Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30544 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30544 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Piedimonte Matese il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/03/2023 della Corte d’appello di Venezia visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto AVV_NOTAIO Generale NOME COGNOME, il quale ha chiesto che il ricorso sia rigettato;
lette le conclusioni dell’AVV_NOTAIO, difensore di COGNOME NOME, il quale ha insistito nei motivi di ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24/03/2023, la Corte d’appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del 14/10/2021 del Tribunale di Treviso: a) dichiarava non doversi procedere nei confronti di NOME COGNOME per essere il reato (di appropriazione indebita di un’autovettura RAGIONE_SOCIALE) estinto per prescrizione; b) confermava la condanna di NOME COGNOME alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per lo stesso reato di appropriazione indebita, in concorso con lo COGNOME.
Avverso tale sentenza del 24/03/2023 della Corte d’appello di Venezia, ha proposto ricorso per cessazione, per il tramite del proprio difensore, NOME COGNOME, affidato a quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 521 e 522 dello stesso cod
Il ricorrente premette che: a) egli era stato rinviato a giudizio per rispondere, in concorso con NOME COGNOME, del reato di riciclaggio, per avere compiuto delle operazioni, consistite in successivi passaggi di proprietà dell’autovettura RAGIONE_SOCIALE, dirette a ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della stessa autovettura, in quanto proveniente dal delitto di appropriazione indebita commesso da NOME COGNOME, condotte che sarebbero state commesse «in data successiva al 30.07.2014 e antecedente al 29/08/2014»; b) a dispetto di tale contestazione, il Tribunale di Treviso lo aveva condannato per il diverso reato di appropriazione indebita, commesso in concorso con lo COGNOME, mediante una condotta che sarebbe stata posta in essere nel marzo 2014 e finalizzata non a ostacolare l’individuazione della provenienza delittuosa del bene, in accordo con il COGNOME, ma ad appropriarsi dello stesso bene, in accordo con lo Zan.
Ciò premesso, il ricorrente contesta il rigetto, da parte della Corte d’appello di Venezia, del proprio motivo di appello con il quale aveva lamentato il difetto di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza del Tribunale di Treviso.
Nel richiamare Sez. 2, n. 30027 del 15/06/2021, COGNOME, Rv. 281810-01, il ricorrente sostiene anzitutto che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello di Venezia, secondo cui «non si è verificata una riqualificazione “a sorpresa”», la condanna, all’esito del dibattimento, per il presupposto reato di appropriazione indebita non si poteva ritenere uno sviluppo prevedibile del processo, atteso che il fatto che gli «fosse stato attribuito un segmento della vicenda criminosa consistito nella cessione a terzi dell’autovettura, già definitivamente sottratta all’avente diritto», lo aveva indotto a impostare la propria difesa sull’insussistenza del reato di riciclaggio, senza alcun interesse e, quindi, necessità, di dimostrare la propria estraneità rispetto alla condotta appropriativa che era stata contestata al solo Zan. Il fatto che, nell’imputazione, gli fosse stata contestata esclusivamente una condotta successiva al perfezionamento del reato di appropriazione indebita – con la conseguenza che egli era stato perciò «chiamato a chiarire le sole ragioni della successiva cessione della vettura a COGNOME» – emergerebbe dalla stessa sentenza impugnata, là dove la Corte d’appello di Venezia afferma che «alla lettura del capo d’imputazione originariamente ascritto al COGNOME (in concorso con COGNOME) emerge con nitidezza il passaggio di mani della RAGIONE_SOCIALE da Zan RAGIONE_SOCIALE a COGNOME e da questi a COGNOME».
Il ricorrente sostiene poi, in secondo luogo, che, diversamente da quanto affermato dalla Corte d’appello di Venezia – secondo cui «detta riqualificazione non ha avuto alcun effetto negativo per l’imputato cui è stato ascritto un reato di minore gravità» – la violazione della necessaria correlazione tra l’imputazione
contestata e la sentenza non potrebbe «risultare “scriminata” dal fatto che il diverso reato ritenuto nella decisione sia meno grave rispetto a quello inizialmente contestato».
