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Corruzione: anche piccoli doni sono reato?

Una funzionaria comunale è stata condannata per corruzione per l’esercizio della funzione per aver agevolato pratiche in cambio di somme di denaro. La Cassazione ha confermato la condanna, stabilendo che anche piccoli pagamenti, se sistematici, non sono ‘donativi di modico valore’ ma provano un patto corruttivo.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Corruzione: quando una piccola somma di denaro diventa reato?

La linea di confine tra un gesto di cortesia e un atto di corruzione può essere sottile, ma la giurisprudenza ha tracciato confini precisi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato il tema della corruzione per l’esercizio della funzione, chiarendo come anche dazioni di denaro di modico valore, se reiterate nel tempo, configurino un vero e proprio patto illecito e non semplici regali.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato riguarda una funzionaria impiegata presso l’ufficio “Punto unico di accesso” di un comune. Secondo l’accusa, confermata nei primi due gradi di giudizio, la funzionaria avrebbe sistematicamente agevolato un cittadino straniero nell’evasione di pratiche amministrative relative all’iscrizione anagrafica e al riconoscimento della residenza per conto di terzi. In cambio di questa sua disponibilità, la funzionaria riceveva somme di denaro non dovute.

La difesa dell’imputata ha sostenuto che si trattasse di donativi di valore modesto, al di sotto della soglia di rilevanza penale, e che le sue mansioni non le conferivano comunque il potere decisionale finale sull’iscrizione anagrafica.

I Motivi del Ricorso e l’Analisi della Corte

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Modico valore delle dazioni: Si sosteneva che i pagamenti fossero semplici donativi, non idonei a configurare un reato, e che mancasse la prova di un vero e proprio accordo corruttivo.
2. Genericità del capo d’imputazione: L’accusa era ritenuta troppo vaga, non specificando con precisione le singole condotte, le date e gli importi, ledendo così il diritto di difesa.
3. Difetto di correlazione tra accusa e sentenza: La condanna sarebbe intervenuta per un fatto diverso da quello contestato, ovvero per un’attività di agevolazione generica anziché per il rilascio di certificati falsi.
4. Inutilizzabilità di intercettazioni: Si lamentava l’uso di conversazioni in lingua straniera non tradotte.

La Decisione sulla corruzione per l’esercizio della funzione

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi del ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che, ai fini della configurabilità del reato di corruzione per l’esercizio della funzione, non rileva tanto il singolo importo, quanto la sistematicità dei favoritismi. La Corte ha evidenziato come le richieste di denaro e le agevolazioni fossero reiterate, dimostrando l’esistenza di un “più ampio patto affaristico”. L’imputata aveva messo a disposizione le sue funzioni in cambio di una remunerazione per ogni pratica, trasformando un rapporto istituzionale in uno commerciale illecito.

La Precisione del Capo d’Imputazione e il Diritto di Difesa

In merito alla presunta genericità dell’accusa e al difetto di correlazione con la sentenza, la Corte ha ribadito un principio fondamentale: la valutazione non deve essere puramente letterale. Ciò che conta è se l’imputato, attraverso l’iter processuale e gli atti a sua disposizione, sia stato messo in condizione di comprendere appieno l’oggetto dell’accusa e di difendersi concretamente. Nel caso di specie, il fatto che la condanna abbia precisato, in senso restrittivo, la natura dell’attività illecita (agevolazione anziché certificazione diretta) non ha costituito una trasformazione radicale dell’accusa, ma una sua fisiologica precisazione emersa durante il dibattimento, senza pregiudicare il diritto di difesa.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto infondato il primo motivo di ricorso, spiegando che i favoritismi reiterati e sistematici, uniti alle richieste di denaro, escludono l’ipotesi del donativo liberale e di modico valore. Tali condotte, nel loro insieme, qualificano ogni dazione come un segmento esecutivo di un più ampio patto corruttivo, in cui la funzionaria metteva a disposizione le proprie funzioni in cambio di una remunerazione costante. Per quanto riguarda il secondo e il terzo motivo, i giudici hanno sottolineato che l’imputata ha avuto la concreta possibilità di esplicare una compiuta difesa lungo tutto il processo. La contestazione iniziale, sebbene ampia, è stata precisata nel corso del dibattimento senza alterarne gli elementi essenziali, garantendo un pieno contraddittorio. Infine, il motivo sull’inutilizzabilità delle intercettazioni è stato giudicato infondato poiché tali dialoghi non erano stati utilizzati dai giudici di merito per fondare la decisione.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce con forza un principio cruciale nella lotta alla corruzione: la sistematicità di una condotta illecita è un indice rivelatore di un accordo corruttivo, anche quando le singole dazioni di denaro sono di modesto importo. Non è possibile mascherare un mercimonio della funzione pubblica dietro la scusa di piccoli regali o gesti di cortesia. La decisione, inoltre, conferma che la validità di un’imputazione si misura sulla sua capacità di garantire un effettivo diritto di difesa, piuttosto che su una pedissequa corrispondenza letterale con i fatti accertati in sentenza.

Un piccolo regalo a un funzionario pubblico può essere considerato corruzione?
Sì, se i doni, anche di modico valore, sono sistematici e reiterati. La Cassazione chiarisce che la ripetitività trasforma i singoli gesti in segmenti di un unico patto corruttivo, escludendo la natura di semplice liberalità.

Cosa succede se la condanna riguarda un fatto leggermente diverso da quello contestato inizialmente?
La condanna è valida se non vi è una trasformazione radicale del fatto che pregiudichi il diritto di difesa. Se l’imputato ha avuto la concreta possibilità di difendersi sull’oggetto dell’imputazione durante tutto il processo, una precisazione del fatto emersa in dibattimento non determina la nullità della sentenza.

Perché la Cassazione ha considerato i pagamenti sistematici e non singoli donativi?
Perché la Corte ha ravvisato l’esistenza di un “più ampio patto affaristico”. La condotta della funzionaria, che sollecitava attivamente ulteriori pratiche e riceveva pagamenti per ciascuna, dimostrava che aveva stabilmente messo a disposizione le sue funzioni istituzionali in cambio di una remunerazione, configurando così il reato di corruzione per l’esercizio della funzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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