Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 21944 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 21944 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procura della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore avverso l’ordinanza del Tribunale di Salerno del 16 novembre 2023 nel procedimento penale promosso nei confronti di COGNOME NOME, nato a Pompei il DATA_NASCITA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Salerno per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza descritta in epigrafe, il Tribunale di Salerno ha rigettato l’appello ex art 310 cod. proc. pen. interposto dal AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Nocera Inferiore avverso la reiezione della misura cautelare chiesta ai danni di NOME COGNOME, indiziato del reato, descritto al capo 15 della rubrica, di cui agli artt. 318, 319 e 321 cod. pen. realizzato in concorso con NOME COGNOME, ufficiale giudiziario in servizio presso l’UNEP del Tribunale di Nocera Inferiore.
In particolare, secondo la prospettazione accusatoria, nel corso di una procedura relativa al rilascio di un immobile locato, COGNOME, avvocato della parte locatrice, avrebbe consegnato al COGNOME, che nella qualità curava la relativa esecuzione, la somma di 100 euro quale corrispettivo indebito a tale scopo pattuito per la sollecita esecuzione dello sfratto in questione.
Mentre il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera aveva respinto la misura cautelare sollecitata dalla Procura nei confronti di COGNOME per ragioni inerenti alla ritenuta insussistenza delle esigenze da cautelare, il Tribunale ha rigettato il gravame alla luce della ritenuta assenza della gravità indiziaria, di contro riscontrata dal provvedimento appellato.
2.Impugna il AVV_NOTAIO della Repubblica presso il Tribunale di Nocera inferiore e adduce un unico complesso motivo di ricorso con il quale denunzia violazione di legge e vizio di motivazione, manifestamente illogica e contraddittoria rispetto al portato immediato delle emergenze indiziarie avuto riguardo alla ritenuta insussistenza della gravità indiziaria riferita alla ipotesi di re provvisoriamente ascritta al COGNOME.
In particolare, parte ricorrente, in premessa, ha contestualizzato la specifica vicenda a giudizio riferita alla posizione del COGNOME, dando rilievo alla centralità del ruolo assunto dal COGNOME, protagonista, nel breve lasso di tempo coperto dall’attività di indagine, di diverse vicende di corruzione, concussione e rivelazione di segreti d’ufficio immediatamente correlate ai compiti dallo stesso svolti con particolare riguardo alle fase di esecuzione dei titoli giudiziali di matrice civilisti e alle notificazioni da rendere nel processo penale; ha anche ribadito, al fine di dare concretezza all’interesse sotteso all’impugnazione, le ragioni di confermata persistenza delle esigenze da neutralizzare con il chiesto provvedimento cautela (declinato in termini di misura custodiale alla stregua delle indicaz a lomentative espresse con il gravame di merito e non affrontare d vvedimento impugnato).
.3.Ciò premesso, con il ricorso si evidenzia:
che, nel caso, la corruzione in atti giudiziari contestata al ricorrente era impropria, perché legata all’esercizio della funzione, sicché del tutto inconferente doveva ritenersi, nel supportare la conclusione della ritenuta insussistenza del patto corruttivo, il riferimento alla assenza di elementi diretti a comprovare la sussistenza di un vantaggio indebito lucrato dai clienti del COGNOME in conseguenza delle condotte poste in essere dal COGNOME, che non avrebbero determinato una indebita velocizzazione della procedura esecutiva, comunque connotata da una sollecitudine all’evidenza estranea agli ordinari standard;
che, di contro, in caso di corruzione in atti giudiziari impropria, il vantaggio perseguito da parte del corruttore ben può consistere nella semplice finalità di garantirsi il regolare e puntuale esercizio della funzione da parte del soggetto qualificato, indebitamente retribuito a tale scopo, e che tanto nella specie andava valutato considerando le emergenze indiziarie (rappresentate dall’ufficio appellante con la memoria depositata nel corso del giudizio di appello) che attestavano l’insieme di lamentele rassegnate dal responsabile dell’ufficio di riferimento del COGNOME in ordine ai ritardi che ne connotavano la relativa azione (con specifico riguardo alla esecuzione delle notifiche);
che il tenore delle intercettazioni acquisite non consentivano, sul piano della linearità logica, la lettura privilegiata dal Tribunale, dando piuttosto immediata contezza dell’avvenuta remunerazione del soggetto qualificato in stretta correlazione all’attività dallo stesso esercitata in ragione della relativa funzione quale momento di esecuzione di un pregresso accordo illecito in tale senso stipulato tra le parti interessate;
che altrettanto manifestamente illogico doveva ritenersi il giudizio speso nel rimarcare, sul piano induttivo, la modestia del compenso versato al COGNOME, per tale ragione ritenuto non proporzionato al mercimonio della relativa funzione e dunque inidoneo a comprovare il patto illecito retrostante – ritenuto compatibile con una mera dazione resa a titolo di riconoscenza e sganciata da qualsivoglia correlazione con la funzione del soggetto qualificato- trattandosi di valutazione che andava necessariamente filtrata alla luce del più ampio contesto di riferimento dal quale emergeva non solo l’abitudine al mercimonio del COGNOME, ma anche la piena corrispondenza tra la somma versata nell’occasione e i compensi ordinariamente chiesti nelle altre analoghe situazioni di riscontrato mercimonio della funzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso merita l’accoglimento per le ragioni precisate di seguito.
