal Tribunale.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla ritenuta sussistenza del rapporto sinallagmatico tra le due prestazioni, la cui prov può essere fatta derivare non solo dalla corrispondenza temporale tra le stesse ma anche dalla esistenza di un minimo di proporzionalità tra il valore RAGIONE_SOCIALE medesime.
In tale contesto si segnala che la prima conversazione tra NOME COGNOME e NOME sarebbe del 14.5.2017 e riguarderebbe il soggiorno di NOME in un alloggio nella disponibilità del ricorrente; dunque, si evidenzia, una conversazione di gran lunga precedente e slegata rispetto ai fatti per cui si procede: identico “favore” sarebbe stat accordato a NOME nel settembre del 2018.
Nel 2017 COGNOME non aveva ancora presentato alcuna domanda di rottamazione RAGIONE_SOCIALE cartelle, che solo successivamente aveva portato alla possibilità di effettuare pagamenti e chiedere la restituzione, atteso che la prima istanza di restituzione fu presentata il 25.10.2017 e che il primo incontro in caserma fu del 16.11.2017.
Dunque, diversamente da quanto affermato dal Tribunale, nessuna corrispondenza temporale, ma solo un rapporto personale preesistente e indipendente dai fatti oggetto del processo.
NOME, dopo il settembre del 2018, non chiese più a COGNOME l’appartamento perché la relazione extraconiugale in cui era coinvolto era cessata.
Nel caso di specie peraltro i mancherebbe qualsiasi prova del patto corruttivo: si f aggiunge che l’appartamento era vuoto e a disposizione del proprietario e l’utilità conseguita da COGNOME sarebbe palesemente irrisoria, non potendo nemmeno detta utilità essere costituita dall’anonimato della relazione extraconiugale, atteso che l moglie di COGNOME abitava a RAGIONE_SOCIALE, cioè a 40 chilometri da Lamezia Terme dove i fatti sarebbero accaduti.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al ritenuto pericolo di recidiva, fatto discendere dalla affermata persistenza di un legame tra NOME COGNOME e COGNOME, comprovato dal fatto che nel 2022 questi avrebbe chiesto notizie per un altro procedimento penale a cui COGNOME era sottoposto
In realtà l’informazione avrebbe riguardato solo NOME COGNOME e non NOME, cioè l’attuale ricorrente, e sul punto sarebbe errata l’affermazione dei Tribunale secondo cui vi sarebbe stata comunanza di interessi.
Si assume che l’episodio in questione non rivelerebbe nessun pericolo di recidiva per COGNOME NOME, che è indagato di intestazione fittizia di beni e di autoriciclaggio, dunque di reati che non avrebbero matrice corruttiva.
Né il pericolo di recidiva potrebbe farsi discendere per derivazione dalla valutazione fatta per COGNOME e cioè che questi, pur non rivestendo incarichi istituzionali, sarebbe ancora in grado di incidere all’interno della pubblica amministrazione, dovendo invece la valutazione farsi in modo autonomo per ciascun indagato.
Né, ancora, sarebbe stato adeguatamente valorizzato il fatto che il reato per cui si procede sarebbe maturato in una specifica vicenda legata all’incarico ricoperto da COGNOME in quel momento.
I fatti sarebbero peraltro risalenti al 2017 e COGNOME NOME e COGNOME non avrebbero più contatti; sotto altro profilo si assume che la misura non sarebbe adeguata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Quanto ai primi due motivi, che possono essere valutati congiuntamente, non è in contestazione che:
-il primo contatto telefonico in atti GLYPH tra COGNOME e COGNOME, rivelatore della disponibilità da parte di COGNOME dell’immobile che COGNOME aveva messo a disposizione / . risale al 14.5.2017, quando cioè nessuna richiesta di restituzione RAGIONE_SOCIALE somme sequestrate era stata presentata;
la prima richiesta di restituzione fu presentata il 25.10.2017, cioè dopo più di cinque mesi dalla conversazione intercettata su indicata;
la restituzione RAGIONE_SOCIALE somme era dovuta e giuridicamente corretta;
NOME continuò a usufruire di quell’immobile almeno sino al settembre del 2018, cioè almeno per altri otto mesi dopo la restituzione RAGIONE_SOCIALE somme disposta il 25.1.2018.
