Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 9570 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 9570 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
NOME nato a MADDALONI il 03/12/1975
COGNOME NOME nata a COGNOME il 05/09/1982
avverso la sentenza del 17/04/2024 della Corte d’appello di Napoli Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata deliberata il 17 aprile 2024 dalla Corte di appello di Napoli, che ha riformato parzialmente la decisione del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, il quale – per quanto interessa in questa sede – aveva condannato i fratelli NOME ed NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 86, comma 1, d.P.R. 570 del 1960, esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 416-bis.1 cod. pen.
La riforma in appello ha riguardato la sola NOME COGNOME che è stata assolta da uno degli episodi (rubricato al capo 6), con conseguente rideterminazione in mitius del trattamento sanzionatorio.
I fatti per cui la condanna di primo grado è stata confermata in appello riguardano la corruzione elettorale attuata remunerando due elettori
rispettivamente, con le somme di 20 e 10 euro al fine di ottenere il voto per la COGNOME, candidata come consigliere comunale in occasione delle elezioni amministrative del Comune di Maddaloni nella lista “RAGIONE_SOCIALE Maddaloni”.
Ricorrono avverso la sentenza predetta entrambi gli imputati, a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia.
Il ricorso presentato nell’interesse di NOME COGNOME dall’Avv. NOME COGNOME si compone di tre motivi.
3.1. Il primo motivo di ricorso deduce violazione di legge processuale, lamentando l’inutilizzabilità delle intercettazioni disposte nell’ambito del presente procedimento, siccome eseguite nei confronti di NOME COGNOME solo perché sorella di NOME COGNOME ed oggetto di una campagna stampa locale, dopo che il congiunto era stato condannato in primo grado per reati di matrice camorristica ed era in corso la campagna elettorale. Non vi sarebbe stato – si legge nel ricorso – alcun indizio di reato a carico della COGNOME e la circostanza aggravante mafiosa (che faceva rientrare il reato nell’ambito dell’art. 266 cod. proc. pen.) era stata esclusa dal Tribunale, che aveva rimarcato l’insufficienza della sola parentela a ritenerla dimostrata. La COGNOME – aggiunge l’impugnativa – era stata già eletta nel consiglio comunale di Maddaloni nel 2013 e nel 2017 e mai alcun sospetto era stato paventato a suo carico. Quanto alla doverosa prova di resistenza, le intercettazioni erano l’unico elemento che sorreggeva la pronunzia di condanna.
3.2. Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 516 e 522 cod. proc. pen. perché il fatto sub 1) come ritenuto nella sentenza impugnata sarebbe diverso da quello descritto nel capo di imputazione. Più precisamente sostiene la ricorrente – il Tribunale avrebbe (erroneamente) ritenuto che la somma di denaro contropartita del voto fosse stata data dalla Esposito a tale “NOME” in cambio del suo voto, mentre, correttamente interpretando il dato intercettivo, la Corte di merito ha letto la captazione e le parole pronunziate da “NOME” nel senso che la somma, richiesta da quest’ultimo a “NOME“, era però destinata ad un secondo uomo, che era l’elettore effettivamente remunerato. Le intercettazioni non avevano ricevuto riscontri – aggiunge il ricorso – e le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia non potevano fondare la condanna siccome «giungono due anni prima dei fatti».
3.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 516 e 522 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione quanto alla conferma della condanna per il delitto di cui al capo 5). L’obiettivo della censura è l’interpretazione dell’intercettazione n. 841 del 10 giugno 2018, quando il fratello
dell’imputata, NOME, le comunicava di avere dato 10 euro a tale «NOME, compagno di NOMECOGNOME“, notizia alla quale la donna aveva replicato mostrando di non essere stata coinvolta prima nella pattuizione e di non conoscere neanche il beneficiario della dazione. Del tutto illogicamente, invece, la Corte di appello avrebbe tratto dall’atteggiamento di non ribellione dell’imputata la conclusione che ella fosse coinvolta nella pattuizione che era stata, invece, un’iniziativa esclusiva del suo interlocutore. Anzi, dall’intercettazione telefonica del medesimo 10 giugno 2018, poche ore prima di quella “incriminata”, emergeva come la prevenuta avesse manifestato tutta la sua contrarietà al mercimonio di voti, né situazioni analoghe a quelle oggi sub iudice erano emerse nelle precedenti elezioni a cui la COGNOME aveva partecipato.