In prima battuta, va rilevato che l’Ufficio ricorrente ha puntualmente rappresentato l’attualità dell’iniziativa preventiva sottesa all’impugnazione,
segnalando le ragioni che giustificano il perdurante interesse all’intervento cautelare destinate a legittimare la verifica demandata alla Corte sulla gravità indiziaria; verifica che, altrimenti, in assenza di una siffatta precisazione, resterebbe inaccettabilmente fine a sé, pregiudicando l’ammissibilità dell’impugnazione.
Ciò in linea con le indicazioni di principio rese sul tema da questa Corte, in forza delle quali il pubblico ministero che impugni l’ordinanza con la quale, in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., sia stata negata la misura cautelare per difetto di gravità indiziaria, deve rappresentare, a pena di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse, le ragioni a sostegno dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari, laddove la misura riguardi reati per i quali non opera, come nella specie, la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (da ultimo,Sez. 6 n. 43948 del 21/09/2023, Rv. 285400Sez. 2 n. 6027 del 10/01/2 024,Rv. 285867).
3.Ciò premesso, il Tribunale – a differenza del Giudice per le indagini preliminari, che aveva negato la misura per la ritenuta insussistenza delle esigenze cautelari- ha escluso la gravità indiziaria attestante il pactum sceleris intercorso tra COGNOME e COGNOME, rimarcando che:
secondo l’impostazione accusatoria, l’accordo in questione avrebbe dovuto avere ad oggetto una indebita accelerazione della procedura di sfratto, aspetto non adeguatamente supportato dai relativi approfondimenti di indagine, che non davano conto di un andamento anomalo della relativa azione esecutiva e che di contro restituivano una apparente regolarità formale della relativa azione processuale, così da non consentire di riscontrare il vantaggio lucrato dalla parte assistita dal COGNOME quale conseguenza immediata del patto corruttivo;
il tenore delle intercettazioni evocate a supporto della accusa, inoltre, non sarebbe tale da supportare la conferma dell’accordo illecito, potendo i relativi colloqui captati essere interpretati in senso diverso da quello privilegiato dall’accusa e validato dal Giudice per le indagini preliminari, e confermare, piuttosto, che, nel caso, la dazione riscontrata sarebbe stata effettuata in assenza di un pregresso accordo illecito, assumendo il significato di un mero segno di riconoscenza mostrata in favore del pubblico ufficiale, estraneo al mercimonio contestato;
l’importo erogato, per la sua irrisorietà, non sarebbe proporzionato alla rilevanza dell’atto amministrativo in gioco, perché inferiore agli stessi standard sanzionati a livello disciplinare, e tanto varrebbe a confortare, sul piano logico, l’ipotesi della ritenuta insussistenza di un patto illecito avente ad oggetto l’esercizio della funzione.
Questa, in sintesi, la linea argomentativa seguita dal provvedimento gravato, ritiene la Corte che la stessa non regga l’urto delle censure prospettate dal ricorso.
4.1. In primo luogo, l’ordinanza impugnata muove da una inesatta impostazione di fondo legata alla puntuale comprensione dell’imputazione provvisoria: ad avviso del Tribunale, il patto corruttivo contestato al COGNOME e al COGNOME avrebbe riguardato nel caso una indebita accelerazione della procedura diretta ad avvantaggiare la parte assistita dal secondo, aspetto non confermato ed anzi contraddetto dalle emergenze acquisite.
