Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 7334 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 7334 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/01/2025
RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Firenze, con sentenza del 16 novembre 2023, ha confermato la condanna, con la diminuente del rito abbreviato, di NOME COGNOME alla pena di mesi quattro di reclusione per il reato, così diversamente qualificato, di istigazione alla corruzione (art. 322, comma 1, cod. pen.). Ha dichiarato l’imputato interdetto dai pubblici uffici per la durata della pena,
applicando il beneficio della sospensione condizionale della pena. Ha disposto, infine, la confisca della somma di euro diecimila già in sequestro.
E’ pacifico che l’imputato, socio dello stabilimento “RAGIONE_SOCIALE” in Forte dei Marmi, il giorno 10 agosto 2016, si era recato presso lo stabilimento “RAGIONE_SOCIALE“, dove si trovava NOME COGNOME, vicesindaco e assessore all’Edilizia, Urbanistica e Demanio del Comune di Forte dei Marmi, ringraziandolo sentitamente per il rilascio di un’autorizzazione in favore del proprio stabilimento e complimentandosi per il decoro e la pulizia della città. Il COGNOME, schermendosi e ribadendo di non avere fatto niente di particolare a suo favore, lo ringraziava a propria volta.
Risulta, altresì, pacifico, che l’imputato si era allontanato lasciando sul tavolo la copia di un giornale che riportava, tra le altre, la notizia del rilascio un’autorizzazione a favore dello stabilimento “Chimera”, giornale nel quale era contenuta una busta gialla con all’interno diecimila euro in contanti e della cui presenza si era avveduta la moglie del COGNOME (proprietaria dello stabilimento “RAGIONE_SOCIALE“) al momento delle pulizie.
Il COGNOME, consultatosi con l’avvocato, aveva immediatamente denunciato il fatto consegnando ai carabinieri la somma di denaro che veniva sottoposta a sequestro e poi confiscata. Il COGNOME aveva, inoltre, indicato varie procedure amministrative, a lui peraltro non note nei dettagli, che il COGNOME aveva pendenti, precisando che questi lo aveva espressamente ringraziato per una già positivamente evasa a suo favore.
Risulta, infine, che il ricorrente, nel corso dell’interrogatorio, aveva ammesso la consegna sostenendo di avere elargito la somma a titolo ringraziamento dell’assessore e di beneficenza, viste le spese che il Comune sopportava in materia di assistenza sociale.
E’ controversa, ma risolta già in primo grado, la imputazione dell’offerta della somma.
Secondo l’originaria contestazione di istigazione alla corruzione propria (art. 322 comma 2, cod. pen.), la somma era stata elargita all’assessore in funzione dell’assunzione di provvedimenti a favore dello stabilimento “Chimera” per pratiche ancora pendenti presso l’ufficio urbanistico del Comune.
Tuttavia la sentenza impugnata, in linea con quella di primo grado, ha confermato che l’offerta era funzionale a ringraziare l’assessore per un’autorizzazione già rilasciatagli.
2. Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. pro pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorrent denuncia:
2.1. violazione di legge (art. 117 Corte Cost., 6 CEDU, 178, 180, 422, 438, 441, 516, 519, 521, 522 cod. proc. pen.) e nullità della sentenza impugnata per diversità del fatto storico contestato che la Corte di appello ha mutato, rispetto al giudice di primo grado, condannando l’imputato per il reato di istigazione alla corruzione antecedente per l’esercizio della funzione o dei poteri da parte del pubblico ufficiale rispetto ad atti indeterminati da effettuare in futuro;
2.2. erronea applicazione della legge penale (artt. 318 e 322 cod. pen.) e cumulativi vizi di motivazione, anche per travisamento della prova. La disposizione di cui all’art. 318 cod. pen. punisce, proiettandosi verso il futuro, il compimento di atti di ufficio e non può essere rivolta a sanzionare atti già compiuti che, peraltro, non erano di competenza del COGNOME in qualità di vicesindaco o assessore all’urbanistica, rientrando, invece, nelle competenze del responsabile del procedimento sul quale il COGNOME non aveva esercitato alcuna interferenza. In realtà l’offerta della somma, da qui anche la contraddittorietà, illogicità e insufficienza della motivazione, è stata correlata all’esercizio di poteri futuri da parte del COGNOME;
2.3. GLYPH erronea applicazione della legge penale (art. 318 cod. pen.) e cumulativi vizi di motivazione sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato, peraltro di contrario avviso rispetto alla sentenza di primo grado che aveva ritenuto che l’imputato volesse ringraziare il COGNOME, ritenendo, invece, che volesse “ingraziarselo” per il futuro. Vero che l’importo erogato non era di entità banale ma tale elemento non è sufficiente ai fini della incidenza sulla serenità del pubblico ufficiale e sul bene giuridico protetto tenuto conto che l’unica pratica di interesse del RAGIONE_SOCIALE era stata positivamente esaminata. La Corte di appello, disattendendo le dichiarazioni dell’imputato, ha ritenuto che la somma fosse stata elargita come corrispettivo di un atto già compiuto mentre l’imputato aveva sostenuto che si trattava di un donativo da destinare in beneficenza. La Corte di appello non ha compiuto un ragionato esame delle deduzioni difensive e delle dichiarazioni dell’imputato sul punto;
2.4. GLYPH erronea applicazione della legge penale (art. 2, comma 4, 31, 37 e 317.bis cod. pen.) poiché difettavano in capo all’imputato le qualifiche soggettive presupposto dell’applicazione della pena accessoria nonché la sussistenza di condotte penalmente rilevanti e, comunque, la norma di cui all’art. 317-bis cod. pen., al momento del fatto, non includeva la disposizione di cui all’art. 322 cod. pen.;
2.5. GLYPH erronea applicazione della legge penale (artt. 240, 322-ter cod. pen.), per difetto dei presupposti della confisca e omessa motivazione sul punto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso proposto non è, con riferimento alla qualificazione giuridica del fatto, manifestamente infondato, tenuto conto che due soli precedenti di questa Corte – di seguito indicati – hanno ritenuto configurabile il reato di istigazione alla corruzione impropria susseguente al cospetto di una complessa lettura di sistema della fattispecie di cui all’art. 322 cod. pen. e del suo rapporto con quella di corruzione per l’esercizio della funzione di cui all’art. 318 cod. pen..
Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata per intervenuta prescrizione del reato, commesso il 10 agosto 2016 che, in assenza di sospensioni, risulta prescritto il 10 febbraio 2024. La pena prevista per il reato in esame rinvia, infatti, a quella prevista dal primo comma dell’art. 318 cod. pen. ridotta di un terzo, pena che, prima delle modifiche apportate con l’art. 1, comma 1, lett. m) della I. n. 3 del 2019 era quella di anni quattro di reclusione (ergo anni sei per la prescrizione ordinaria) e, quindi, la prescrizione massima per il reato è quella di anni sette e mesi sei.
Non sono apprezzabili, peraltro, elementi che, ai sensi dell’ art. 129, comma 2, cod. proc. pen., permettano di apprezzare “ictu oculi”, con una mera attività di “constatazione”, l'”evidenza” della prova di innocenza dell’imputato, idonea ad escludere l’esistenza del fatto, la sua commissione da parte di lui, ovvero la sua rilevanza penale.
2.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
Non è revocabile in dubbio che la sentenza impugnata, allineandosi a quella di primo grado che aveva precisamente ricostruito il contenuto delle varie istanze proposte dal COGNOME e riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 322, comma 1, cod. pen., ha ritenuto configurabile nei fatti il reato di istigazione alla corruzione impropria susseguente, fattispecie che espressamente la sentenza impugnata, a pag. 6, richiama illustrando gli elementi costitutivi del reato.