I ricorsi presentati, con atto unico, dall’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di entrambi gli imputati constano di tre motivi.
4.1. Il primo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. A fronte dell’osservazione difensiva secondo la quale le ampie intercettazioni effettuate – grazie all’installazione di microspie in auto e all’inoculazione di virus trojan nel telefono – avevano consentito di individuare i soli due episodi sub capi 1) e 5), a dispetto di altre, numerose conversazioni, nel corso delle quali i due imputati e i loro familiari o rifiutavano mercimoni analoghi o criticavano la pratica illecita, la Corte distrettuale avrebbe errato nel ritenere peraltro senza alcuna specificazione – che ciò fosse dovuto alla prudenza dei due imputati nel parlare al telefono; l’errore risiederebbe nel fatto che le intercettazioni svolte erano per la gran parte ambientali, proprio come la conversazione n. 671 del 7 giugno 2018, citata dalla Corte territoriale.
4.2. Il secondo motivo di ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’interpretazione dell’intercettazione posta a base dell’addebito di cui al capo 1). In particolare, nei motivi di appello, la ricorrente aveva evidenziato come si trattasse di un colloquio scherzoso in napoletano, in cui l’interlocutore si inseriva in una conversazione tra l’imputata e suo zio, esortandola, sempre scherzosamente, a dargli 20 euro per convincerlo a votare per lei. L’espressione «racc» era stata erroneamente interpretata come “dacci” e non come “dagli” e si era ignorato il dato – espressamente segnalato nei motivi di appello – che l’interlocutore della COGNOME era suo zio.
4.3. Il terzo motivo di ricorso lamenta violazione di legge e vizio di motivazione. La conversazione posta a base del giudizio di colpevolezza per il reato di cui al capo 5), contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, era un colloquio telefonico, sicché, in coerenza con il ragionamento stigmatizzato
nel primo motivo di ricorso, la Corte di merito avrebbe dovuto interpretarla nel senso di una particolare cautela dei due conversanti.
Ad ogni buon conto, il ragionamento della Corte di merito sarebbe del tutto congetturale quando ha ritenuto che NOME avesse risposto alla sorella, che gli aveva chiesto notizie del flusso elettorale, che un loro elettore era andato a votare, aveva scattato una foto ed era stato ricompensato, perché si tratterebbe di un’interpretazione del tutto scollegata dal dato captativo. In realtà, il fratello dell’imputata si trovava fuori al seggio elettorale ed aveva solo preso atto – e comunicato poi alla sorella – che un elettore dell’imputata aveva, di propria iniziativa, fotografato la scheda e gliela aveva mostrata. I Giudici di appello concludono i ricorrenti – non hanno considerato l’illogicità della partecipazione della COGNOME ad un accordo con uno sconosciuto e hanno sbagliato nel ritenere che la donna non si fosse indignata per quanto riferitole dal fratello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono, nel loro complesso, infondati e vanno pertanto respinti.
Quanto al ricorso a firma dell’Avv. NOME COGNOME per conto della sola NOME COGNOME, si osserva quanto segue.
1.1. Il primo motivo di ricorso-che deduce violazione di legge processuale, lamentando l’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite nell’ambito del presente procedimento – è generico nella misura in cui, pur dolendosi dell’assenza dei presupposti per disporre le captazioni, non specifica quale sarebbe la conversazione o le conversazioni colpite dal vizio e quale sarebbe esattamente il difetto del provvedimento autorizzativo, né allega i relativi decreti.
