Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 34307 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 34307  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/09/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero in persona del AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le conclusioni del difensore del ricorrente, avvocata NOME AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.11 Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con l’ordinanza indicata in epigrafe, ha rigettato la richiesta di riesame proposta da NOME COGNOME avverso l’ordinanza del 12 febbraio 2025 con la quale il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE gli aveva applicato la misura degli arresti domiciliari, poi sostituita con l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, in relazione ai reati d
associazione a delinquere (artt. 416 cod. pen.) e numerosi episodi di corruzione (artt. 319-321 cod. pen.) e falso (artt. 476-479 cod. pen.).
2.Con i motivi di ricorso, sintetizzati nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, NOME COGNOME denuncia:
2.1. erronea applicazione della legge penale e cumulativi vizi di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità nei fatti del reato associativo di cui all’ar 416 cod. pen. in mancanza della prova della esistenza di una struttura associativa e del contributo del ricorrente che, nel periodo oggetto di intercettazione, è stato individuato in un numero davvero esiguo di circostanze presso gli uffici dell’RAGIONE_SOCIALE dove avrebbe avuto contatti con i medici, ritenuti capi e promotori dell’associazione; l’ordinanza impugnata non ha esaminato il tema della configurabilità del reato associativo, piuttosto che la sussistenza del mero concorso di persone nel reato reiterato;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta configurabilità dei reati di corruzione piuttosto che del reato di concussione (art. 317 cod. pen.) o indebita induzione (art. 319-quater cod. pen.) ai danni del COGNOME. Il reato di corruzione è stato ritenuto sussistente solo sulla base della prova del pactum sceleris, ma l’ordinanza impugnata non ha esaminato la possibilità di sussunzione del fatto in diverse fattispecie, non potendosi ritenere che l’indagato, mero fruitore del sistema, agisse sul piano di parità con i medici che, come attestato dalle conversazioni registrate, frapponevano ostacoli e veri e propri rifiuti ad effettuare gli esami necroscopici presso le abitazioni dei defunti.
Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen. modificato dall’art. 11, comma 3, di. n. 29 del 6 giugno 2024, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 120 del 8 agosto 2024 n. 120.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso di NOME COGNOME è inammissibile.
I denunciati vizi di violazione di legge, con riferimento alla configurabilità del reato associativo (art. 416 cod. pen.) e di quello di corruzione (artt. 319-321 cod. pen.), sono manifestamente infondati e nella stessa prospettazione del ricorrente sarebbero il risultato di vizi di motivazione afferenti alla valutazione del compendio indiziario e delle risultanze di prova, inidonee a ritenere sussistente una struttura associativa e un rapporto sinallagmatico, piuttosto che l’assoggettamento del ricorrente a indebite pretese dei medici in servizio presso
RAGIONE_SOCIALE, per il conseguimento dei certificati di morte necessari per procedere alle procedure di cremazione o sepoltura.
I dedotti vizi di motivazione, sono, invece, generici anche tenuto conto del perimetro di valutazione che, in materia di valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, è affidato alla Corte di Cassazione.
Compito del giudice di legittimità, infatti, è quello di verificare se il giudice d merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno determinato ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, verificando il rispetto dei canoni della logica e dei principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, compito che non può risolversi in censure riguardanti la ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, come, invece, richiesto dal ricorrente.
In particolare, in materia di intercettazioni telefoniche, costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 3, n. 44938 del 05/10/2021, Gregoli, Rv. 282337).
Orbene, secondo l’ordinanza impugnata, sulla scorta delle risultanze delle intercettazioni ambientali e video eseguite all’interno degli studi medici RAGIONE_SOCIALE e delle intercettazioni telefoniche e telematiche eseguite sulle utenze in uso agli indagati, era stata accertata l’esistenza di un’associazione a delinquere costituita tra numerosi medici e dipendenti in servizio presso l’RAGIONE_SOCIALE, e i titolari di RAGIONE_SOCIALE di onoranze RAGIONE_SOCIALE, tra i quali l’odierno ricorrente, titolare delle RAGIONE_SOCIALE “RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“: organizzazione finalizzata al rilascio di certifi di morte, all’apparenza attestanti la constatazione del decesso da parte del medico presso l’abitazione del defunto, mentre, in realtà, il certificato, senza l’effettuazione dell’esame necroscopico, veniva compilato, redatto e sottoscritto presso l’ASL, a cura dei medici e su richiesta dei titolari delle RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE che potevano, così, eseguire celermente le procedure funerarie, comprese le cremazioni.
