Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 27860 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 27860 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Cimitile il 25/02/1995
avverso la sentenza emessa il 18 settembre 2024 dalla Corte d’appello di Napoli
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; udito il difensore della parte civile Istituto Superiore studi – Conservatorio di musica “Vincenzo COGNOME“, Avv. NOME COGNOME per l’Avvocatura Generale dello Stato, che si è associato alle conclusioni del Procuratore Generale; udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli, per quanto rileva in questa Sede, ha confermato la sentenza del Tribunale di Nola con la quale NOME COGNOME è stato condannato per il reato di cui all’art. 314 cod. pen., così riqualificata l’iniziale contestazione ai sensi dell’art. 648 -bis cod. pen., alla pena di anni quattro di reclusione.
Secondo l’iniziale contestazione ai sensi dell’art. 648 -bis cod. pen, NOME COGNOME quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE, avrebbe compiuto operazioni di sostituzione e trasferimento della somma complessiva di 90.750 euro, ritenuta provento del peculato commesso ai danni dell’Istituto musicale Vincenzo Bellini di Catania dal responsabile dell’Ufficio Ragioneria, NOME COGNOME (nei cui confronti si è proceduto separatamente). In particolare, l’imputato, una vo lta ricevuti due bonifici dell’importo di 42.350 e di 48.400 da parte del citato Istituto, senza avere svolto alcuna attività o servizio in suo favore, eseguiva prelievi di denaro e bonifici a favore di sè stesso, nonché di terzi indicati nel capo di imputazione.
Il Tribunale, ritenendo che COGNOME non potesse ignorare il fine illecito perseguito e la qualifica ricoperta dalla Carruba, ravvisava il suo concorso nel peculato, considerando le successive condotte di prelievo o di accreditamento a terzi come post factum non punibile.
NOME COGNOME ricorre per cassazione deducendo due motivi di ricorso, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Violazione dell’art. 521 c od. proc. pen. anche in relazione agli artt. 24, 11 e 117 Cost. e 6 CEDU, avuto riguardo al diritto dell’imputato ad essere informato sul contenuto dell’accusa. Deduce l’imputato che la riqualificazione operata dai Giudici di merito, in assenza di contraddittorio, e in relazione ad un reato connotato da diversi elementi costitutivi, ha determinato una violazione del suo diritto di difesa e richiama a sostegno di tale conclusione la sentenza della Corte di Giustizia del 9/11/2023, BK, C-175/22 in cui ai fini della conformità del potere del giudice di qualificare diversamente il fatto contestato all’art. 6, par. 4, direttiva 2012/13/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, nonché agli artt. 3 e 7 della direttiva 2016/343/UE, si è affermata la necessità della tempestiva informazione d ell’imputato in merito alla nuova qualificazione prospettata.
2.2. Difetto di motivazione sulla configurabilità del reato di peculato.
Deduce il ricorrente che: nessuna delle sentenze ha preso in considerazione la natura dell’Istituto Musicale Vincenzo COGNOME il quale, come risulta dalla documentazione allegata al ricorso, solo nel 2019 ha approvato la richiesta di statizzazione dell’Istituto; la teste COGNOME, direttore amministrativo dell’Istituto dal settembre 2015 al 31/12/2016, ha riferito che la RAGIONE_SOCIALE non aveva mai costituito il registro cronologico delle fatture né attivato la ‘piattaforma dei crediti’ o installato il programma di contabilità; la teste COGNOME nulla ha riferito sul mandato di pagamento del 2012 in favore della RAGIONE_SOCIALE; l’attività della Guardia di Finanza si è limitata all’acquisizione presso l’Ag enzia delle Entrate della dichiarazione modello unico IVA per l’anno 2012 , da cui risulta un imponibile pari
a euro 85.548, di cui euro 74.385 per attività di manutenzione svolta in favore dell’Istituto Bellini; dall’elenco dei prelievi dal conto RAGIONE_SOCIALE della filiale di Nola non risulta tra i beneficiari alcuno dei coimputati; costituisce un mero sillogismo l’affermazione dei Giudici di merito secondo la quale il ricorrente non poteva ignorare la qualifica della RAGIONE_SOCIALE e che lo stesso ha concorso nel reato in quanto solo un contratto di servizi poteva superare il dubbio; la sentenza ha erroneamente svalutato l’o fferta economica proveniente dalla RAGIONE_SOCIALE, nonché la fattura da questa emessa, in quanto idonea a provare l’esistenza del rapporto sottostante , ove la stessa risulti accettata dal destinatario della prestazione e annotata nelle scritture contabili, accertamento quest’ultimo, che non è stato svolto dalla Guardia di Finanza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo di ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. L’accoglimento di tale doglianza, come si dirà, assume una valenza centrale e decisiva ai fini della valutazione della legittimità della sentenza impugnata da non lasciare spazio all’esame del secondo motivo di ricorso.