Dalla ricostruzione contenuta nella sentenza di primo grado si rileva, infatti, che i procedimenti indicati come pendenti nell’interesse dello stabilimento balneare “La Chimera”, erano tutti funzionali al rilascio dell’autorizzazione per la costruzione e ampliamento della piscina e che con il rilascio della concessione demaniale n. 90 del 29 luglio 2016 il procedimento inteso al rilascio del permesso si era ormai esaurito dovendo solo emettersi, a seguito della istanza di rateizzazione degli oneri dovuti con la prestazione di idonea garanzia fideiussoria, il permesso definitivo, effettivamente rilasciato il 23 agosto 2016, quindi dopo la consegna della somma: tale rilascio costituiva un adempimento meramente formale essendo ormai integrati tutti i presupposti per la sua emissione.
Sostiene il ricorrente che la sentenza impugnata ha, invece, ritenuto che il COGNOME, attraverso l’offerta, puntasse ad assicurarsi la disponibilità del pubblico ufficiale ad effettuare atti determinabili al bisogno da quel giorno in poi e, quindi, è pervenuta alla condanna per il più grave reato di corruzione impropria antecedente (cd. messa a libro paga).
In tal senso depone la motivazione della sentenza nella parte in cui (pag. 6 e 7) ha evidenziato come il COGNOME, con l’offerta formulata al vicesindaco, intendesse instaurare con questi “una relazione che assicurare al privato favori futuri”, aggiungendo che l’offerta di un simile importo “è un modo molto efficace (e insidioso, precisa la giurisprudenza) per manifestargli con chiarezza che analoga gratitudine riceverebbe – e riceverà- per la sua efficienza futura”.
La sentenza impugnata sottolineava che l’atteggiamento dell’imputato era sintomatico dell’esistenza del dolo della fattispecie, perché riscontra “la consapevolezza delle ricadute (vantaggiose per sé) che l’elargizione può avere sul pubblico ufficiale e sulla sua attività istituzionale futura, elementi tutti che risultan presenti nella situazione in esame”.
La prospettazione difensiva è manifestamente infondata in fatto e non sussistono pertanto le denunciate violazioni del diritto di difesa dell’imputato che, a sorpresa, si sarebbe trovato con la sentenza di appello al cospetto di un fatto storico modificato rispetto ai suoi tratti salienti. Non rilevano, ai fini del individuazione del fatto storico come condotta di corruzione impropria antecedente, i riferimenti alla prospettiva futuro di asservimento del pubblico ufficiale che l’imputato si rappresentava, dopo avere con chiarezza ribadito l’inquadramento del fatto accertato nella fattispecie di istigazione alla corruzione impropria susseguente, con argomenti sviluppati a confutazione delle argomentazioni difensive, riproposte anche con l’odierno ricorso e di seguito esaminate, sulla inoffensività della condotta di istigazione alla corruzione susseguente perché intervenuta in un momento in cui gli atti di interesse erano stati compiuti e il procedimento amministrativo era ormai concluso.
3.Devono essere esaminati, prima di passare ai motivi di ricorso che direttamente riguardano la configurabilità del reato di istigazione alla corruzione impropria susseguente, i motivi di ricorso che denunciano violazione di legge in relazione alla ritenuta qualifica pubblicistica del COGNOME e alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato per omesso esame delle deduzioni difensive svolte con i motivi di appello che richiamavano, sul punto, le dichiarazioni rese dall’imputato secondo cui l’offerta della somma era riconducibile ad un atto di liberalità verso il Comune, quale contributo alla spese in materia di assistenza sociale.
La sentenza impugnata ha esaminato le deduzioni difensive e le ha disattese con argomenti giuridicamente ineccepibili, sul primo aspetto e con argomenti in fatto insuscettibili di revisione in questa sede, quanto alla possibile diversa causale dell’offerta della somma.
L’assessore comunale è, infatti, pubblico ufficiale in relazione all’esercizio delle attività esecutive della volontà amministrativa della giunta comunale di cui fa parte, attività che, in relazione alla sottoscrizione degli atti di competenza dei settori amministrativi, fanno capo al responsabile del procedimento (cfr Sez. 6, n. 18194 del 05/04/2012, Abate, Rv. 252688).