3. Secondo le Sezioni unite:
i fatti indicati negli artt. 318 e 319, testualmente richiamati dall’art. 319 ter pen., si identificano con le condotte poste in essere dai pubblici ufficiali alle quali fa esclusivamente riferimento le due disposizioni anzidette, mentre la punibilità di colui che dà o promette il denaro o altra utilità è sancita dal successivo art. 321, al pari di quan avviene per la corruzione in atti giudiziari;
l’art. 319 ter cod. pen. collega a tutti i fatti indicati nei precedenti artt. 318 la finalità di “favorire o danneggiare una parte in un processo civile, penale amministrativo”;
l’atto o il comportamento processuale del pubblico ufficiale deve, dunque, essere contrassegnato da una finalità non imparziale e l’anzidetta peculiare direzione della volontà è un connotato soggettivo della condotta materiale;
ciò che conta è la finalità perseguita al momento del compimento dell’atto o del comportamento del pubblico ufficiale: se essa – per qualsiasi motivo: ad esempio, rapporti di amicizia o di vicinanza culturale o politica; prospettive di vantaggi economic o di benefici pubblici o privati; sollecitazioni della parte interessata o di altri- è a favorire o danneggiare una parte in un processo, è indifferente che l’utilità data o promessa sia antecedente o susseguente al compimento dell’atto, come pure è irrilevante stabilire se l’atto in concreto sia o non sia contrario ai doveri di ufficio;
il reato di corruzione in atti giudiziari è in rapporto di specialità con la corruzi “comune” di cui agli artt. 318 e 319 cod. pen., con la conseguenza che la species di cui all’art. 319 ter non può non contenere tutti gli elementi del genus (quindi
quelli integranti la corruzione comune ai quali si aggiunge l’elemento specializzante di essere commessa per favorire o danneggiare una parte (Sez. U, n. 15208 del 25/02/2010, Mills).
Dunque un reato, quello di corruzione in atti giudiziari /che presuppone l’esistenza di tutti i requisiti strutturali della corruzione di cui agli artt. 318- 319 cod. pen.
A sua volta, il reato di corruzione, nelle sue varie ipotesi, integra un reato a form libera, plurisoggettivo, a concorso necessario, di natura bilaterale, fondato sul “pactum sceleris” tra privato e pubblico ufficiale (o incaricato di pubblico servizio).
Nel sistema precedente alla riforma attuata con la legge 6 novembre 2012, n. 190, il reato di corruzione esprimeva una concezione c.d. mercantile; si incriminava la pattuizione avente ad oggetto la compravendita di singoli atti amministrativi, conformi o contrari ai doveri d’ufficio.
Nell’ambito dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione, era disciplinati i distinti reati di corruzione propria o per atti contrari ai doveri d’uff cui all’art. 319 cod. pen., e di corruzione impropria o per atto d’ufficio, punita dall 318 cod. pen.
La relativa linea di discrimine riguardava l’oggetto del patto corruttivo e, particolare, la conformità o meno ai doveri d’ufficio dell’atto compiuto.
Il chiaro riferimento all’atto dell’ufficio aveva tuttavia fatto emergere evid difficoltà in tutti i casi di sistemici rapporti “clientelari” tra soggetti pubblici cioè quei rapporti che prescindevano da una stretta logica di formale sinallagma, in quanto fondati non sul mercimonio di specifici atti – singoli o molteplici – quanto piuttosto, sull’asservimento della parte pubblica, che si poneva stabilmente a disposizione di quella privata.
In particolare, l’ineffettività del sistema, la sua incapacità a fornire una limp risposta, la sua inadeguatezza strutturale emergeva in maniera evidente in tutti i casi in cui il patto corruttivo aveva ad oggetto “il rapporto” tra soggetto pubblico e privato ruotava su interessenze sganciate “a monte” dal compimento di specifici atti, che, peraltro, in molti casi non erano rinvenibili nemmeno ex post.
Si trattava di casi in cui l’oggetto del patto corruttivo era, per così dire, muto, senso che al momento in cui l’accordo illecito veniva concluso, il pubblico ufficiale non “vendeva” atti , ma se stesso, il suo essere pubblico ufficiale, la sua funzione, il futu esercizio del potere pubblico.
L’effetto che ne era conseguito era stato il sostanziale mutamento dell’oggetto dello scambio corruttivo, passato dall’atto alla funzione del pubblico agente.