Ad avviso del Collegio, nel caso di specie si è verificata una violazione dell’art. 521 cod. proc. pen. e ciò non solo per la mancata instaurazione del contraddittorio, come deduce il ricorrente, ma, soprattutto, perché i Giudici di merito, dietro l’apparente operazione giuridica della riqualificazione del fatto, hanno, invece, condannato l’imputato per u n fatto diverso da quello inizialmente contestato e con questo incompatibile.
Va, infatti, considerato che il principio di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza trova il proprio fondamento nell’esigenza di assicurare all’imputato la piena possibilità di difendersi in rapporto a tutte le circostanze rilevanti del fatto che è oggetto dell’imputazione. Ne discende che il principio in parola non è violato ogni qualvolta siffatta possibilità non risulti sminuita. Pertanto, quando nessun elemento che compone l’accusa sia sfuggito alla difesa dell’imputato, non si può parlare di mutamento del fatto e ciò consente al giudice di dare al fatto la qualificazione giuridica che ritenga più appropriata alle norme di diritto sostanziale.
Qualora, invece, emerga nel dibattimento un “fatto diverso”, ovvero un accadimento storico che presenta connotazioni materiali difformi da quelli descritti nell’imputazione originaria, il codice di rito prevede lo strumento della modifica della contestazione degli elementi essenziali del reato (art. 516 cod. proc. pen.).
Non si tratta, in tal caso, di un fatto ulteriore rispetto a quello contestato ab origine, ma del medesimo episodio storico che, tuttavia, risulta essersi svolto entro coordinate cronologiche, spaziali o modali difformi da quanto descritto nell’imputazione.
L’emergere di ulteriori fatti di rilevanza penale, accanto a quelli originariamente contestati, si inscrive, invece, nel paradigma del “fatto nuovo ‘ . Per “fatto nuovo” si intende, infatti, un accadimento autonomo rispetto a quello contestato e del tutto distinto da quest’ultimo, ossia un episodio storico che ad esso non si sostituisce ma si aggiunge, affiancando il fatto oggetto dell’imputazione originaria quale autonomo thema decidendum .
Sussiste, pertanto, una violazione del principio di correlazione della sentenza all’accusa formulata quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi, rispetto a quello contestato, in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell’addebito nei confronti dell’imputato, posto, così, di fronte – senza avere avuto alcuna possibilità di difesa – ad un fatto del tutto nuovo (Sez. 4, n. 4497 del 16/12/2015, dep. 2016, Addio, Rv. 265946; Sez. 1, n. 28877 del 04/06/2013, Colletti, Rv. 256785).
Va, infatti, rammentato che la diversa qualificazione giuridica del fatto, di per sè, non apporta alcun mutamento al fatto contestato, ma si risolve nella sola individuazione della fattispecie astratta, sotto la quale deve essere ricondotta la fattispеcie concreta. La legittimità di tale operazione, pienamente consentita dall’art. 521 cod. proc. pen. , trova, infatti, il proprio fondamento nella identità del fatto storico esaminato, costituito dalla condotta, dall’evento e dal nesso causale, dalla riferibilità soggettiva della prima e dalla sua realizzazione nelle circostanze di tempo e di luogo date (Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, COGNOME, Rv. 231799; Sez. 3, n. 21994 del 01/02/2018, COGNOME, Rv. 273220).
Si è, pertanto, affermato che sussiste un mutamento del fatto, allorché si riscontri una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, COGNOME, Rv. 205619). Tale principio di diritto, benché risalente nel tempo, non risulta, nella sua portata complessiva, posto in discussione dalla successiva giurisprudenza che ha, tuttavia, sottolineato che l’obbligo di correlazione tra accusa e sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: ciò in ragione della correlazione tra la nozione strutturale
di “fatto” con quella funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata (oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto del potere del giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi (cfr. Sez. 5, n. 3161 del 13/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238345, in motivazione).