A questo proposito, viene in gioco innanzitutto il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 23868 del 23/04/2009, COGNOME, Rv. 243416) secondo cui, «in tema di ricorso per cassazione, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo, gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la decisività in riferimento al provvedimento impugnato» (in termini, Sez. 6 , n. 1219 del 12/11/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 278123; Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME e altri, Rv. 254108). Orbene è evidente che il ricorso non soddisfa i requisiti contenutistici individuati dall’autorevole e insuperato precedente appena ricordato, giacché si risolve in un proclama di estraneità della COGNOME al contesto camorristico e in una generica denunzia
circa il pregiudizio che avrebbe guidato gli inquirenti per la sola circostanza della parentela con il fratello.
Venendo specificamente alla carenza di allegazione, poiché al ricorso non è accluso alcuno degli atti che occorrerebbero per vagliare la pretesa inutilizzabilità delle captazioni, il Collegio deve prendere atto della mancanza di autosufficienza che lo contraddistingue. Sotto questo profilo, il Collegio accede alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in base al principio di autosufficienza del ricorso, in tema di intercettazioni, qualora in sede di legittimità venga eccepita l’inutilizzabilità dei relativi risultati, è onere della parte, a pena inammissibilità del motivo per genericità, indicare specificamente l’atto che si ritiene affetto dal vizio denunciato, cui si accompagna l’ulteriore onere di produrre l’atto e le risultanze documentali addotte a fondamento del vizio processuale, curando che esse siano effettivamente acquisite al fascicolo o provvedendo a produrle in copia (Sez. 4, n. 18335 del 28/06/2017, dep. 2018, Rv. 273261; Sez. 2, n. 24925 del 11/04/2013, Cavaliere e altri, Rv. 256540).
1.2. Il secondo motivo del ricorso in esame – nella parte in cui denunzia violazione degli artt. 516 e 522 cod. proc. pen. perché il fatto sub 1) ritenuto nella sentenza impugnata sarebbe diverso da quello descritto nel capo di imputazione – è infondato.
Per chiarire i termini del problema, si precisa preliminarmente che, nella sentenza di primo grado, il Tribunale aveva ritenuto che la somma (venti euro) che la COGNOME aveva corrisposto a tale “NOME” servisse a remunerare il voto di quest’ultimo; la Corte di appello ha confermato la condanna reinterpretando, tuttavia, la captazione di interesse e ritenendo che la somma predetta fosse stata sì consegnata a “NOME“, ma quale controprestazione per il voto non di quest’ultimo, ma di un terzo soggetto non identificato, presente alla conversazione ed al quale “NOME” aveva contestualmente fornito le indicazioni per compilare la scheda elettorale nei sensi voluti.
1.2.1 Ebbene, prima di approfondire il vaglio della censura mossa dalla decisione avversata, è innanzitutto opportuno precisare che la lettura del combinato disposto degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. non può prescindere dall’esegesi che ne ha offerto questa Corte, anche a Sezioni Unite. Secondo il Supremo consesso, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia
di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619; in termini, cfr. Sez. 3, n. 7146 del 04/02/2021, Ogbeifun Hope, Rv. 281477; Sez. 2, n. 34969 del 10/05/2013, COGNOME e altri, Rv. 257782; Sez. 5, n. 9347 del 30/01/2013, COGNOME e altro, Rv. 255230; Sez. 6, n. 6346 del 09/11/2012, dep. 2013, COGNOME e altri, Rv. 254888; nonché le motivazioni di Sez. 5, n. 31680 del 22/05/2015, COGNOME, Rv. 264673).
Volendo schematizzare al massimo il principio enunciato, ciò che rileva, dunque, non è il dato “secco” dell’assenza, nella contestazione, del segmento fattuale per cui è intervenuta condanna, ma la concreta verifica se, rispetto a questo novum, l’imputato abbia potuto esercitare le proprie prerogative difensive.