La ricostruzione della sequenza temporale dei fatti e l’accompagnamento, all’offerta della somma, dell’articolo di stampa in cui erano riportate le “spinte” dell’assessore COGNOME all’esame delle pratiche di competenza dell’assessorato e, fra queste, l’esito positivo di quelle di interesse dello stabilimento “Chimera” di cui l’imputato era socio, sono state valorizzate dalla Corte di appello per disattendere la tesi difensiva dell’imputato sull’alternativa causale dell’offerta della somma. La dissimulata consegna della somma (occultata all’interno del giornale) era stata, del resto, accompagnata dal ringraziamento all’assessore COGNOME per il buon esito delle pratiche di interesse dello stabilimento del Raffaelli, ringraziamento riferito anche dal COGNOME.
Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistente il dolo generico rigettando come infondata la tesi difensiva dell’imputato.
4.In relazione ai motivi di ricorso sulla configurabilità del reato di istigazione alla corruzione impropria susseguente di cui all’art. 322, comma 1, n. 1 cod. pen., il ricorrente, richiamati i lavori preparatori delle legge 190 del 2012 – secondo cui la modifica avrebbe comportato ex se la soppressione della più lieve corruzione impropria susseguente – ha svolto i suoi rilievi sotto un duplice profilo e, in particolare, dapprima analizzando la figura generale della corruzione impropria, per escludere la configurabilità di quella susseguente, e, poi, nel prosieguo, esaminando la configurabilità dell’istigazione alla corruzione impropria susseguente sotto il profilo della mancanza di offensività della condotta e del rischio di elevare a fattispecie di reato elargizioni prive di connotazioni retributive.
Il ricorrente sostiene che la configurabilità del reato di corruzione impropria susseguente è esclusa e che in tal senso depone, sul piano semantico, la locuzione “per” che caratterizza anche la fattispecie incriminatrice di cui all’art. 318 cod. pen., locuzione che deve essere letta nell’accezione finalistico-teleologica e, quindi, circoscritta alla sola corruzione antecedente.
7),n
Rileva, inoltre, che concorrono a delineare la impossibilità di configurare la corruzione impropria susseguente la severità del trattamento sanzionatorio rispetto alla precedente fattispecie di corruzione impropria susseguente (punita con la pena della reclusione fino a un anno e della multa fino a lire seicentomila); la non giustificata omologazione con la pena prevista per la corruzione antecedente di quella susseguente.
La ricostruzione proposta dal ricorrente ricalca le conclusioni cui erano pervenute la giurisprudenza e la dottrina nella vigenza dell’art. 322, comma 1, cod. pen., prima della riforma del 1990. « »
La giurisprudenza, infatti, escludeva la configurabilità del reato di istigazione alla corruzione impropria susseguente sulla base della formulazione letterale della norma incriminatrice («Chiunque offre o promette denaro o altra utilità, come retribuzione non dovuta, a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio che rivesta la qualità di pubblico impiegato, per indurlo compiere un atto dell’ufficio o del servizio, soggiace, qualora l’offerta o la promessa non sia accettata… »).
Si osservava che nell’istigazione alla corruzione impropria, l’offerta (o la semplice promessa) deve essere effettuata “per indurre” il pubblico ufficiale (o l’incaricato di un pubblico servizio che sia impiegato pubblico) “a compiere” un atto conforme ai doveri dell’ufficio (o del servizio). Da ciò derivava che non era possibile ipotizzare una forma d’istigazione passiva per un atto che sia stato già compiuto nonché dal riferimento alla pena stabilita nel primo comma dell’art. 318 cod. pen. (Sez. 6, n. 8398 del 25/06/1996, COGNOME, Rv. 205564).
Anche la dottrina, rispetto al sintagma “per indurre” – locuzione che, si noti, sopravvive nella fattispecie di istigazione alla corruzione passiva propria di cui al comma secondo dell’art. 322 cit. vigente, con la conseguente ritenuta configurabilità della sola istigazione alla corruzione propria antecedente – aveva rilevato che la formulazione letterale della fattispecie incriminatrice non era idonea a ritenere configurabile il delitto di istigazione alla corruzione susseguente.
