Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20306 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20306 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME CUI 02RXGYF ) nato a BENI SMIR( MAROCCO) il 18/12/1988
avverso la sentenza del 30/10/2024 della CORTE RAGIONE_SOCIALE di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME che ha concluso chiedendo
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME
11-42G-Gagr-14,144e-per il rigetto del ricorso.
udito il difensore L’avv. COGNOME NOME Giovanni conclude insistendo per l’accoglimento dei motivi di
ricorso ai quali si riporta,
RITENUTO IN FATTO
La Corte di assise di appello di Milano, con la sentenza in epigrafe, ha parzialmente riformato la pronuncia resa in data 15 marzo 2024 dalla Corte di assise di Monza, che dichiarava NOME COGNOME colpevole dell’omicidio di NOME COGNOME, del delitto di occultamento di cadavere, aggravato dal fatto di averlo commesso al fine di occultare l’omicidio, del delitto di rapina della carta bancomat della vittima, aggravato dal fine di eseguire il delitto di indebito utilizzo di detta carta, e, infine, di detto delitto di indebito utilizzo di tale carta, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti rispetto alla recidiva reiterata e infraquinquennale contestata, unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni ventotto di reclusione. E ha, conseguentemente, rideterminato detta pena in anni ventitrè e mesi tre di reclusione.
1.1. La Corte territoriale, dopo avere escluso che nel caso in esame la sentenza di primo grado andasse annullata per violazione della correlazione tra imputazione contestata e sentenza ex art. 521, comma 2, cod. proc. pen., per essere stata ravvisata la diversa ipotesi di concorso nei reati contestati ad COGNOME (concorso con il suo accusatore NOME COGNOME che faceva rinvenire il cadavere della vittima), e avere pertanto considerato infondato il primo motivo di appello, ha ritenuto la sussistenza, ai sensi dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., di un coacervo indiziario a carico dell’imputato in ordine a tutti i reati contestatigli, pur escludendo l’utilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie rese da NOME COGNOME che da subito avrebbe dovuto essere sentito in qualità di indagato. Pur non riconoscendo l’invocata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, ha inoltre rideterminato la pena nella misura sopra indicata, riducendo l’aumento per la continuazione con la rapina.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione, tramite il proprio difensore, NOME COGNOME
2.1 Con il primo motivo di impugnazione viene dedotta violazione del principio di correlazione tra imputazione e condanna.
Rileva il difensore di avere con il primo motivo di appello invocato l’annullamento della sentenza di primo grado con restituzione degli atti al Tribunale di Monza per violazione dell’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.
Si duole che la Corte di assise di Monza, profilatasi una fattispecie di concorso in luogo di un omicidio individualmente realizzato e, quindi, un fatto diverso, avrebbe dovuto disporre da subito la trasmissione degli atti al P.m.; e che le affermazioni della Corte territoriale di merito, volte a giustificare l’inutilizzabilità delle dichiarazioni accusatorie di Samaoui, non abbiano, poi, tenuto conto dell’inevitabile menomazione del diritto di difesa conseguita all’assenza di contraddittorio sulla nuova fattispecie. Osserva il difensore che l’individuazione di COGNOME da parte di COGNOME ritenuta dalla sentenza impugnata legittima, perché necessaria per l’immediata prosecuzione delle indagini, ha prodotto l’effetto di indebolire la difesa dell’accusato, creando una traccia che ha escluso l’esperimento di ulteriori atti di indagine a discarico dell’imputato e ha generato una suggestione che ha impedito alla difesa un pieno contraddittorio sul contributo concorsuale ad un’azione omicidiaria compiuta da altri.
