Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 12364 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 12364 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato il 01/01/1983
avverso la sentenza del 04/07/2024 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
letta la memoria del difensore del ricorrente, avv. NOME COGNOME che ha concluso insistendo nel ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Milano ha confermato la pronunzia del GUP del Tribunale di Milano del 29.11.2023 che condannava NOME COGNOME alla pena ritenuta di giustizia per i reati ascritti ai capi b), d) ed f) qualificati i fatti nei reati di cui agli artt.477 e 4 proc. pen., di concorso nella formazione delle carte di identità false sulle quali
erano riportate le generalità di altri soggetti ed apposta la fotografia dell’imputato, inoltrandole agli istituti di credito per l’apertura di conti corre online.
Contro l’anzidetta sentenza, l’imputato propone ricorso a mezzo del difensore di fiducia Avv. NOME COGNOME affidato ad un unico motivo sintetizzato ai sensi dell’art.173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1 n primo ed unico motivo di ricorso lamenta inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 lett. c) cod. proc. pen in relazione agli artt.521 e 522 cod. proc. pen. per inosservanza del principio di correlazione tra imputazione e sentenza in punto di diversità del fatto storico per il quale è stata emessa la condanna (art.489 cod. pen. in relazione all’art.477 cod. pen.) rispetto al fatto contestato (artt.477 e 482 cod. pen.) in cui è escluso il concorso nella falsità, nonché per violazione del diritto di difesa in sede di udienza preliminare per mancata ottemperanza agli adempimenti di cui all’art.423 bis cod. proc. pen. per procedere alla eventuale modifica del capo di imputazione, deducendo che l’imputato non avrebbe potuto difendersi da un’ipotesi accusatoria non contestata ricavabile dalla mera dicitura “era apposta la sua fotografia”, nonché deducendo vizio di omessa motivazione sul punto e contestando la confessione dell’imputato circa il delitto di falsificazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine
all’oggetto dell’imputazione (Sez. Un. n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv 248051; Sez. Un. n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv 205620).
2.1 L’art.489 cod. pen. nel punire la condotta di chi fa uso di un atto falso contiene la clausola senza essere concorso nella falsità. La fattispecie di uso di una falsa carta di identità (oggetto dell’imputazione a carico del ricorrente) si pone dunque in rapporto di alternatività rispetto a quella di contraffazione o alterazione di una carta di identità di cui agli artt.477 e 482 cod. pen., ritenuta dai giudici di merito. Rilievo, questo, che, sotto un primo profilo, rende ragione della considerazione della vicenda qualificatoria in esame in termini di mutamento del fatto rilevante ex art. 522 cod. proc. pen.
Tuttavia, correttamente argomenta la sentenza impugnata, richiamando il principio secondo il quale tra le due fattispecie vi un rapporto di progressione criminosa e l’uso dell’atto falso ha una sua rilevanza e punibilità autonoma laddove il soggetto non sia concorso nella falsificazione o non sia punibile, ma quando vi sono elementi univoci circa la riferibilità della contraffazione all’imputato (nella specie contestati ab origine, sin dal primo atto portato a conoscenza del ricorrente, ossia la espressa indicazione del fatto che i documenti falsi riportassero la fotografia ritraente la effigie dell’imputato dallo stess fornita) si è ritenuto doversi contestare la sola contraffazione anche quando il contraffattore abbia pure fatto uso del documento contraffatto.
La clausola contenuta nell’art.489 cod. pen. è volta proprio ad evitare il contestuale addebito dei due reati c:G3 cui conseguirebbe la violazione del principio del ne bis in idem sostanziale.
2.2. Questa Corte ha avuto modo di affermare che non sussiste difetto di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata nel caso in cui l’imputato, al quale sia stata originariamente contestata la falsificazione materiale del documento, venga invece condannato per uso di atto falso, in quanto l’art. 489 cod. pen. prevede una condotta, quella di uso, che delle condotte di falsificazione costituisce una progressione criminosa, essendo punibile autonomamente solo se commessa da chi non abbia partecipato alla falsificazione o comunque per la falsificazione non sia punibile, sicché al contraffattore viene contestata solo la contraffazione, anche quando abbia fatto pure uso del documento contraffatto, ma ciò non esclude che l’uso rimanga comunque contestato in fatto, quale elemento concreto della vicenda criminosa (Sez. 5, n. 42649 del 14/10/2004, COGNOME, Rv. 230265).
Ebbene, tale progressione, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale, può ravvisarsi nell’ipotesi, per così dire, “simmetrica”, in cui all’imputato sia stata contestata la fattispecie di uso dell’atto falso e la stessa venga riqualificata nel reato di falso; in quest’ultima ipotesi, infatti, il reat
uso di atto falso si pone, come si è visto, in rapporto di alternatività con quello di falso, il che esclude che l’imputazione avente ad oggetto il primo comporti la contestazione in fatto del secondo.
Al riguardo, può invocarsi, al fine di escludere la violazione del principio di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, l’insussistenza di lesioni al diritto di difesa e al contraddittorio. Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell’art. 111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti di difesa derivante dai profili di novità che da que mutamento scaturiscono; la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, infatti, «ha in più occasioni escluso la violazione dei parametri convenzionali in tutti i casi in cui la prospettiva della nuova definizione giuridica fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato, censurando, in concreto, le ipotesi in cui la riqualificazione dell’addebito avesse assunto le caratteristiche di atto a sorpresa» (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264438; Sez. 5, Sentenza n. 12599 del 20/12/2016, dep. 2017, Rv. 269708 – 01). Nel caso di specie, la questione dell’attribuzione all’imputato della condotta di falso emerge dalla sentenza di primo grado e da quella d’appello, i riferimenti a detta attribuzione sono, nell’una e nell’altra, svolti nel senso di ritenerla inclusa: la sentenza di primo grado, infatti, rileva esplicitamente che «fornendo la propria effigie fotografica COGNOME concorreva alla formazione dell’atto falso e non si limitava a farne uso», e che la contestazione della sola condotta d’uso dell’atto falso non appare alternativa a quella della partecipazione (anche solo a titolo di concorso) alla creazione del medesimo documento. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Ritiene la Corte che la riqualificazione operata dai giudici di merito non ha assunto le caratteristiche di un atto a sorpresa, per essere la circostanza che ai documenti falsi utilizzati dall’imputato era apposta la sua fotografia, e dunque la falsificazione del documento, anziché il mero uso, ab origine contestata in fatto e, dunque, logicamente prevedibile dall’imputato quale progressione criminosa, non ostando al passaggio dall’una all’altra fattispecie neppure la struttura della disposizione normativa contestata; né ha neppure rappresentato un fatto a sorpresa bensì una riqualificazione di circostanze di fatto ampiamente note e contestate sin dal primo atto a conoscenza dell’imputato ed accertate incontrovertibilmente dalle indagini svolte sui documenti, circostanza,
comunque, ammessa da sempre dal COGNOME in sede di dichiarazioni spontanee, e sulla quale ha avuto modo di difendersi.
Parimenti corretta la valutazione di utilizzabilità delle dichiarazioni spontanee liberamente rese dal ricorrente alla PG. ai sensi dell’art. 350, comma 7, cod. proc. pen., attesa la scelta del rito.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19/12/2024.