L’analisi muoveva dal rilievo che le espressioni usate dal legislatore («se l’offerta o promessa è fatta per indurre a omettere o a ritardare ovvero a oppure per le finalità indicate dall’art. 319»), indicavano che il delitto di istigazione alla corruzione attiva è possibile solo con riferimento alla corruzione antecedente poiché la “finalità” indica lo scopo perseguito dal soggetto agente e soltanto nel caso della corruzione antecedente il soggetto può agire “allo scopo compiere un atto del suo ufficio”, mentre nel caso della corruzione susseguente, in mancanza di un accordo preventivo, egli può semplicemente sollecitare alla dazione o promessa per avere compiuto un atto.
Secondo tale ricostruzione la stessa soluzione doveva essere adottata relativamente alla istigazione alla corruzione impropria susseguente: non è, infatti, giustificabile escludere la corruzione susseguente per una forma di istigazione più grave, quale quella della istigazione alla corruzione propria, e ammetterla, invece, per una forma meno grave, quale quella istigazione alla corruzione per l’esercizio della funzione per un atto già compiuto.
6. L’esegesi sulla ricostruzione dell’art. 318 cod. pen. non è più condivisa dalla dottrina: si ritiene, infatti, che sul piano semantico l’espressione “per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri” di cui all’art. 318 cod. pen. suggerisce non solo una lettura in proiezione finalistica poiché la proposizione “per” ha anche una connotazione causale: al paradigma della corruzione impropria viene, così, ricondotta sia la corruzione antecedente che quella susseguente (a causa dell’esercizio della funzione).
Anche la giurisprudenza di legittimità, nei pochi casi pervenuti all’esame di questa Corte (Sez. 6, n. 47216 del 17/11/2021, COGNOME, Rv. 282450; Sez. 6, n. 19319 del 10/02/2017, COGNOME, Rv. 269835;) ha stabilito che la trasposizione nel primo (e nel terzo comma) dell’art. 322 cod. pen. della stessa locuzione «per l’esercizio delle funzioni o dei poteri» di cui all’art. 318 consente di ritenere punibile anche l’istigazione alla corruzione (impropria o propria) in relazione ad una funzione o un potere già esercitati.
Si è rilevato (cfr. Sez. 6, 19319, cit. in motivazione) che «riformulato l’art. 318 cod. pen., il legislatore ha conseguentemente rimodellato le ipotesi di istigazione alla corruzione «impropria», collegandole non più al singolo atto dell’ufficio, ma all’esercizio delle funzioni o dei poteri e che la trasposizione ne primo e nel terzo comma dell’art. 322 cod. pen. della stessa locuzione «per l’esercizio delle funzioni o dei poteri» di cui all’art. 318 cod. pen. consente di ritenere punibile anche l’istigazione alla corruzione impropria in relazione ad una funzione o un potere i già esercitati.
Non vi è ragione infatti per interpretare la suddetta proposizione in modo diverso rispetto all’art. 318 cod. pen. Il tenore letterale della novella non offr alcun appiglio testuale per ritenere che il legislatore abbia voluto riferirsi alla sol istigazione alla corruzione impropria proiettata verso il futuro esercizio dei poteri o funzioni del destinatario dell’offerta o promessa.
Né appare dirimente l’argomento evidenziato da parte della dottrina della irragionevole mancanza di simmetria con le restanti ipotesi previste dall’art. 322 cod. pen. ed in particolare con la quella della istigazione ad opera del privato alla corruzione propria susseguente. Orbene, sono proprio i rapporti tra il primo ed il secondo dell’art. 322 cod. pen., che replicano quelli tra le fattispecie-base di
corruzione, a consentire di dare contenuto alla previsione del primo comma: quest’ultimo viene a coprire ogni forma di istigazione del privato «per l’esercizio delle funzioni o dei poteri» che non ricada nella ipotesi più grave sanzionata dal secondo comma in cui il privato abbia messo in atto una pericolosa spinta, attraverso la offerta o la promessa di denaro o utilità, verso il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri di ufficio».