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) , cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 120 «e segg.» cod. pen. e dell’art. 337 cod. proc. pen. e, in relazione all’art 606, comma 1, lett. e) , cod. proc. pen., la mancanza della motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza di una valida e tempestiva querela.
Il ricorrente premette che: a) l’automobile RAGIONE_SOCIALE oggetto di appropriazione indebita era di proprietà di RAGIONE_SOCIALE; b) tale automobile era detenuta da RAGIONE_SOCIALE, di cui era legale rappresentante NOME COGNOME, con divieto contrattuale di sub-locazione; c) il COGNOME aveva sporto due querele, la prima il 19/08/2014 in proprio e la seconda il 02/01/2015 in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente premette altresì che, nel proprio atto di appello, aveva dedotto che: a) né RAGIONE_SOCIALE né RAGIONE_SOCIALE si potevano ritenere legittimati a sporgere querela «perché aventi la semplice detenzione del bene, tanto più in quanto l’auto era stata ceduta allo Zan in palese violazione della clausola di divieto di sub-locazione» (così il ricorso), sicché unico titolare del diri di querela si doveva reputare la proprietaria dell’autovettura RAGIONE_SOCIALE; b) in ogni caso, si doveva escludere la legittimazione di NOME COGNOME in proprio a sporgere la querela del 19/08/2014; c) anche ad ammettere la legittimazione a sporgere querela di una tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, la querela proposta da queste due società il 02/01/2015 si doveva ritenere tardiva, atteso che il COGNOME, almeno dal 19/08/2014 – cioè dalla data di presentazione della prima querela da lui proposta – «era ben consapevole di tutti gli estremi del reato che avrebbe denunciato, quale legale rappresentante, nel successivo mese di gennaio».
Ciò premesso, il ricorrente contesta il rigetto del motivo di appello con il quale aveva denunciato il difetto, per le ragioni che si sono appena esposte, di una valida e tempestiva querela, lamentando in particolare che – col motivare che sarebbe stato «indubitabile che il COGNOME fosse legittimato a proporre querela anche quale persona fisica, essendo egli persona offesa dal reato; e ancorché non essendo egli proprietario dell’autovettura» – la Corte d’appello di Venezia non avrebbe chiarito né perché il detentore del bene diverso dal proprietario si dovesse ritenere legittimato a proporre querela nel caso di specie in cui il detentore RAGIONE_SOCIALE «aveva ceduto la vettura allo Zan pur in presenza di un espresso divieto di sub-locazione», né perché il COGNOME si dovesse reputare legittimato a proporre
querela anche come persona fisica, nonostante l’automobile fosse detenuta da RAGIONE_SOCIALE
Il ricorrente ribadisce che l’unico soggetto titolare del diritto di querela s doveva ritenere, al più, RAGIONE_SOCIALE, la cui querela del 02/01/2015, tuttavia, per le indicate ragioni già esposte nell’atto di appello, si doveva ritener tardiva.
Il COGNOME denuncia anche il carattere apparente della motivazione là dove la Corte d’appello di Venezia, a sostegno del proprio assunto, ha trascritto alcuni principi affermati dalla Corte di cassazione in tema di fonte del potere di rappresentanza del legale rappresentante di società, atteso che egli non aveva avanzato alcuna contestazione a tale riguardo.
2.3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione degli artt. 110 e 646 cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione, con riguardo all’affermazione della sua responsabilità per il reato di appropriazione indebita in concorso.
Dopo avere richiamato i motivi che aveva addotto nel proprio atto di appello a sostegno della necessità di una pronuncia assolutoria – nei quali aveva in particolare evidenziato i riscontri che l’istruttoria dibattimentale avrebbe fornit alla versione fatti che egli aveva esposto nel corso del proprio esame dibattimentale (pagg. 9-11 del ricorso) – il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Venezia, nel motivare la conferma dell’affermazione della sua responsabilità, si sarebbe limitata a rinviare acriticamente alla motivazione della sentenza di primo grado, senza dare alcuna specifica risposta alle suddette doglianze difensive avanzate nell’atto di appello, le quali non erano state valutate neanche dal Tribunale di Treviso, così illegittimamente ignorando le stesse doglianze o, comunque, confutandole con una motivazione meramente apparente.