Un parallelo sistema prevedeva, sempre a cura dei titolari delle RAGIONE_SOCIALE, l’emissione di false certificazioni per il rilascio del contrassegno di parcheggio di veicoli in uso a persone disabili.
Le risultanze delle indagini hanno documentato la esistenza di un vero e proprio tariffario e la compartecipazione degli stessi titolari di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE alla creazione e implementazione del sistema.
Il ricorrente veniva, in particolare, ripreso presso gli uffici dell’RAGIONE_SOCIALE i occasione della redazione dei certificati (poi acquisiti) e “intercettato” nel corso delle conversazioni intrattenute con i medici.
Correttamente, ai fini della sussistenza del reato associativo – e non di un mero accordo finalizzato alla commissione di una pluralità di reati – l’ordinanza impugnata ha valorizzato la esistenza di un vero e proprio sistema, ancorché strutturato su base elementare, sistema che operava sulla base di un tariffario alla cui implementazione concorreva il ricorrente che, lungi dall’esserne mero beneficiario, era perfettamente integrato nei meccanismi di falsificazione delle certificazioni e corruzione dei sanitari e dei dipendenti del Distretto.
Il ricorrente sostiene che la episodicità della sua presenza presso gli uffici non è stata adeguatamente valorizzata dal Tribunale, che avrebbe dovuto inferirne la sua estraneità agli accordi sottostanti.
Si tratta, tuttavia, di aspetto non rilevante perché affatto univoco e la cui valenza indiziaria a favore dell’indagato è smentita dalle modalità dei contatti e dal contenuto delle conversazioni intercettate che, invece, denotano la piena adesione dell’indagato al programma delittuoso dell’associazione.
La stabilità dell’accordo dell’indagato, anche se in un breve periodo, ne denota, secondo la corretta inferenza che ne ha tratto il Tribunale, un contributo continuativo, che trascende il significato negoziale delle singole operazioni, per costituire un tassello della struttura impegnata nello svolgimento dell’intera attività criminale, risolvendosi, quindi, in un contributo tutt’altro che accidentale e episodico.
4.Manifestamente infondato è anche il motivo di ricorso sulla diversa qualificazione giuridica dei fatti che avrebbero dovuto essere ricondotti al reato di concussione o a quello di induzione.
I reati di concussione e induzione indebita si differenziano, come noto, dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre “l’extraneus”, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la “par condicio contractualis” ed evidenzia l’incontro libero e consapevole della volontà delle parti (Sez. U, n. 12228 del 24/10/2013, dep. 2014, Maldera, Rv. 258474).
La giurisprudenza successiva ha valorizzato, al fine di precisare la differenza tra il reato di induzione indebita e quello di corruzione, il profilo della posizione di preminenza in concreto esercitata dal pubblico ufficiale e, correlativamente, lo spazio di libertà concessa al privato per ciò che riguarda la determinazione
all’adozione o alla promessa, affermando che assume rilievo, ai fini della configurabilità del reato di induzione indebita a dare o promettere utilità, la condotta di prevaricazione che può derivare anche dallo squilibrio di posizione tra il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio ed il privato che accede alla illecita pattuizione condizionato dal timore di subire un pregiudizio in conseguenza dell’esercizio dei poteri pubblicistici, mentre nel reato di corruzione le parti agiscono in posizione di parità e il privato si determina al pagamento per mero calcolo utilitaristico e non per timore (Sez. 6, n. 53436 del 06/10/2016, Vecchio, Rv. 268791).
L’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione di tali principi al caso in esame, respingendo la prospettazione difensiva volta a sussumere la condotta dell’indagato nell’ambito della fattispecie di cui al 319-quater cod. pen. e, vieppiù nella fattispecie concussiva, e, pur tenendo in conto la naturale posizione di sovraordinazione dei pubblici ufficiali, fr~ ha escluso che i dirigenti sanitari abbiano posto in essere condotte di pressione o di subdola persuasione del privato, ribadendo che dal materiale investigativo emerge, piuttosto, la libera convergenza delle volontà dei soggetti coinvolti verso il comune obiettivo illecito.
5.Consegue alla inammissibilità del ricorso la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento. Considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di tremila euro, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16 settembre 2025
La Consigliera relatrice
Il Presidente