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Corruzione e concussione: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 35687/2024, si è pronunciata su un complesso caso di illeciti contro la Pubblica Amministrazione. La Corte ha chiarito i confini tra corruzione e concussione, annullando con rinvio la condanna di un pubblico ufficiale per concussione per carenza di prova sulla condotta costrittiva. Per un altro ufficiale, ha riqualificato il reato da corruzione propria a corruzione per l’esercizio della funzione, dichiarandolo estinto per prescrizione. Respinto invece il ricorso della società coinvolta, confermandone la responsabilità amministrativa.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione e Concussione: La Cassazione detta i confini

Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 35687/2024) offre importanti chiarimenti sulla linea di demarcazione tra i reati di corruzione e concussione, due figure delittuose centrali nel diritto penale della Pubblica Amministrazione. Il caso, complesso e articolato, ha coinvolto diversi pubblici ufficiali di un’importante municipalità e una società di costruzioni, accusati di aver manipolato l’assegnazione di appalti pubblici. L’intervento della Suprema Corte si è rivelato decisivo per definire la corretta qualificazione giuridica dei fatti e le relative conseguenze.

I Fatti del Processo

L’indagine ruotava attorno a un presunto sistema illecito nella gestione di appalti pubblici comunali. Diversi funzionari, tra cui ingegneri e architetti con ruoli dirigenziali, erano accusati di aver ricevuto somme di denaro e altre utilità da un imprenditore, a sua volta divenuto il principale accusatore nel processo. Le accuse variavano dalla turbativa d’asta alla corruzione fino alla concussione, a seconda del ruolo e del comportamento tenuto dai singoli imputati. In particolare, un funzionario era accusato di aver preteso denaro e un orologio di lusso per evitare di ostacolare i lavori di un appalto (concussione), mentre altri erano accusati di aver ricevuto somme per ‘aggiustare’ le giustificazioni di offerte anomale e favorire l’impresa nell’aggiudicazione (corruzione).

Il Percorso Giudiziario e le diverse decisioni su corruzione e concussione

Nei gradi di merito, le sentenze avevano confermato la responsabilità penale degli imputati, sebbene con alcune differenze. La Corte di Appello, in parziale riforma, aveva dichiarato prescritti alcuni reati minori, ma aveva sostanzialmente confermato le condanne per i reati più gravi di corruzione e concussione, oltre alla responsabilità amministrativa della società coinvolta ai sensi del D.Lgs. 231/2001.

È in Cassazione, però, che il quadro giuridico è stato significativamente rimodellato. La Suprema Corte ha esaminato nel dettaglio le doglianze dei ricorrenti, giungendo a conclusioni diverse per ciascuna posizione.

La riqualificazione del fatto in corruzione per l’esercizio della funzione

Per uno dei pubblici ufficiali, la Corte ha accolto il motivo di ricorso relativo alla qualificazione del reato. L’accusa era di corruzione propria (art. 319 c.p.), che presuppone il compimento di un atto contrario ai doveri d’ufficio. La Cassazione ha osservato che le sentenze di merito non avevano individuato uno specifico atto contrario, ma piuttosto un generale asservimento della funzione pubblica agli interessi del privato corruttore. Questa condotta, secondo la Corte, integra la meno grave fattispecie di corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.). Effettuata questa riqualificazione, il reato è risultato estinto per prescrizione, portando all’annullamento senza rinvio della sentenza di condanna.

L’annullamento per la difficile distinzione tra corruzione e concussione

Di particolare interesse è la decisione riguardante il funzionario accusato di concussione (art. 317 c.p.). La Corte ha ritenuto che la motivazione della sentenza d’appello fosse insufficiente a dimostrare l’elemento della ‘costrizione’. Per configurare la concussione, non è sufficiente una mera richiesta di denaro, ma è necessario che il pubblico ufficiale ponga in essere un comportamento intimidatorio tale da non lasciare al privato margini di autodeterminazione, costringendolo a pagare per evitare un danno ingiusto.

