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Correlazione accusa sentenza: il fatto conta più della norma

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per danneggiamento, nonostante il reato non fosse formalmente contestato con il relativo articolo di legge. La Corte ha ribadito il principio di correlazione accusa sentenza, affermando che la condanna è legittima se il fatto storico è descritto con precisione nell’imputazione, garantendo così il diritto di difesa. Il ricorso è stato respinto anche per la genericità delle altre censure, inclusa quella sulla determinazione della pena.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Correlazione Accusa Sentenza: Quando i Fatti Prevalgono sulla Norma

Nel processo penale, uno dei pilastri fondamentali a tutela del diritto di difesa è il principio di correlazione accusa sentenza. Questo principio, sancito dall’art. 522 del codice di procedura penale, stabilisce che l’imputato non può essere condannato per un fatto diverso da quello che gli è stato formalmente contestato. Ma cosa succede se il fatto è descritto con precisione, ma manca l’indicazione della specifica norma di legge violata? Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 8939/2024) offre un chiarimento cruciale: ciò che conta è la descrizione puntuale del fatto storico, non la mera etichetta giuridica.

I Fatti del Caso: Occupazione Abusiva e Danneggiamento

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di una donna da parte del Tribunale di Milano per una serie di reati continuati, tra cui l’invasione di terreni o edifici (art. 633 c.p.) e il danneggiamento (art. 635 c.p.). La pena inflitta era di 10 mesi e 15 giorni di reclusione, oltre a una multa di 500 euro. La sentenza veniva confermata in secondo grado dalla Corte di Appello.

L’imputata, tramite il suo difensore, decideva di presentare ricorso per cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorso si articolava su due doglianze principali:

1. Violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza: La difesa sosteneva che l’imputata era stata condannata per il reato di danneggiamento (art. 635 c.p.) senza che tale norma fosse stata esplicitamente contestata dal Pubblico Ministero. Secondo il ricorrente, questo avrebbe rappresentato un vulnus insanabile al diritto di difesa.
2. Omessa motivazione: Si lamentava che la Corte d’Appello avesse completamente ignorato una memoria difensiva, depositata prima della decisione, che conteneva documenti attestanti una condotta “risarcitoria” e un piano di rientro dal debito per l’occupazione dell’alloggio. Tali elementi, secondo la difesa, sarebbero stati decisivi per una diversa e più mite determinazione della pena.

L’Analisi della Corte e il Principio di Correlazione Accusa Sentenza

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo entrambi i motivi infondati.

Sul primo punto, quello relativo alla correlazione accusa sentenza, i giudici hanno ribadito un orientamento consolidato. Ai fini del rispetto di tale principio, non è tanto rilevante l’indicazione degli articoli di legge violati, quanto la precisa e dettagliata specificazione del fatto storico contestato. Nel caso di specie, l’atto di accusa descriveva chiaramente il danneggiamento della porta d’ingresso dell’alloggio occupato abusivamente. Il primo giudice aveva, inoltre, espressamente indicato l’imputata come autrice o mandante di tale effrazione. Di conseguenza, la difesa era stata messa nelle condizioni di comprendere pienamente l’accusa e di controbattere punto per punto. La mancata citazione dell’art. 635 c.p. non ha quindi comportato alcuna compressione del diritto di difesa, rendendo la doglianza manifestamente infondata.

Inammissibilità degli Altri Motivi: Autosufficienza e Genericità

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Corte ha evidenziato una duplice criticità: la mancanza di autosufficienza e l’aspecificità.

* Difetto di autosufficienza: Il ricorrente si era limitato a menzionare il deposito di una memoria difensiva, senza però allegarla al ricorso né trascriverne il contenuto. Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione impone che l’atto contenga tutti gli elementi necessari a valutarne la fondatezza, senza che la Corte debba procedere a una ricerca autonoma negli atti processuali.
* Aspecificità: La lamentela sulla determinazione della pena è stata giudicata generica. La Corte ha ricordato che la graduazione della pena è un’attività che rientra nella piena discrezionalità del giudice di merito. Un controllo di legittimità è possibile solo se la motivazione è manifestamente illogica o se la pena si discosta in modo irragionevole dai minimi edittali, circostanze non ravvisabili nel caso in esame.

Le Motivazioni della Decisione

Le motivazioni della Suprema Corte si fondano su principi cardine del diritto processuale penale. In primo luogo, viene riaffermata la centralità del fatto storico nella contestazione, che prevale sulla mera qualificazione giuridica per assicurare un’effettiva difesa. In secondo luogo, si sottolinea il rigore formale richiesto per le impugnazioni, in particolare il principio di autosufficienza, che pone a carico del ricorrente l’onere di fornire alla Corte tutti gli elementi per decidere. Infine, viene confermata l’ampia discrezionalità del giudice di merito nella commisurazione della pena, sindacabile solo in caso di vizi logici palesi.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre importanti indicazioni pratiche. Per la difesa, insegna che è essenziale concentrarsi sulla contestazione dei fatti materiali descritti nell’imputazione, poiché è su di essi che si fonda il giudizio, al di là delle etichette normative. Per chi intende impugnare una sentenza, ribadisce la necessità di redigere ricorsi completi e specifici, che non si limitino a critiche generiche ma che attacchino in modo puntuale e documentato le argomentazioni della sentenza impugnata. La decisione della Corte, dichiarando l’inammissibilità del ricorso e condannando la ricorrente al pagamento delle spese e di una sanzione pecuniaria, rappresenta un monito sulla serietà e il rigore richiesti nell’accesso alla giustizia di legittimità.

Si può essere condannati per un reato se l’articolo di legge non è esplicitamente menzionato nel capo d’imputazione?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai fini del rispetto del principio di correlazione tra accusa e sentenza, è determinante la specificazione del fatto storico contestato. Se il fatto è descritto in modo preciso e dettagliato, la condanna è legittima anche se manca l’indicazione della specifica norma di legge violata, a condizione che non vi sia stata una compressione del diritto di difesa.

Perché il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata valutazione di una memoria difensiva, è stato dichiarato inammissibile?
Il motivo è stato ritenuto inammissibile per due ragioni: in primo luogo, per difetto di “autosufficienza”, poiché la ricorrente non ha allegato al ricorso la memoria e i documenti di cui lamentava la mancata valutazione, impedendo alla Corte di verificarne il contenuto. In secondo luogo, è stato giudicato aspecifico, in quanto si limitava a una generica lamentela sulla determinazione della pena senza una valida confutazione delle argomentazioni dei giudici di merito.

Cosa significa che la graduazione della pena rientra nella “discrezionalità del giudice di merito”?
Significa che il giudice che valuta i fatti (di primo e secondo grado) ha il potere di decidere l’entità della pena all’interno dei limiti minimi e massimi previsti dalla legge, basandosi su criteri come la gravità del reato e la capacità a delinquere dell’imputato (art. 133 c.p.). La Corte di Cassazione può sindacare questa decisione solo se la pena è palesemente sproporzionata o se la motivazione del giudice è illogica o contraddittoria, cosa che non è stata riscontrata in questo caso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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