1.2.2. Se già questa premessa in diritto orienta l’interprete nella direzione di uno spiccato rigore quanto al vaglio della difformità denunziata, l’esame della specifica situazione consente di escludere che si sia effettivamente materializzata la nullità che la parte denunzia.
Sul punto occorre in primo luogo ricordare che la fattispecie ascritta alla COGNOME prevede, accanto alla dazione della somma direttamente nelle mani dell’elettore prezzolato, anche la condotta di corresponsione di denaro ad un terzo («Chiunque, per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad altre persone, è punito ».
Ciò posto, il Collegio reputa che la lettura data dalla Corte di appello al dato intercettivo nei sensi appena precisati non dia luogo ad alcuna difformità tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, giacché l’imputazione non reca la specificazione sul se la somma consegnata nelle mani di NOME costituisse il compenso per il suo voto ovvero per quello di un altro, donde la ricostruzione in fatto che si deve alla decisione avversata non contrasta con la contestazione. A questo riguardo, infatti, deve essere rimarcato che l’addebito cristallizzato nel capo di imputazione vede la prevenuta accusata del reato ex art. 86, comma 1, d.P.R. 570 del 1960 (originariamente aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen.) perché, «quale candidata a consigliere comunale in cambio del sostegno elettorale e del voto in suo favore prometteva a tale NOME n.m.i., la somma di 20 euro, che gli versava dopo le votazioni». E’ evidente, dunque, che il “NOME” è stato individuato solo come recettore della somma ma non anche necessariamente – come l’elettore il cui voto era stato remunerato dalla
prevenuta, sicché la delineazione del suo ruolo, avvenuta in appello, non si discosta da quanto contestato.
1.2.3. Quanto al versante del ricorso che critica lo scrutinio della Corte di appello in punto di responsabilità, il Collegio non può che rilevarne l’inammissibilità, giacché si tratta di poche battute, dirette a contestare la ricostruzione fattuale della Corte di appello, ma senza individuare vizi rilevanti ex art. 606 cod. proc. pen ed invocando una ricostruzione in fatto estranea ai confini del giudizio di legittimità.
Milita nel senso dell’inammissibilità del ricorso un principio di diritto più volte affermato da questa Corte, ossia che, nel giudizio di legittimità, non è consentito invocare una valutazione o rivalutazione degli elementi probatori al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260). Più di recente si è sostenuto che, nel giudizio di cassazione, sono precluse al Giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 Ud., dep. 2021, F.; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; pronunzie che trovano precedenti conformi in Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, De Vita, Rv. 235507). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.3. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 516 e 522 cod. proc. pen. e manifesta illogicità della motivazione quanto alla conferma della condanna per il delitto di cui al capo 5); l’obiettivo della censura è l’interpretazione dell’intercettazione n. 841 del 10 giugno 2018, nella quale NOME COGNOME informava la sorella circa la dazione ad un tale “NOME, compagno di NOME” di 10 euro in cambio del voto a favore della candidata e si duole delle conclusioni tratte dalla Corte territoriale in punto di coinvolgimento della prevenuta nel mercimonio.
Ebbene, su questo fronte, l’impostazione esegetica di riferimento per il vaglio della doglianza non può che essere quella, insuperata, secondo la quale «In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del
linguaggio adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di legittimità»(Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715 – 01; in termini, ex multis, Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, COGNOME e altri, Rv. 268389 – 01).
Ciò premesso, l’interpretazione del dato intercettivo che si deve alla Corte di appello non appare manifestamente illogica laddove ha attribuito alle richieste di chiarimenti rivolte dalla COGNOME al fratello circa l’identità dell’elettore corrott non già la dimostrazione della sua estraneità all’accordo intervenuto tra quest’ultimo e il congiunto, ma la sua ignoranza quanto esclusivamente all’identità del soggetto cui il fratello, nello specifico, si stava riferendo. In questo senso, la valorizzazione in malam partem della mancanza di segnali della donna che testimoniassero una dissociazione dalla condotta del fratello – che si coglie nella decisione avversata – non è irrazionale.