2.4. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’inosservanza o l’erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen. e, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., la mancanza della motivazione, con riguardo alla conferma dell’applicazione della recidiva.
Sotto un primo profilo, il COGNOME lamenta che la Corte d’appello di Venezia, nel confermare l’attribuzione di tale circostanza aggravante, si sarebbe limitata a riprendere la motivazione della sentenza di primo grado, senza dare risposta alle doglianze che erano state avanzate nel proprio atto di appello, e avrebbe perciò fondato la ritenuta maggiore pericolosità dell’imputato sul mero richiamo ai suoi precedenti penali, senza che sia «dato comprendere le ragioni (per l’appunto, non specificate) per le quali reati quali il commercio di prodotti con segni falsi o stessa calunnia rivelassero una particolare capacità a delinquere» e richiamando
dei precedenti penali relativi a reati che erano stati commessi circa 10 anni prima e, quindi, come era stato evidenziato sempre nell’atto di appello, lontani nel tempo. Da ciò il carattere asseritamente apparente della motivazione.
Sotto un secondo profilo, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Venezia, interpretando erroneamente l’art. 99 cod. pen., abbia considerato dei reati che, ancorché commessi prima di quello di appropriazione indebita sub iudice, erano stati accertati con delle sentenze che erano divenute irrevocabili dopo la commissione di quest’ultimo reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la sua condanna, da parte del Tribunale di Treviso, per il reato di appropriazione indebita dell’autovettura RAGIONE_SOCIALE, pur a fronte di un rinvio a giudizio per il reato di riciclaggio della ste autovettura, non si può ritenere integrare una violazione del principio della correlazione tra accusa e sentenza.
In proposito, la Corte di cassazione ha chiarito che non sussiste violazione di tale principio nel caso in cui nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto sentenza, posto che l’immutazione si verifica solo laddove ricorra tra i due episodi un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, messo così, a sorpresa, di fronte a un fatto del tutto nuovo senza avere avuto nessuna possibilità d’effettiva difesa (Sez. 2, n. 10989 del 28/02/2023, COGNOME, Rv. 284427-01; Sez. 6, n. 17799 del 06/02/2014, M., Rv. 260156-01).
La stessa Corte di cassazione ha altresì affermato che l’osservanza del diritto al contraddittorio in ordine alla natura e alla qualificazione giuridica dei fatti di l’imputato è chiamato a rispondere, sancito dall’art. 111, terzo comma, Cost., e dall’art. 6 CEDU, commi primo e terzo, lett. a) e b), così come interpretato nella sentenza della Corte EDU nel proc. Drassich c, Italia, è assicurata anche quando il giudice di primo grado provveda alla riqualificazione dei fatti direttamente in sentenza, senza preventiva interlocuzione sul punto, in quanto l’imputato può comunque pienamente esercitare il diritto di difesa proponendo impugnazione (Sez. 4, n. 49175 del 13/11/2019, D., Rv. 277948-01; Sez. 3, n. 2341 del 07/11/2012, dep. 2013, Manara, Rv. 254135-01).
Inoltre, in tema di correlazione tra accusa e sentenza, non è configurabile la violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. qualora la diversa qualificazione giuridica del fatto appaia conformemente all’art. 111 cost. e all’art. 6 C:EDU come uno dei
possibili epiloghi decisori del giudizio, secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile, in relazione al quale l’imputato e il suo difensore abbiano avuto nella fase di merito la possibilità di interloquire in ordine a contenuto dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione (Sez. 2, 46786 del 24/10/2014, Borile, Rv. 261052-01).