Nel caso di specie, il rapporto tra il funzionario e l’imprenditore appariva ambiguo: da un lato emergeva un timore reverenziale (metus), ma dall’altro vi erano elementi che potevano far pensare a un accordo paritetico, una par condicio contractualis tipica della corruzione. Mancando una prova chiara della pressione psicologica e della minaccia di un danno contra ius, la Corte ha annullato la condanna, rinviando il caso a un’altra sezione della Corte di Appello per una nuova valutazione.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha fondato le sue decisioni su principi giuridici consolidati.

In primo luogo, ha ribadito la necessità di un’analisi rigorosa degli elementi costitutivi di ciascun reato. La distinzione tra corruzione propria (art. 319 c.p.) e corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) risiede nell’oggetto dell’accordo: nel primo caso, un atto specifico contrario ai doveri; nel secondo, un generico ‘mettersi a disposizione’. La mancanza di prova sul primo punto impone la qualificazione nel reato meno grave.

In secondo luogo, e con ancora maggiore enfasi, ha tracciato il confine tra corruzione e concussione. La motivazione evidenzia che la concussione richiede una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario, che costringe la vittima a una dazione indebita. Se invece il rapporto è di natura negoziale, seppur illecito, e il privato mira a ottenere un vantaggio indebito attraverso un accordo con il pubblico ufficiale, si rientra nell’alveo della corruzione. La Corte ha sottolineato che non era stato chiarito se il rapporto tra le parti fosse caratterizzato da una sostanziale disparità di posizione (tipica della concussione) o se i due si fossero collocati su un piano di parità (proprio della corruzione).

Infine, per quanto riguarda la responsabilità della società, la Corte ha rigettato il ricorso, ritenendo irrilevante la mancata acquisizione in giudizio del modello organizzativo che l’ente sosteneva di aver adottato prima dei fatti, in quanto la richiesta era stata formulata tardivamente come integrazione probatoria e non come prova decisiva sin dall’inizio.

le conclusioni

La sentenza in esame rappresenta un importante vademecum per operatori del diritto e imprese. Essa ribadisce che le accuse di reati contro la Pubblica Amministrazione devono essere provate in ogni loro elemento costitutivo. In particolare, l’esatta qualificazione del rapporto tra pubblico ufficiale e privato è cruciale: un accordo tra pari è corruzione, una pretesa basata sulla minaccia e sulla paura è concussione. Questa distinzione non è un mero tecnicismo, ma incide profondamente sulla pena, sulla punibilità del privato (che nella concussione è vittima, nell’induzione indebita è colpevole ma meno gravemente, e nella corruzione è correo) e sulla stessa configurabilità del reato. Per le aziende, la sentenza conferma l’importanza di dotarsi di modelli organizzativi efficaci e di poterli produrre tempestivamente in giudizio come strumento di difesa.

Qual è la differenza tra corruzione propria e corruzione per l’esercizio della funzione secondo questa sentenza?
La corruzione propria (art. 319 c.p.) richiede che il pubblico ufficiale riceva un compenso per compiere uno specifico atto contrario ai propri doveri d’ufficio. La corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.), invece, si configura quando il compenso è dato per un generico asservimento della funzione pubblica agli interessi privati, senza che sia individuato un singolo atto contrario ai doveri.

Quando una richiesta illecita di un pubblico ufficiale diventa concussione e non corruzione?
Diventa concussione quando il comportamento del pubblico ufficiale è costrittivo, ovvero agisce con modalità e forme di pressione tali da non lasciare al privato alcuna libertà di scelta, costringendolo a pagare esclusivamente per evitare il danno ingiusto minacciato. Se invece c’è un incontro tra le volontà e il privato agisce per ottenere un vantaggio, si configura la corruzione.

La mancata acquisizione del modello organizzativo 231 in giudizio esclude automaticamente la responsabilità dell’ente?
No. In questo caso, la Corte ha ritenuto infondato il ricorso della società perché la richiesta di acquisire il modello organizzativo è stata considerata un’istanza di integrazione probatoria discrezionale per il giudice (ex art. 507 c.p.p.), e non una prova decisiva la cui mancata ammissione avrebbe viziato la sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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