2.2. Col secondo motivo di ricorso viene denunciato vizio di motivazione.
Lamenta il difensore che la conferma della penale responsabilità di COGNOME si fonda su un compendio probatorio costituito da mere illazioni del tutto sfornite di qualsivoglia riscontro probatorio. Si osserva in particolare, con riguardo alla traccia di sangue rinvenuta sul tubo di gomma riconducibile all’imputato, che la stessa non possiede significatività probatoria in quanto sfornita di riscontro peritale con riferimento al dato temporale della sua formazione, potendo essere frutto di inquinamento probatorio o comunque sintomatica della sola presenza dell’imputato sul luogo dei fatti. Si aggiunge che prive della stessa significatività risultano la scarpa rinvenuta nella fossa in cui veniva occultato il cadavere della vittima, le confidenze fatte a NOME COGNOME o anche la presenza di NOME allo sportello bancomat.
Si osserva che l’intera vicenda ha solo incidentalmente riguardato il ricorrente, la cui condotta si è limitata alla mera presenza all’interno dell’ex casa mandamentale di Desio e, quindi, al più ad una connivenza non punibile.
2.3. Col terzo motivo di impugnazione vengono rilevati violazione di legge e vizio di motivazione quanto al trattamento sanzionatorio.
Ci si duole che siano state disattese dai Giudici di appello le richieste della difesa in tema di dosimetria della pena e di attenuanti generiche prevalenti e che detti Giudici al riguardo si siano limitati all’enunciazione pura e semplice dei connotati esteriori del fatto.
Alla luce di detti motivi il difensore conclude per l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è, nel complesso, infondato e va, pertanto, rigettato.
1.1. Infondato è il primo motivo di impugnazione.
La Corte di assise di appello di Milano esclude qualsivoglia violazione dell’ad. 521 cod. proc. pen. muovendo dagli insegnamenti della giurisprudenza di legittimità.
A partire da Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051 01, si è affermato che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa. Ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (fattispecie relativa a contestazione del delitto di bancarotta post-fallimentare qualificato dalla S.C. come bancarotta pre-fallimentare). Per Sez. 2, n. 22173 del 24/04/2019, COGNOME, Rv. 276535 non sussiste violazione del principio di necessaria correlazione tra accusa e sentenza quando, contestato a taluno un reato commesso uti singulus, se ne affermi la responsabilità in concorso con altri. E’ conforme Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555 – 01, secondo cui non sussiste violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza ai sensi dell’ad. 521 cod. proc. pen. qualora, in relazione a vicende obiettivamente complesse, la sentenza abbia affermato la penale responsabilità dell’imputato sul fondamento di una ricostruzione dei fatti arricchita e conformata (in specie quanto ai soggetti coinvolti ed al ruolo di ciascuno) alla stregua degli elementi emersi in istruttoria, atteso che, ad assicurare l’esercizio in concreto del diritto di difesa, è sufficiente che l’imputazione enunci in termini chiari gli
elementi essenziali degli addebiti (vedi Sez. U., n. 16 del 1996, Rv. 205619-01).
Facendo applicazione di detti principi di diritto al caso concreto, la Corte territoriale osserva che non vi è stata alcuna trasformazione radicale delle imputazioni (né dell’addebito di omicidio, né dei reati satellite, né degli elementi essenziali, né di quelli accidentali, essendo rimasti immutati i luoghi, i tempi, nonché le modalità esecutive di tutte le azioni illecite commesse ed oggetto di addebito) e che l’ipotesi concorsuale, che ha sostituito la condotta monosoggettiva, non era imprevedibile, sicché il diritto di difesa non ha subito alcuna compressione, tanto che COGNOME, posto a confronto col suo aCcusatore, ha potuto non solo fornire elementi circostanziali a sé favorevoli, ma accusare a sua volta il compartecipe, essendosi dunque assistito a reciproche chiamate in reità e a implicite ammissioni di compresenza sul luogo del delitto, elemento indiziante di primaria pregnanza, sul quale si è innestata e sviluppata l’intera dialettica processuale. Evidenzia come sin dall’applicazione della misura custodiale, con la conseguente díscovery, l’imputato e la sua difesa tecnica hanno potuto apprezzare il ruolo accusatorio assunto da NOME COGNOME nell’economia dell’instaurando processo penale, che è proprio colui che, secondo la tesi difensiva, sarebbe l’unico autore dell’omicidio; e che, pertanto, la corresponsabilità del suddetto, ritenuta dal primo Giudice nel restituire gli atti all’ufficio inquirente per il prosieguo dell’azione penale nei suoi confronti, non può avere sorpreso, né determinato nocumento, considerato che l’imputato ha scartato per insindacabile scelta defensionale il rito premiale, non ha esercitato il diritto alla controprova e comunque si è potuto difendere a fronte dell’ipotesi concorsuale emersa in istruttoria.