Tale traslazione si era verificata nel corso del tempo attraverso: a) la dematerializzazione dell’elemento di fattispecie di corruzione propria dell’atto di uffici b) la inclusione nella nozione di atto d’ufficio dei meri comportamenti, ovvero
l’affermazione di principio secondo cui sarebbe stato sufficiente la individuabilità ne genere dell’atto; c) la interpretazione estensiva dello stesso concetto di atto contrari ai doveri d’ufficio, ravvisata anche nei casi in cui l’atto, pur formalmente legitti persegua “finalità diverse”; la questione, come meglio si dirà, attiene all’esercizi dell’attività discrezionale ed in tale contesto si era tendenzialmente ritenuto di ravvisar “sempre” la corruzione propria, addebitando al pubblico agente la violazione di doveri generali e, in particolare, di quello d’imparzialità, per il fatto oggettivo di avere ric denaro o altra utilità; d) l’affermazione secondo cui la corruzione propria era ravvisabil anche nel caso in cui la promessa o la dazione fossero riferiti nella previsione generica di eventuali, futuri, imprecisati atti, al fine di ottenere la benevolenza del sogge corrotto; e) l’inevitabile sostanziale ridimensionamento della corruzione impropria, sussistente nei soli casi in cui il mercimonio riguardasse specifici atti conformi ai dove d’ufficio e cioè, in sostanza, solo nei casi di compimento di atti vincolati.
In tale contesto è intervenuta la legge n. 190 del 2012 che ha introdotto la nuova fattispecie di corruzione per la funzione prevista dall’art. 318 cod. pen.
Con la nuova fattispecie: a) è scomparso il riferimento all’atto d’ufficio legittim adottato o da adottare da parte del pubblico ufficiale; b) il patto corruttivo ha p oggetto l’esercizio dei poteri o RAGIONE_SOCIALE funzioni: il compenso che il pubblico agente ricev non retribuisce più il compimento di un atto non contrario ai doveri dell’ufficio, ma, pi in generale, rimunera “la presa in carico” degli interessi di cui è portatore il privato; il consenso del funzionario pubblico alla pattuizione illecita deve essere accertato, atteso che l’accordo segna la linea di confine con la “nuova” istigazione alla corruzione (art. 322, comma 1, cod. pen.) in cui l’offerta e la promessa di denaro o altra utilità non è accettata dall’agente pubblico ovvero resta allo stadio di sollecitazione, se l’iniziat proviene da quest’ultimo (art. 322, comma 3, cod. pen.); d) è stato configurato un reato eventualmente permanente, almeno nei casi di plurime dazioni indebite che trovano una loro ragione giustificatrice nel fattore unificante dell’asservimento della funzio pubblica. (Sez. 6, n. 3043 del 27/12/2015 (dep. 2016), COGNOME, Rv. 265619, in cui la Corte ha qualificato in termini di corruzione per l’esercizio della funzione la condotta un indagato che aveva stabilmente asservito le proprie funzioni di consigliere comunale, nonché di presidente e vicepresidente di commissioni comunali, agli scopi di società cooperative facenti capo ad altro coindagato; nello stesso senso, Sez. 6, n. 49226 del 25/9/2014, COGNOME, Rv. 261355).
Entrambe le fattispecie criminose previste dagli artt. 318 – 319 cod. pen. descrivono il perfezionamento di una pattuizione tra un privato e un soggetto qualificato, il cu oggetto tuttavia deve essere accertato.
Concluso l’accordo, il reato è perfezionato e non assume rilievo decisivo la sua esecuzione; è l’accordo che si punisce, anche se intervenuto successivamente all’adozione dell’atto- legittimo o illegittimo che sia – ovvero all’esercizio della funz
Ciò che accomuna le due fattispecie è il divieto di “presa in carico” d’interess differenti da quelli che la legge persegue attraverso il pubblico agente; nella corruzione propria detta presa in carico riguarda e si manifesta con il compimento di un atto contrario, dunque con un atto specifico; nella corruzione per l’esercizio della funzione, invece, la “presa in carico” realizza un inquinamento di base, un asservimento diffusivo che ha la capacità di propagarsi in futuro, in modo non preventivato e non preventivabile rispetto al momento della conclusione del patto corruttivo.
I delitti di corruzione puniscono il collateralismo clientelare o mercantile.
Si tratta di un illecito che si sostanzia in condotte convergenti, tra loro in recipro saldatura e completamento, idonee ad esprimere, nella loro fisiologica interazione, un unico delitto.
