Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 13827 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 13827 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PAZIENZA VITTORIO
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
Sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Locri il DATA_NASCITA avverso la sentenza emessa il 20/04/2022 dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 20/04/2022, la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza di condanna alla pena di giustizia emessa con rito abbreviato dal G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria, in data 15/06/2012, con la quale COGNOME NOME era stato condannato alla pena di giustizia in relazione al delitto di cui agli artt. 56 cod. pen., 73 d.P.R. n. 309 del 1990 (cos diversamente qualificata l’imputazione di cui all’art. 74 del medesimo d.P.R.).
Ricorre per cassazione il COGNOME, a mezzo del proprio difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al difetto di correlazione tra accusa e sentenza vanamente denunciato in appello.
Si censura la sentenza per non aver tratto le necessarie conclusioni dal precedente giurisprudenziale pur correttamente evocato, dal momento che diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale – l’imputazione associativa ascritta al COGNOME non conteneva alcuna contestazione di violazioni dell’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, né – tanto meno – alcun richiamo alla condotta di tentata cessione per cui vi era stata condanna in primo grado. Si censura altresì il richiamo alla sentenza che aveva definito la posizione di COGNOME NOME, fratello del ricorrente, in quanto la questione oggetto dell’odierno ricorso non aveva formato oggetto, in quella sede, di alcuna doglianza da parte della difesa.
Con requisitoria ritualmente trasmessa, il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO sollecita il rigetto del ricorso, per l’infondatezza della censura alla luce anche del fatto che nessun pregiudizio si era in concreto verificato per i diritti di difesa.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Come già accennato in precedenza, l’unico motivo di doglianza proposta nell’interesse del COGNOME concerne la prospettata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza.
In particolare, la difesa ha sostenuto che – con la condanna per il delitto di tentata cessione di sostanze stupefacenti, a fronte di un’imputazione associativa – i giudici di merito avessero fatto una erronea applicazione del principio, affermato da questa Suprema Corte, secondo cui «non v’è correlazione tra accusa e sentenza ove il giudice, a fronte di un’imputazione di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di ogni genere, pronunci condanna per il reato continuato di spaccio di sostanze stupefacenti, senza che nell’imputazione siano indicati nelle loro componenti fattuali e soggettive, sia pure sommariamente, i singoli episodi di spaccio, o di detenzione a fini di spaccio, specie se l’imputazione non contenga alcun riferimento alla commissione, ad opera dell’associazione, di alcuno dei reati fine» (Sez. 6, n. 7893 del 06/12/2017, dep. 2018, Mira, Rv. 272269 – 01).
2.1. La Corte d’Appello ha disatteso la prospettazione difensiva, con argomentazioni che, ad avviso di questo Collegio, devono essere condivise.
Va invero evidenziato che, nella concreta fattispecie in esame, l’imputazione ascritta anche all’odierno ricorrente, relativa alla partecipazione ad un sodalizio finalizzato al narcotraffico, risulta formulata non già con un richiamo meramente astratto e programmatico ai reati-fine, ma con un chiaro riferimento a condotte
illecite già poste in essere. Si legge infatti, nel capo B), che il COGNOME e gli altri imputati sono stati accusati di essersi associati allo scopo di commettere più delitti di cui all’art. 73 T.U. Stup., “ed in specie per avere – senza l’autorizzazio di cui all’art. 17 stesso Testo Unico – acquistato, importato, trasportato, ceduto o ricevuto a qualsiasi titolo, venduto, consegnato per fini illeciti o comunque illecitamente detenuto ingenti quantità di sostanze stupefacenti del tipo eroina e/o cocaina, provenienti da paesi esteri ed in specie dalla Turchia ed illegalmente introdotte nel territorio nazionale”.