Si è, infatti, chiarito che le norme che disciplinano le nuove contestazioni, la modifica dell’imputazione e la correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza (artt. 516 e 522 c.p.p.) hanno proprio lo scopo di assicurare il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato: esse, quindi, vanno interpretate con riferimento alle finalità alle quali sono dirette, cosicché non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma solo nel caso in cui la modificazione dell’imputazione pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato. Ne consegue che quando nel capo di imputazione originario siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre l’imputato in condizione di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, non sussiste violazione del principio di doverosa correlazione tra accusa e sentenza.
2.1. Tali principi hanno trovato una ulteriore declinazione, in funzione dell’equità del processo, nella giurisprudenza della Corte EDU. Con la sentenza 11 dicembre 2007, RAGIONE_SOCIALE, si è, infatti, affermato che “poiché l’atto di accusa svolge un ruolo fondamentale nel procedimento penale, l’art. 6, § 3, lett. a) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo riconosce all’imputato il diritto di essere informato non solo del motivo dell’accusa, ossia dei fatti materiali che gli vengono attribuiti e sui quali si basa l’accusa, ma anche, e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti”. Si è, infatti, osservato che, in materia penale, “un’informazione precisa e completa delle accuse a carico di un imputato e dunque la qualificazione giuridica che la giurisdizione potrebbe considerare nei suoi confronti, è una condizione fondamentale dell’equità del processo”. La Corte europea ha altresì rimarcato che “se i giudici di merito dispongono, quando tale diritto è loro riconosciuto nel diritto interno, della possibilità di riqualificare i fatti per i quali sono stati regolarmente aditi, essi devono assicurarsi che gli imputati abbiano avuto l’opportunità di esercitare i loro diritti di difesa su questo punto in maniera concreta ed effettiva. Ciò implica che essi vengano informati in tempo utile non solo del motivo dell’accusa, cioè dei fatti materiali che vengono loro attribuiti e sui quali si fonda l’accusa, ma anche e in maniera dettagliata, della qualificazione giuridica data a tali fatti”.
Alla luce dei principi contenuti nella sentenza COGNOME la Corte di cassazione ha precisato che il rispetto della regola del contraddittorio – che deve essere assicurato all’imputato anche in ordine alla diversa definizione giuridica del fatto, conformemente alla previsione dell’art. 111 Cost, comma 2, secondo la lettura integrata alla luce dell’art. 6, par. 3, lett. a) e b) della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, come interpretato dalla CEDU – impone esclusivamente che tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa”, determinando conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale, cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo, rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, di cui rappresenta uno sviluppo inaspettato. Condizione che non si verifica in due occasioni: da un lato, quando l’imputato o il suo difensore abbiano avuto, nella fase di merito, la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto dell’imputazione; dall’altro, quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei possibili (si potrebbe dire “non sorprendenti”) epiloghi decisori del giudizio (di merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa, ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali, può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo assolutamente prevedibile (cfr. Sez. U. n. 31617 del 26.6.2015, COGNOME, Rv. 2644238; Sez. 3, n. 9457 del 19/01/2024, Rv. 286026; Sez. 6, n. 11956 del 15.2.2017, Rv. 269655).
2.2. Infine, la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 9/11/2023, C-175-22, ha affermato che: a) l’art. 6, par. 4, della direttiva 2012/13/UE sul diritto all’informazione nei procedimenti penali dev’essere interpretato nel senso che osta a una giurisprudenza nazionale che consente a un giudice che si pronuncia nel merito di un procedimento penale di adottare una qualificazione giuridica dei fatti contestati diversa da quella inizialmente adottata dal pubblico ministero senza informare te mpestivamente l’imputato della nuova qualificazione prospettata in un momento e in condizioni che gli consentano di predisporre efficacemente la propria difesa e, pertanto, senza offrire a tale persona la possibilità di esercitare i diritti della difesa in modo concreto ed effettivo in relazione a tale nuova qualificazione. In questo contesto, non assume alcuna
rilevanza la circostanza che detta qualificazione non sia tale da comportare l’applicazione di una pena più severa rispetto al reato per il quale la persona era inizialmente perseguita. b) Gli artt. 3 e 7 della direttiva (UE) 2016/343 sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimenti penali, nonché l’art . 47, secondo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, devono essere interpretati nel senso che non ostano a una normativa nazionale che consente a un giudice che si pronuncia nel merito di un procedimento penale di adottare, di propria iniziativa o su proposta dell’imputato, una qualificazione giuridica dei fatti contestati diversa da quella inizialmente adottata dal pubblico ministero, purché tale giudice abbia tempestivamente informato l’imputato della nuova qualificazione prospettata, in un momento e in condizioni che gli hanno consentito di predisporre efficacemente la propria difesa, e abbia quindi offerto a tale persona la possibilità di esercitare i diritti della difesa in modo concreto ed effettivo in relazione alla nuova qualificazione così adottata.