Da ciò consegue che il reato si configura e si manifesta, in termini di responsabilità, solo se entrambe le condotte, del funzionario e del privato, in connessione indissolubile, sussistano probatoriamente e la perfezione dell’illecito avviene alternativamente con l’accettazione della promessa o con il ricevimento effettivo dell’utilità (cfr., Sez n. 33519 del 04/05/2006, COGNOME).
Ciò che deve essere processualmente accertato, anche in sede cautelare, è se il pubblico ufficiale abbia accettato una utilità, se quella utilità sia collegata all’eser della sua funzione, al compimento di quale atto quella utilità sia collegata, se quell’at sia o meno conforme ai doveri di ufficio.
Costituisce infatti principio più volte ribadito nella giurisprudenza di legittimità, e il Collegio condivide, quello secondo cui, ai fini dell’accertamento del reato di corruzione nell’ipotesi in cui risulti provata la dazione di denaro o di altra utilità in favo pubblico ufficiale, è necessario dimostrare che il compimento dell’atto sia stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale, n essendo sufficiente a tal fine la mera circostanza dell’avvenuta dazione (cfr., in particolare, per citare le più recenti nnassinnate, Sez. 6, n. 39008 del 06/05/2016, COGNOME, Rv. 268088; Sez. 6, n. 5017 del 07/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 251867, nonché Sez. 6, n. 24439 del 25/03/2010, COGNOME, Rv. 247382).
La prova della dazione indebita di una utilità in favore del pubblico ufficiale, quind ben può costituire un indizio, sul piano logico, ma non anche, da solo, la prova della finalizzazione della stessa al comportamento antidoveroso del pubblico ufficiale: è pertanto necessario valutare tale elemento unitamente alle altre circostanze di fatto acquisite al processo, in applicazione della previsione di cui all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., secondo cui «l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi siano gravi, precisi e concordanti».
5. Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati.
Secondo il Tribunale, vi sarebbero gravi indizi del reato di corruzione in atti giudiziar in relazione all’art. 318 cod. pen.- perché “COGNOME si sarebbe messo a disposizione dell’odierno prevenuto”; la prova della presa in carico dell’interesse del ricorrente d parte di COGNOME sarebbe costituita dall’avere questi “seguito minuziosamente la vicenda del dissequestro RAGIONE_SOCIALE somme”; a fronte dell’interessamento inquinante, COGNOME avrebbe ricevuto come utilità la disponibilità di quell’immobile, di cui si è dett (così il Tribunale a pagg. 6- 7 della ordinanza impugnata).
6. Si tratta di un ragionamento viziato.
La prova del patto corruttivo e del nesso tra le prestazioni è stata fatta discendere senza spiegare perché, nel caso di specie, l’utilità conseguita da NOME e oggetto del patto sia collegata all’esercizio della funzione del pubblico ufficiale e alla presa in car dell’interesse del privato corruttore.
Non è stato chiarito, cioè, perché l’utilità conseguita da COGNOME, non esattamente proporzionale al vantaggio conseguito dal privato corruttore, sarebbe causale e giustificativa dell’asservimento della funzione, tenuto conto che il pubblico agente aveva la disponibilità di quell’appartamento anche mesi prima del suo interessamento per la vicenda relativa al sequestro e continuò ad usufruire di quell’immobile anche mesi dopo la restituzione RAGIONE_SOCIALE somme, senza tuttavia fare alcunchè successivamente.
Rispetto ad una non chiara corrispondenza temporale RAGIONE_SOCIALE due prestazioni oggetto del patto corruttivo e ad una non evidente proporzionalità RAGIONE_SOCIALE stesse, il Tribunale avrebbe dovuto spiegare perché quella utilità ottenuta mesi prima costituisse il prezzo e il corrispettivo dell’asservimento della funzione e la prova della finalizzazione del stessa agli interessi del privato.
Se è vero che il comportamento in concreto avuto dl colonello COGNOME riveli l’esistenza di un rapporto di amicizia o di vicinanza tra questi e COGNOME, non essendo stato nemmeno prospettato dall’indagato che COGNOME fosse solito comportarsi nel modo descritto ovvero avesse l’abitudine di seguire l’andamento di un sequestro anche con altri soggetti sottoposti ad indagine, ciò, tuttavia, non consente di ritenere provat il patto corruttivo e l’asservimento della funzione, ben potendo in astratto i fatti esame essere ricondotti eventualmente anche ad altre fattispecie di reato.