Si deve, pertanto, ribadire il principio che il delitto di istigazione all corruzione impropria è configurabile anche in relazione alla condotta di istigazione alla corruzione impropria susseguente: le ulteriori argomentazioni difensive, che si risolvono in rilievi attinenti al trattamento sanzionatorio, non appaiono decisive tenuto conto che il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di cui all’art. 318 cod. pen. è stato oggetto, nel corso degli anni, di una profonda rivisitazione.
Meritano ulteriore approfondimento i rilievi difensivi svolti con riferimento alla esposizione a pericolo del bene protetto dalla norma incriminatrice rispetto ad un atto compiuto o una funzione già esercitata e all’interesse protetto dalla norma incriminatrice di cui all’art. 322, comma 1, cod. pen.
La verifica della configurabilità del reato di istigazione alla corruzione passiva susseguente, al fine di individuare il momento tipico dell’incriminazione nel prodursi dell’evento di danno al bene giuridico protetto, si gioca sul rapporto tra anticipazione della tutela in relazione ai reati di pericolo, alla cui figura viene ricondotto il reato di istigazione alla corruzione di cui all’art. 322 cod. pen. e principio di offensività: nella fattispecie in esame, peraltro, il pericolo si atteggi come pericolo presunto.
Come noto nei reati di pericolo presunto per l’integrazione del reato è sufficiente che il fatto concreto sia riconducibile al tipo legale, dal momento che, ove tale corrispondenza sussista, dovrà ritenersi implicita l’attitudine del fatto a provocare la lesione al bene giuridico. In queste ipotesi si esclude il pericolo dai requisiti costitutivi del fatto poiché il pericolo costituisce una qualifica del fatt Rispetto alle fattispecie di pericolo presunto la funzione del pericolo condiziona la tecnica di costruzione della fattispecie: gli elementi che la compongono, nelle ipotesi di pericolo astratto, presentano una evidente pregnanza semantica, in grado di soddisfare da sé i principi di determinatezza ed offensività.
Si può concludere che nei reati di pericolo astratto l’evento di pericolo non manca, solo che non occorre effettuare alcun giudizio concreto in ordine alla pericolosità del reato, essendo questa definita già a livello legale.
Il ricorrente osserva che, in relazione al reato di istigazione alla corruzione impropria susseguente, non si coglie sul piano dell’offensività e della meritevolezza
della pena la consistenza lesiva della condotta del privato autore di una frazione della condotta tipica di un reato-accordo, peraltro non accolta.
Il rischio prospettato dal ricorrente è quello che il disvalore del reato possa essere ricostruito come riflesso della mera violazione del dovere del pubblico funzionario di astenersi dal ricevere utilità indebite ovvero della venalità del pubblico ufficiale annullando ogni differenza qualitativa con l’illecito disciplinare e di appiattire il principio di offensività sul mero interesse alla legalità dell’agire de pubblica e, dal lato del privato, al mero dovere di lealtà del cittadino verso le istituzioni.
Ritiene il Collegio che il rischio dì derive formalistiche nella ricostruzione del principio di offensività, correlato alle caratteristiche del reato in esame, possa essere evitato attraverso una interpretazione costituzionalmente orientata del bene giuridico che deve essere individuato nella effettiva incidenza funzionale della offerta o promessa dell’indebito sulla imparzialità del procedimento amministrativo di competenza del funzionario che può essere messa in pericolo, come rilevato da questa Corte, in funzione della creazione di un rapporto “privilegiato” del privato con il pubblico funzionario.
Il bene giuridico protetto, generalmente indicato nell’interesse, comune a tutte le fattispecie corruttive, nei beni istituzionali del “buon andamento” e imparzialità della pubblica amministrazione da intendersi come efficienza dell’attività amministrativa e divieto di fare preferenze compromessi dall’impiego delle funzioni e strumenti pubblicistici al di fuori dei presupposti per i quali medesimi, sono stati prefigurati, nel reato di istigazione alla corruzione passiva susseguente, anche a carico dei privati che devono astenersi dal corrispondere agli agenti pubblici denaro o altra utilità e, che, per qualunque ragione essi intendano farlo, anche solo per ringraziarli, risponderanno di istigazione alla corruzione.
