Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 21761 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21761 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROSSANO il 05/12/1961
avverso la sentenza del 19/11/2024 della CORTE APPELLO di CATANZARO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME
ritenuto che l’unico motivo di ricorso, con cui si contesta la violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza, oltre che manifestamente infondato, risulta anche privo dei requisiti richiesti a pena di inammissibilità del ricorso dall’art. 591, comma 1, cod. proc. pen., perché riproduttivo di censure infondate in fatto e in diritto, già prospettate in appello e già congruamente esaminate e disattese dalla Corte territoriale, con congrue e corrette argomentazioni giuridiche, dovendosi le stesse considerarsi non specifiche ma solamente apparenti;
che, infatti, il suddetto principio può ritenersi violato unicamente in caso di assoluta e reale difformità tra l’accusa e la statuizione del giudice, nel senso che, «In tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione» (così, Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051; conformemente poi, ex multis: Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946; Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284427 – 01; Sez. 2 n. 21089 del 29/03/2023, COGNOME, Rv. 284713 – 02);
che, in conclusione, applicando tali principi al caso in esame, deve ritenersi che i giudici di appello, con una congrua e non illogica motivazione (si vedano le pagg. 3 e 4 della impugnata sentenza), confermando la decisione del giudice di primo grado, abbiano correttamente affermato la responsabilità dell’odierno ricorrente per il reato di cui agli artt. 633-639-bis cod. pen., a fronte della chiara deducibilità della natura pubblica dell’area oggetto di occupazione abusiva dalla descrizione del capo di imputazione, nonostante l’omessa espressa indicazione dell’art. 639-bis cod. pen.;
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 23 maggio 2025.