Né è chiaro nel ragionamento del Tribunale: a) quando e in quali circostanze sarebbe stato concluso il patto corruttivo; b) se detto patto fu concluso già prima dell’intervent di COGNOME nella vicenda in esame; c) per quali ragioni e da quando COGNOME decise di mettere quell’appartamento a disposizione del militare, che, come detto, ne usufruiva già mesi prima del suo interessamento per la vicenda per la quale si procede; d) quale fosse realmente il rapporto personale tra COGNOME e COGNOME e se detto rapporto fu limitato ai fatti in esame ovvero fu più esteso.
Una motivazione instabile e una non corretta applicazione della legge penale.
Ne consegue che sul punto l’ordinanza deve essere annullata; il Tribunale, applicherà i principi indicati e verificherà se e in che termini sia possibile formulare un giudizi gravità indiziaria per i fatti per cui si procede.
7. Non diversamente, è fondato anche il terzo motivo di ricorso.
La Corte di cassazione ha in molteplici occasioni chiarito che il requisito dell’attuali del pericolo di reiterazione del reato, introdotto nell’art. 274, lett. c), cod. proc. dalla legge 16 aprile 2015, n. 47, non deve essere inteso come imminenza del pericolo di commissione di un ulteriore reato, quanto, piuttosto, come espressione di una continuità del pericolo nella sua dimensione temporale; ciò che deve essere apprezzato è la potenzialità criminale dell’indagato, la effettività del pericolo di concretizzazione rischi che la misura cautelare è chiamata a neutralizzare (Sez. 6, n. 3043 del 27/11/2015, dep. 2016, COGNOME, Rv. 265618; Sez. 2, n. 26093 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 267264; Sez. 2, n. 18745 del 14/04/2016, COGNOME, Rv. 266749; Sez. 2, n. 25130 del 14/04/2016, COGNOME, Rv. 267232; Sez. 2, n. 18744 del 14/04/2016, COGNOME, Rv. 266946; Sez. 6, n. 15978 del 27/11/2015, COGNOME, Rv. 266988).
Anche le Sezioni Unite, sebbene occupandosi solo incidentalmente della questione, (Sez. U, n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266650-266652), hanno affermato che l’attualità è requisito legato alla presenza di occasioni prossime al reato (e, dunque, non specifiche), la cui sussistenza, pur dovendo essere autonomamente e separatamente valutata rispetto all’altro requisito di legge, dato dalla “concretezza”, è desumibile d medesimi indici rivelatori di quest’ultima, e cioè specifiche modalità e circostanze del fatto e personalità dell’indagato o imputato.
In particolare, il requisito dell’attualità del pericolo di recidiva non è equipara all’imminenza di specifiche opportunità di ricaduta nel delitto e richiede, invece, da parte del giudice della cautela, una valutazione prognostica sulla possibilità di condotte reiterative, alla stregua di un’analisi accurata della fattispecie concreta, che tenga cont RAGIONE_SOCIALE modalità realizzative della condotta, della personalità del soggetto e del contesto socio-ambientale; analisi che deve essere tanto più approfondita quanto maggiore sia la distanza temporale dai fatti, ma che non contempla anche la previsione di specifiche occasioni di recidivanza. (Sez. 5, n. 11250 del 19/11/2018 (dep. 13/03/2019) Rv. 277242; in senso conforme: Sez. 1, n. 14840 del 22/01/2020 Rv. 279122; Sez. 5, n. 33004 del 03/05/2017, Rv. 271216; Sez. 2, n. 5054 del 24/11/2020 (dep. 2021 ) Rv. 280566).
Il Tribunale non ha fatto corretta applicazione dei principi indicati essendosi limitato a valorizzare, quanto alla sussistenza RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari, l’interessamento di COGNOME nel 2022 per un procedimento penale riguardante COGNOME NOME e la personalità di COGNOME NOME, considerata proclive a delinquere.
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E tuttavia nulla è stato spiegato: a) sul fatto che COGNOME non rivesta più incarichi istutuzionali e perché ciò non abbia influenza sul pericolo di recidiva da parte di COGNOME; b) quali sarebbero le relazioni personali che l'indagato avrebbe ancora "all'interno del contesto pubblicistico"; c) sulla rilevanza del tempo trascorso (cinque anni) rispetto ai fatti per cui si procede.
Ne deriva che l'ordinanza impugnata deve essere annullata anche in relazione alla valutazione RAGIONE_SOCIALE esigenze cautelari.
P. Q. M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE competente ai sensi dell'art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2023.