Il Collegio non ignora la sentenza di questa Sezione seconda, invocata dal ricorrente, n. 30027 del 15/06/2021, COGNOME, cit., secondo cui: «MI reato di riciclaggio si pone in termini di incompatibilità con i reati presupposti, po che, per rispondere del primo, occorre non avere commesso il reato presupposto, come reso evidente dalla clausola di riserva, espressa dall’art. 648 bis c.p. La condanna per i reati presupposti non è uno sviluppo prevedibile del fatto originariamente contestato, ma corrisponde quindi a una sostanziale immutazione del fatto».
Si deve tuttavia anzitutto considerare che, nel caso qui in esame, la riqualificazione del fatto è avvenuta non in sede di appello, come nella fattispecie che aveva costituito oggetto della sentenza COGNOME, ma in primo grado, con la conseguenza che l’imputato ha senz’altro potuto esercitare il proprio diritto di difesa avverso la stessa riqualificazione proponendo appello.
In secondo luogo, si deve evidenziare come la stessa sentenza COGNOME, subito dopo le frasi che si sono riportate sopra, avesse però aggiunto: «è, peraltro, l’iter concreto di svolgimento del processo ha evidenziato la prevedibilità della qualificazione operata dalla Corte d’appello, atteso che sia la sentenza di primo grado che l’appello della Parte pubblica, oltre alle difese del ric:orrente, erano tut incentrati sulla sussistenza o meno del delitto di riciclaggio, senza alcun riferimento ai reati presupposti, pacificamente non attribuibili al ricorrente».
Orbene, nel caso qui in esame, dalla lettura del capo d’imputazione, posto a confronto con il contenuto della sentenza del Tribunale di Treviso, risulta come le condotte che sono state attribuite all’imputato dallo stesso Tribunale siano, dal punto di vista fattuale, le stesse che erano state oggetto dell’imputazione, semplicemente, diversamente qualificate.
Nel capo d’imputazione si contestava al COGNOME di avere acquistato, senza documentazione contrattuale e/o contabile, l’autovettura RAGIONE_SOCIALE dallo Zan, che ne era il locatario, e di averla poi venduta a NOME COGNOME, sulla base di falsi documenti e senza documentazione bancaria che attestasse la regolarità della compravendita.
Il Tribunale di Treviso non ha variato tali elementi di fatto ma li ha, come si è anticipato, semplicemente riqualificati, con la conseguenza che si deve escludere che l’imputato si sia trovato, a sorpresa, davanti a un fatto costitutivo del reato,
ritenuto in sentenza, del tutto nuovo, rispetto al quale non si sia potuto effettivamente difendere nel corso del dibattimento.
Il Tribunale di Treviso ha infatti accertato che la cessione dell’autovettura RAGIONE_SOCIALE dal COGNOME al COGNOME risaliva, sulla base della relativa fattura di vendita, a 28/04/2014, sicché essa era antecedente al termine finale di scadenza del contratto tra lo RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE,, il che ha indotto lo stesso Tribunale (e, poi, anche la Corte d’appello di Venezia), a ritenere che lo Zan non avesse alcun interesse alla locazione dell’autovettura ma si fosse accordato sin dall’inizio con il COGNOME per acquisirne la disponibilità e cederla a terzi senza il consenso né della società proprietaria (RAGIONE_SOCIALE) né della società titolar del contratto di leasing (RAGIONE_SOCIALE).
Si deve quindi escludere che la sentenza del Tribunale di Treviso abbia operato una reale trasformazione, sostituzione o variazione del contenuto essenziale della contestazione che era stata inizialmente mossa nei confronti del COGNOME e che questi sia stato perciò messo, a sorpresa, davanti a un fatto del tutto nuovo, rispetto al quale non abbia avuto la possibilità di difendersi.
Del resto, il ricorrente non risulta indicare alcuna concreta circostanza che possa condurre a ritenere che la censurata riqualificazione del fatto abbia effettivamente vulnerato il suo diritto di difesa e, soprattutto, l’esercizio del s diritto alla prova.
Il denunciato vizio di inosservanza degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. si deve pertanto ritenere manifestamente insussistente.