Sulla base di tali precise indicazioni ermeneutiche, questa Corte ha successivamente chiarito che il giudice di appello nella sentenza può qualificare il fatto diversamente dall’imputazione anche se l’imputato non abbia preventivamente avuto modo di interloquire sul punto, senza per questo violare il contraddittorio, così come interpretato dalla Corte di Giustizia nella sentenza 9 novembre 2023, C-175/22, B.K., purché sia assicurata comunque all’imputato la possibilità di contestare la diversa qualificazione mediante il ricorso dinanzi alla Corte di cassazione la quale, ove ritenga che la nuova qualificazione dell’addebito abbia inciso sulle strategie difensive, dovrà restituire l’imputato nella facoltà di esercitare pienamente il diritto di difesa, anche attraverso la proposizione di richieste di prova rilevanti in relazione al diverso contenuto dell’accusa (Sez. 5, n. 42635 del 10/09/2024, COGNOME, Rv. 287235).
2.3. Va, infine, aggiunto, per completezza, che il legislatore, con il d.lgs. n. 150 del 2022, recependo tali indicazioni ermeneutiche, ha introdotto il comma 1sexies dell’art. 611 cod. proc. pen. in cui si prevede l’attivazione del contraddittorio sulla diversa qualificazione giuridica del fatto anche nel giudizio di legittimità. La norma dispone, infatti, che se ritiene di dare al fatto una definizione giuridica diversa, la corte dispone con ordinanza il rinvio per la trattazione del ricorso in udienza pubblica o in camera di consiglio con la partecipazione delle parti, indicando la ragione del rinvio e dandone comunicazione alle parti con l’avviso di fissazione della nuova udienza.
Alla stregua dei principi giuridici sinora illustrati, ritiene il Collegio che nel caso in esame i Giudici di merito hanno condannato l’imputato, non per il medesimo fatto, diversamente qualificato, ma per un ‘fatto nuovo’.
Come si evince agevolmente dagli atti, al ricorrente non è mai stato espressamente contestato il concorso nella condotta appropriativa del denaro dell’Istituto Musicale Vincenzo COGNOME , ma solo il concorso nel successivo riciclaggio del denaro provento di tale condotta. Tale imputazione è stata completamente ignorata dai Giudici di merito che, anziché valutarne la configurabilità o meno, hanno, invece, illegittimamente condannato il ricorrente per il reato presupposto, fatto, quest’ultimo che si pone in termini di incompatibilità con quello inizialmente contestato per effetto della clausola di riserva di cui all’art. 648bis cod. pen. (cfr. Sez. 2, n. 30027 del 15/06/2021, Usai, Rv. 281810).
Dinanzi alla emersione di un ‘fatto nuovo’, incompatibile con quello inizialmente contestato, i Giudici di merito avevano, invece, l’obbligo di pronunciarsi sul l’originaria imputazione e di trasmettere gli atti al Pubblico Ministero in relazione alla diversa condotta ravvisata.
Va, infatti, ribadito che, qualora emerga in dibattimento un “fatto nuovo”, cioè un accadimento del tutto difforme ed autonomo dal fatto originariamente contestato, per le modalità essenziali dell’azione o per l’evento, e non ricorra alcuna delle ipotesi previste dall’art. 517 cod. proc. pen., il giudice deve trasmettere gli atti al Pubblico ministero perché proceda nelle forme ordinarie in relazione al fatto nuovo (cfr. Sez. 6, n. 8011 del 11/12/2002, dep. 2003, Rv. 223947).
Alla luce di quanto sopra esposto, va, dunque, disposto l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli per nuovo giudizio alla luce dei principi sopra affermati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Napoli.
Così deciso il 12 maggio 2025