A tale prima indicazione – ancora insufficiente ai fini che qui rilevano, e tuttavia chiaramente “orientata” verso l’effettiva commissione di condotte di narcotraffico di sostanze per lo più provenienti dalla Turchia – si aggiunge poi la specificazione delle condotte contestate a COGNOME NOME (fratello del ricorrente, la cui posizione è stata da tempo definita con sentenza irrevocabile) e COGNOME NOME, tratti a giudizio per avere, nella qualità di promotori e organizzatori “di un illecito traffico di sostanze stupefacenti illecitamente importate da paesi stranieri – e segnatamente dalla Turchia – mantenuto costanti contatti con COGNOME NOME, COGNOME NOME (deceduto) e COGNOME NOME (deceduto), così occupandosi della ricezione e della commercializzazione di dette sostanze”.
2.2. È in tale contesto che deve essere valutata la condotta per la quale è intervenuta la condanna del COGNOME, relativa appunto al tentativo di cessione al COGNOME di sostanza stupefacente. Una condotta agevolmente riconducibile allo schema delineato nel capo di imputazione (qui poc’anzi richiamato), in relazione alla quale il COGNOME ha ampiamente esercitato i propri diritti di difesa, sia con riferimento alla propria individuazione quale interlocutore del COGNOME, sia in ordine alla possibilità di configurare il tentativo di cessione, pur in assenza di immediata disponibilità della sostanza (cfr. sul punto pag. 14 segg. della sentenza impugnata). in e o
4.1 44% n 13
La decisione della Corte territoriale non appare dunqueVrispetto al principio giurisprudenziale qui in precedenza ricordato. Estremamente significativo, al riguardo, appare del resto il fatto che alle medesime conclusioni è giunta altra pronuncia di questa Suprema Corte (Sez. 3, N. 31295 del 04/05/2019, COGNOME), relativa ad una fattispecie sostanzialmente sovrapponibile a quella in esame, il cui percorso argomentativo è opportuno qui riportare: “Al riguardo, ritiene innanzitutto il Collegio che la riqualificazione operata dalla Corte di appello (art 56, 110 cod. pen., 73, d.P.R. n. 309 del 1990, in luogo del contestato art. 74, stesso decreto) non possa esser di per sé censurata, come invece richiesto nell’impugnazione, risultando in linea con la costante giurisprudenza di legittimità; a mente della quale, invero, non v’è correlazione tra accusa e sentenza ove il giudice, a fronte di un’imputazione di partecipazione ad un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di ogni genere, pronunci condanna per il reato continuato di spaccio di sostanze stupefacenti, senza che nell’imputazione siano indicati nelle loro componenti fattuali e soggettive, sia pure
sommariamente, i singoli episodi di spaccio, o di detenzione a fini di spaccio, specie se l’imputazione non contenga alcun riferimento alla commissione, ad opera dell’associazione, di alcuno dei reati fine (per tutte, Sez. 6, n. 7893 del 6/12/2017, Mira, Rv. 272269; Sez. 5, n. 14991 del 12/1/2012, COGNOME, Rv. 252324). Ebbene, tale ultima ipotesi – che sola osta alla riqualificazione in esame – deve essere nettamente esclusa nel caso di specie, atteso che aljz ricorrente era contestata (capo A) la promozione e direzione di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e, più in particolare, di aver intavolato trattative concorso con GRAGIONE_SOCIALE., RAGIONE_SOCIALE e B. RAGIONE_SOCIALE. – con soggetti colombiani rimasti ignoti per far giungere in Italia, proveniente dalla Colombia ed attraverso la Spagna, un ingente quantitativo di cocaina; esattamente la condotta che – unica – è stata riconosciuta dalla Corte di appello, così riqualificando l’intero per una sua parte, il reat consumato per un’ipotesi particolare tentata. Sulla quale condotta ab origine contenuta nella più ampia rubrica – pieno è stato dunque l’esercizio del diritto difensivo, dovendosi quindi escludere l’ipotesi del fatto diverso da quello contestato, come invece si legge nel ricorso»
Le considerazioni fin qui svolte impongono il rigetto del ricorso, e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 16 febbraio 2023
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Il Presidente