Il secondo motivo è manifestamente infondato, dovendosi ritenere la validità, oltre che la non contestata tempestività, della querela che fu sporta i 19/08/2014.
Ciò, in primo luogo, per la ragione che, in tale atto di querela a firma di NOME COGNOME, si legge: «ono un noleggiatore di autovetture. In data 17.03.2014 si è presentato presso la nostra sede di Castelfranco Veneto in INDIRIZZO denominata RAGIONE_SOCIALE ».
Alla luce del tenore di tale atto, risulta del tutto evidente c:ome il COGNOME, p non indicando espressamente la sua qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, si identifichi in realtà con tale società, come emerge, in modo palese, sia dalla sua qualificazione come «noleggiatore di autovetture», sia dall’indicazione secondo cui lo COGNOME si era presentato «presso la nostra sede di Castelfranco Veneto denominata RAGIONE_SOCIALE».
Pertanto, la querela del 19/08/2014 si deve ritenere essere stata proposta dal COGNOME anche quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE
A tale proposito, si deve rammentare che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, che è condivisa dal Collegio: a) anche la società noleggiatrice
si deve ritenere legittimata a sporgere querela nei confronti del soggetto che non restituisca il bene al termine del periodo che era stato concordato con lo stesso noleggiatore (Sez. 2, n. 26805 del 16/04/2009, Di Ilio, Rv. 244713-01), legittimazione che non si può ritenere venire meno – diversamente da quanto è sostenuto dal ricorrente – per il fatto che il noleggio possa essere avvenuto in violazione di (peraltro, meramente asseriti) accordi con il proprietario del bene; b) l’omessa indicazione, nella querela proposta dal rappresentante legale di una società di RAGIONE_SOCIALE, della fonte dei poteri di rappresentanza non ne determina la nullità, atteso che l’esercizio del diritto di querela, in mancanza di uno specific divieto statutario o assembleare, rientra fra i compiti del rappresentante legale, ma, nel caso in cui l’effettiva titolarità di tale potere venga formalmente contestata, il giudice è tenuto a procedere alla verifica in concreto della sua sussistenza (Sez. 2, n. 29588 del 04/04/2019, COGNOME, Rv. 277494-01), contestazione che, nel caso di specie, non risulta essere stata avanzata.
In secondo luogo – e in ogni caso – si deve reputare corretta la tesi della Corte d’appello di Venezia della legittimazione di NOME COGNOME a sporgere querela anche in proprio, atteso che questi si doveva ritenere anch’egli titolare di una detenzione qualificata dell’automezzo, la quale è senz’altro compresa nel bene giuridico che è protetto dal reato di appropriazione indebita.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Al riguardo, si deve anzitutto ribadire il principio, affermato dalla Corte d cassazione e condiviso dal Collegio, secondo cui è legittima la motivazione per relationem della sentenza di secondo grado, che recepisce in modo critico e valutativo quella impugnata, limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni aspetti del complesso probatorio oggetto di contestazione da parte della difesa, ed omettendo di esaminare quelle doglianze dell’atto di appello che avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice (Sez. 2, n. 19619 del 13/02/2014, NOME, Rv. 259929-01).
Inoltre, anche con riguardo alla lamentata omessa valutazione di doglianze difensive che erano state prospettate nell’atto di appello, si deve ribadire altresì che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu °culi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. LI, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794-01).