Ma il presupposto in fatto legato a un anomalo andamento del detto, specifico, segmento procedurale, quale possibile espressione del vantaggio lucrato dalla parte processuale favorita dall’accordo corruttivo e, al contempo, necessaria conseguenza di una precipua condotta anti doverosa posta in essere dal soggetto qualificato al quale era demandato l’incombente processuale, mal si attaglia con il portato dell’imputazione provvisoria mossa nel caso, che, non solo nominalmente, dà conto di una contestata ipotesi di corruzione in atti giudiziari impropria.
In questa cornice, l’attuarsi dell’azione esecutiva anteponendone indebitamente gli interessi di una parte in favore di un’altra per il tramite di una specifica condotta contraria ai doveri d’ufficio è aspetto, rivendicato dal Tribunale a supporto della verifica logica inerente alla gravità indiziaria, che esonda gli argini della attuale imputazione e che appare, invece, più confacente all’ipotesi della corruzione propria, nel caso non contestata.
E non vale, in senso contrario, dare rilievo al sintagma “convenuta sollecita esecuzione dello sfratto” riportato dalla rubrica, che, letteralmente inteso, appare invece certamente compatibile con i costituti propri della corruzione impropria formalmente contestata, laddove, come correttamente sostenuto dalla parte ricorrente, la remunerazione indebita prospettata a sostegno dell’ipotesi corruttiva si riveli funzionale all’interesse del corruttore di ottenere il risultato processuale perseguito (qui la restituzione del bene da parte del locatario) acquisendo la certezza di ovviare in radice ai possibili intoppi destinati a rallentare l’ordinario corso dell’attività da rendere da parte del soggetto corrotto, senza per ciò solo dar conto di specifiche condotte anti-doverose.
4.2. Vero è che la corruzione in atti giudiziari prevede il dolo specifico del fine di favorire o danneggiare una delle parti coinvolte nel processo; e che, sotto questo versante, il vantaggio lucrato dalla parte assistita dal ricorrente in termini di deviazione dall’ordinario corso dell’azione esecutiva intentata grazie all’accordo illecito siglato con il COGNOME, potrebbe assumere rilievo logico giuridico, restituendo concretezza alle valutazioni spese dal Tribunale, laddove si acceda alla tesi che tale ipotesi di reato non possa ritenersi compatibile con la corruzione per il mero
esercizio della funzione previsto dall’art 318 cod. pen., ancor di più se susseguente.
E’ anche vero, tuttavia, che una tale valutazione in diritto, non espressamente affermata dal provvedimento gravato, va comunque operata affrontando e superando le indicazioni interpretative offerte da questa Corte sul tema, in forza delle quali, valorizzando il portato letterale della disposizione in questione ( che fa indifferente richiamo ad entrambe le ipotesi di corruzione, propria e impropria), è stata ritenuta configurabile l’ipotesi della corruzione in atti giudiziari impropria rimarcando che a tal fine non importa che l’atto compiuto da soggetto qualificato si riveli conforme o meno ai doveri d’ufficio, ma rileva, piuttosto, che l’autore del fatto abbia violato il dovere di imparzialità e terzietà – che deriva dal fatto che l’attività oggetto del mercimonio rientri nella sfera di competenza o di influenza dell’ufficio al quale egli appartiene, così che possa esercitare una qualche forma di ingerenza sia pur di mero fatto (Sez. 6, n. 17973 del 22/01/2019, Rv. 275935) alterando la dialettica processuale – e ciò anche se la corruzione è susseguente (Sez. 6, n. 11626 del 11/02/2020, Rv. 278963; Sez. 6, n. 48100 del 09/10/2019, Rv. 277411).
E ciò senza considerare che, anche a ritenere non configurabile l’ipotesi della corruzione impropria in atti giudiziari per l’assenza di un atto contrario ai doveri d’ufficio da parte del soggetto corrotto e di un conseguente vantaggio perseguito dal corruttore nell’alterare le dinamiche processuali, in ogni caso tanto consentiva comunque di inquadrare la vicenda all’interno dei diversi confini della corruzione ex art 319 cod. peri. e non di escludere, per ciò solo, la gravità indiziarla diretta a sostenere l’adozione di una misura cautelare.