A questo riguardo, va ricordato che questa Corte non può sostituire la propria all’altrui valutazione delle fonti probatorie, accedendo magari ad una esegesi che la parte assume essere preferibile, ma può solo censurare la motivazione della decisione impugnata laddove errata in diritto o manifestamente illogica, vizi che non si rilevano nel caso di specie. Né questa Corte può essere chiamata a vagliare l’intero materiale intercettivo onde verificare – come sembra auspicare la ricorrente – se vi siano altre captazioni che consentano di dare a quella fatta propria dalla Corte di merito una diversa lettura.
Il motivo in esame è, quindi da ritenersi non fondato.
Anche i ricorsi presentati con atto unico a firma dell’Avv. NOME COGNOME nell’interesse di entrambi gli Esposito sono complessivamente infondati.
2.1. Il primo motivo di ricorso – che contesta la svalutazione di alcune intercettazioni che testimonierebbero di una netta contrarietà della Esposito al mercimonio di voti – è inammissibile nella parte in cui pretenderebbe da questa Corte una riedizione del vaglio di merito circa il materiale captativo che è estranea alle prerogative della Corte di cassazione. Peraltro il ricorso è generico nella misura in cui non indica precisamente la o le intercettazioni che sarebbero state pretermesse e la loro idoneità a sovvertire il giudizio di colpevolezza, sì da poter dare forma ad una censura di travisamento della prova per omissione, di cui difettano i presupposti come delineati dal diritto vivente di questa Corte. Tale vizio – ha sostenuto ripetutamente questa Corte regolatrice – si configura, infatti, quando il Giudice utilizzi un’informazione inesistente o ometta la
valutazione di una prova e sempre che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nella motivazione; si ricorda altresì che tale vizio, intanto può essere dedotto, in quanto siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si pretende essere state travisate e sempre che il ricorrente non le abbia solo parzialmente considerate a sostegno delle sue ragioni e non ne abbia adottato una lettura atomistica, scevra da un inquadramento di insieme (Sez. 2, n. 20677 del 11/04/2017, COGNOME, Rv. 270071; Sez. 4, n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, Rv. 265053; Sez. 2, n. 26725 del 01/03/2013, COGNOME e altri, Rv. 256723; Sez. 5, n. 11910 del 22/01/2010, COGNOME, Rv. 246552).
Quanto all’intercettazione n. 671 del 7 giugno 2018, quand’anche – ma la parte non lo ha documentato – si trattasse di una conversazione ambientale e non telefonica, tale svista si risolverebbe in un errore incidente solo su una parte marginale del ragionamento probatorio, ossia quella secondo cui le manifestazioni di dissenso rispetto alla corruzione elettorale erano legate alla cautela adottata dai conversanti nel parlare al telefono; e, comunque, mancherebbe il carattere della decisività, anche tenuto conto del fatto che il protagonista del colloquio è NOME COGNOME e non gli odierni imputati.
Per questa ragione il motivo può dirsi, nel suo complesso, infondato.
2.2. Il secondo motivo di ricorso – che deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’interpretazione dell’intercettazione posta a base dell’addebito di cui al capo 1) – è inammissibile perché propone una diversa lettura del dato intercettivo, senza tuttavia cogliere crepe logiche nella lettura che del medesimo materiale ha dato la Corte di appello. Su questo versante pare necessario richiamare ancora una volta i principi che devono guidare lo scrutinio di questa Corte circa il vaglio delle captazioni di cui al superiore § 1.3.
2.3. Il terzo motivo di ricorso – che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’esegesi della Corte di appello circa la conversazione rilevante quale prova per il reato di cui al capo 5) – non contiene argomentazioni critiche sostanzialmente diverse da quelle dell’altro difensore, donde alla censura va data la medesima risposta al corrispondente motivo dell’altro ricorso (cfr. supra, § 1.3.).
Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 23/1/2025
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Il Consigliere estensore
CORTE 01 CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE
LA BORRELLI GLYPH