In particolare, in tema di corruzione impropria ex art. 318 c.p., l’orientamento maggiormente persuasivo individua il bene giuridico protetto nell’interesse a che gli atti d’ufficio non costituiscano oggetto di una compravendita privata. In tal modo si vuole salvaguardare un rapporto Stato-cittadino non inquinato dall’intromissione di interessi “privati” o “venali” del pubblico funzionario nel compimento di atti del suo ufficio facendo carico anche al privato di astenersi dal compimento di attività volte alla creazione di rapporti privilehgiati.
In questa prospettiva, nella richiamata sentenza COGNOME di questa Corte, la mancanza del requisito della effettiva lesione o esposizione a pericolo del bene giuridico protetto nei delitti di corruzione, ha giustificato la mancata punibilità dell condotta nel caso dei cd. munuscula, ossia di piccoli donativi, ma, per altro verso, si è rilevato che la idoneità potenziale dell’offerta (o della promessa) non è esclusa per il sol fatto che l’offerta (o promessa) sia successiva al compimento dell’atto
poiché in tal caso lo scopo dell’autore non si esaurisce nel ringraziamento del pubblico ufficiale perché, anzi, essa è già proiettata verso il futuro perché rappresenta un insidioso modo per creare una relazione con il funzionario così da assicurarsene i favori.
E’, dunque, in questa prospettiva che la sentenza impugnata, seguendo la linea interpretativa tracciata da questa Corte, ha evidenziato come “il termine «per», ancor più nella istigazione, appare proiettare, anche quando l’iniziativa unilaterale del privato si riferisca ad un potere o una funzione già esercitati, la condotta verso il futuro esercizio dei poteri e delle funzioni del soggetto pubblico: una conclusione che risulta saldamente ancorata alla tipicità della condotta descritta dall’art. 322, comma 1, cod. pen. dalla quale è scomparso qualsiasi riferimento all’atto dell’ufficio e alla sua retribuzione e la condotta è strutturata su mero mercimonio della funzione pubblica o del pubblico servizio.
Deve, pertanto, conclusivamente escludersi che la sentenza impugnata, nell’evocare la proiezione finalistica della condotta dell’imputato, abbia, in realtà, trasformato la contestazione ascrittagli in quella di istigazione impropria antecedente, avendo, viceversa, fatto corretta applicazione dei criteri enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte nella individuazione degli elementi che evocano la offensività della condotta, anche nel caso in cui l’esercizio del potere sia già intervenuto.
All’annullamento della sentenza di condanna per intervenuta prescrizione consegue la inefficacia delle statuzioni in punto di pena accessoria e confisca.
Sulla disposta interdizione dai pubblici uffici deve rilevarsi, per completezza, che solo con la legge n. 3 del 9 gennaio 2019 la pena accessoria di cui all’art. 317bis cod. pen. è stata estesa al corruttore in relazione alla fattispecie di reato prevista dall’art. 322 cod. pen.: la sanzione non era, dunque, prevista al momento della commissione del fatto per cui si procede e non avrebbe potuto essere applicata, se non violando il principio di legalità.
Nel caso di dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione non è consentito, infine, disporre la confisca facoltativa della somma di denaro in sequestro: la somma offerta non costituisce, infatti, prezzo o profitto del reato ma un semplice mezzo di esecuzione del reato da parte dell’autore dell’istigazione e, come tale, può essere oggetto di confisca solo in caso di condanna (Sez. 6, n. 14178 del 27/02/2009, COGNOME, Rv. 243579).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione e per l’effetto dispone la restituzione della somma in
sequestro all’avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 626 cod. proc. pen. Così deciso il 29 gennaio 2025
La Consigliera relatrice
Tl Prekidente