4.3. Venendo alle ulteriori valutazioni di ordine logico apprezzate a sostegno della ritenuta insussistenza di elementi diretti a sostenere, nei limiti della gravità indiziaria, la presenza di un patto corruttivo posto a fondamento della dazione in misura di cento euro- pacificamente resa dal COGNOME in favore del COGNOME in relazione alla esecuzione dello sfratto seguito professionalmente dal primo e curato dal secondo nel quadro delle sue competenze d’ufficio, ritiene la Corte che, anche sul punto, il provvedimento gravato presenti lacune e manifeste incongruenze logiche tali da inficiarne il complessivo portato e imporre un nuovo giudizio di merito.
4.3.1. In particolare, non può non rimarcarsi che la decisione gravata opera una rilettura del quadro indiziario del tutto slegata dal complessivo contesto indiziario nel quale va inserita la specifica vicenda corruttiva portata all’attenzione della Corte.
Contesto che, nella sua attuale configurazione cautelare, vede il COGNOME quale immediato protagonista di diverse iniziative illecite di matrice corruttiva oltre che
di alcune concussioni, ipotesi criminali realizzate con modalità del tutto analoghe a quella oggetto della regiudicanda in termini di adeguata sistematicità, considerata la frequenza delle condotte contestate pur nel ridotto torno temporale coperto dalla attività di indagine.
4.3.2. Siffatta chiave di lettura, integralmente pretermessa dal Tribunale del riesame, deve invece ritenersi imprescindibile, in primo luogo, nel fornire l’interpretazione più lineare ai colloqui captati, occorsi tra i due protagonisti della vicenda in esame, inquadrandone il portato letterale nel più ampio e continuativo sistema illecito delineato dalle condotte complessivamente riscontrate a carico del COGNOME.
In questa cornice, vanno nuovamente riviste, in particolare, le interlocuzioni occorse tra i due il giorno successivo al rilascio dell’immobile, precedenti e contestuali alla consegna della somma di denaro erogata al soggetto qualificato dal COGNOME.
Il significato da ascrivere al contenuto dei relativi colloqui, infatti, non può essere ricavato prescindendo dal complessivo contesto criminale nel quale ebbe ad incunearsi la condotta a giudizio, delineato dall’agire del concorrente. E ciò anche a prescindere dalla stessa fragilità intrinseca delle scelte interpretative privilegiate dal Tribunale (si veda dal primo capoverso di pagina 11), con le quali è stata legittimata l’idea della assenza (di elementi logici indicativi) di un preventivo accordo illecito desumibili da tali risultanze di indagine, valorizzando una asserita sensazione di stupore manifestata dal COGNOME quanto alla rapida evoluzione della vicenda esecutiva ma, al contempo, trascurando integralmente di dare rilievo all’impegno, parimenti ricavabile dai colloqui captati, con il quale il predetto si era premurato di sollecitare e acquisire dai clienti la somma da consegnare al COGNOME in termini che potessero ritenersi soddisfacenti per quest’ultimo ( “vi ho fatto trattare bene”).
4.3.2. Tanto è a dirsi anche in relazione alla effettiva rilevanza da assegnare alla ritenuta irrisorietà del compenso erogato al COGNOME, la cui modestia, in genere foriera di conclusioni logiche dirette ad escluderne la matrice illecita, non può non essere letta e valutata parametrandone il portato al “tariffario” solitamente applicato dal COGNOME in situazioni analoghe e non senza trascurare il fatto che, nel caso, il mercimonio non avrebbe riguardato la realizzazione di un atto contrario ai propri doveri.
4.3.3. Sotto quest’ultimo versante, quello dell’inquadramento del fatto alla ipotesi della corruzione per la funzione contestata al COGNOME ed al COGNOME, infine, assumono rilievo anche le indicazioni offerte dall’ufficio appellante, relative alle cospicue lamentele rivolte dall’ambiente di riferimento con riguardo ai tempi di svolgimento della relativa funzione da parte del concorrente qualificato: si tratta
di evenienze, infatti, che offrono una ulteriore chiave di lettura da valorizzare nel comprendere a valle le ragioni della erogazione e a monte il tenore dell’accordo che ebbe a giustificarle, nell’ottica perseguita dal corruttore, coerente all’ipotesi di reato prospettata dall’accusa, erroneamente trascurata dal Tribunale in sede di appello.
Da qui l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Salerno per un nuovo giudizio diretto a colmare i vuoti e ovviare alle manifeste incongruenze argomentative riscontrate alla luce delle superiori indicazioni di principio.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Salerno competente ai sensi dell’art 309 comma 7 cod. proc. pen.
Così deciso il 20/3/2024.