Nel caso in esame, come si è già accennato esaminando il primo motivo, le concordi sentenze dei giudici di merito hanno ritenuto la responsabilità del COGNOME per il reato di appropriazione indebita dell’automobile RAGIONE_SOCIALE a lui attribuito sulla base del fatto che, come risultava dalla relativa fattura di vendita del 28/04/2014, la cessione di tale autovettura da parte dello stesso COGNOME a NOME COGNOME era antecedente rispetto al termine finale del contratto tra lo Zan e RAGIONE_SOCIALE (31/07/2014), dal che si doveva logicamente desumere che il suddetto COGNOME non avesse alcun interesse ad avere l’automobile in locazione, ma si fosse invece accordato, fin dall’inizio, con il COGNOME per acquisirne la disponibilità e cederla poi terzi senza il consenso né della società proprietaria (RAGIONE_SOCIALE) né della società titolare del contratto di leasing (RAGIONE_SOCIALE). Inoltre, il reato di appropriazione indebita, che si era consumato mercé la cessione a terzi dell’automobile, non si poteva ritenere venire meno per il fatto che il COGNOME, ai primi di agosto del 2014, avesse contattato il COGNOME offrendogli di pagare i residui canoni di locazione per arrivare al riscatto dell’autovettura, atteso che l’imputato, caso mai, avrebbe dovuto fare ciò prima di cedere l’autovettura a terzi e, comunque, a fronte del rifiuto del COGNOME, gli avrebbe dovuto restituire il mezzo.
Quanto alla tesi difensiva secondo cui l’imputato avrebbe ceduto l’automobile al COGNOME dopo averne chiesto l’autorizzazione allo COGNOME e averla da questi ottenuta, la Corte d’appello di Venezia ha ritenuto logicamente non credibile che un esperto commerciante come il COGNOME potesse pensare di trasferire un’automobile di proprietà di terzi con l’autorizzazione del mero locatario.
Tale motivazione appare priva di contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae alle censure del ricorrente, le quali risultano sostanzialmente dirette a sollecitare una diversa lettura del compendio probatorio, a suo avviso più rispondente allo stesso compendio e a sé favorevole, il che, tuttavia, non è possibile fare in sede di legittimità.
4. Il quarto motivo è manifestamente infondato.
Quanto all’applicazione della recidiva, la Corte di cassazione ha affermato il principio che è richiesta al giudice una specifica motivazione sia che egli affermi sia che escluda la sussistenza della stessa (Sez. 6, n. 56972 del 20/06/2018, COGNOME, Rv. 274782-01). In motivazione, la Corte ha chiarito che tale dovere risulta adempiuto nel caso in cui, con argomentazione succinta, si dia conto del fatto che la condotta costituisce significativa prosecuzione di un processo delinquenziale già avviato.
In senso sostanzialmente analogo, è stato affermato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva facoltativa attiene all’esercizio di un potere discrezionale del giudice, del quale deve essere fornita adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento dell’idoneità della nuova
condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggior capacità a delinquere del reo (Sez. 3, n. 19170 del 17/12/2014, dep. 2015, Gordyusheva, Rv. 263464 -01).
Più diffusamente, la stessa Corte di cassazione ha precisato che, ai fini della rilevazione della recidiva, intesa quale elemento sintomatic:o di un’accentuata pericolosità sociale del prevenuto, e non come fattore meramente descrittivo dell’esistenza di precedenti penali per delitto a carico dell’imputato, la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto a esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tr fatto per cui si procede e le precedenti condanne, verificando se e in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice (Sez. 3, n. 33299 del 16/11/2016, Del Chicca, Rv. 270419 -01).
Nel caso di specie, la Corte d’appello di Venezia ha applicato la recidiva ritenendo che il reato di appropriazione indebita sub iudice, posto in relazione con le plurime precedenti condanne riportate dal COGNOME – in particolare, tra le altre, con quella per truffa di cui al punto 5) del certificato del casellario giudiziale e co quella per calunnia di cui al punto 7) dello stesso certificato – fosse «espressione di maggiore pericolosità dell’imputato».
Alla luce dei consolidati principi della giurisprudenza cli legittimità sopra esposti, tale motivazione si deve ritenere sufficiente e, in quanto espressiva di un discrezionale giudizio di fatto, non sindacabile in questa sede di legittimità.
Né il richiamo, tra i precedenti penali, di reati che erano stati oggetto di condanne divenute definitive dopo la commissione di quello sub iudice si può ritenere inficiare la suddetta motivazione, atteso che lo stesso richiamo risulta costituire un mero argomento aggiuntivo.
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle z ammende. GLYPH <zr·4 er,;:
Così deciso il 14/05/2024.
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