1.2. Anche il secondo motivo è infondato.
La Corte territoriale rimarca il carattere di prove dirette, decisive, assorbenti e ad altissima efficacia esplicativa, non confutate né confutabili, in relazione : a) alla presenza di COGNOME in circostanze di tempo e di luogo, che hanno visto consumarsi l’omicidio, b) alle prove scientifiche, che rivelano le sue tracce biologiche, di grande rilevanza sul piano inferenziale per la pertinenza all’azione criminosa, non solo nel locale seminterrato ove sarebbe stato commesso il delitto, bensì sullo strumento utilizzato per strangolare NOME (in uno con la propria impronta e il sangue della vittima), sui pantaloni e sulle infradito
rinvenute in prossimità del luogo di sepoltura, nonché la presenza di tracce di sangue di Samaoui in prossimità dell’accesso ai locali seminterrati o sui pantaloni (in uno a quelle di Ilhami) abbandonati a pochi metri dal cadavere della persona offesa, c) alla commistione di dette tracce biologiche con quelle della vittima, che ne esclude la riferibilità alla semplice frequentazione dei luoghi ov’è pacifico che egli alloggiasse e dormisse, d) alla presenza dell’imputato, assieme a NOME COGNOME allo sportello bancario per porre in essere i tentativi di prelievo, circostanza, ammessa dagli interessati, che presuppone, logicamente, il previo impossessamento e detenzione della carta bancomat, sottratta al suo titolare.
Rileva che, invece, sono prove «che concedono anche lettura “neutra”», per il contesto di precarietà e promiscuità abitativa, i rinvenimenti di una scarpa di colore grigio (di proprietà dell’imputato o comunque anche dal medesimo calzata) all’interno della fossa di sepoltura all’atto del dissotterramento del cadavere, strettamente aderente al tallone sinistro della vittima, in uno alla relativa stringa utilizzata per legare le caviglie della persona offesa, e nel seminterrato dell’altra scarpa gemella (scarpe che, peraltro, l’imputato indossava anche nella commissione dei furti in occasione dei quali è stato ripreso dalle telecamere ed i cui fotogrammi sono in atti).
Sottolinea che con molta prudenza deve essere valutata la testimonianza di NOME COGNOME che ha riferito di avere ricevuto le confidenze dell’imputato, di cui era amica, circa l’omicidio all’interno dell’ex casa mandamentale e la sepoltura del corpo della vittima a poca distanza, narrazione che non integra una vera e propria confessione stragiudiziale.
Aggiunge che, invece, è più interessante la testimonianza di NOME COGNOME (de relato da COGNOME), che, postosi alla ricerca della vittima, suo amico, veniva a sapere dall’imputato che era “stato ammazzato” quando neppure gli investigatori possedevano gli esiti necroscopici.
La Corte territoriale, inoltre, condivide il giudizio di inattendibilità riservato dal primo Giudice alle versioni che di volta in volta l’imputato, secondo convenienza processuale, ha inteso fornire, a fronte di prove decisive con attributo della verità scientifica, quali, «non…tanto le impronte biologiche certe sul luogo del delitto, quanto piuttosto la commistione di queste fra vittima ed agente/i che restringe la connessione non ai luoghi ma all’omicidio». Evidenzia come gli stessi
pantaloni macchiati di sangue di COGNOME e COGNOME, se davvero inconferenti rispetto ai fatti di causa, non avrebbero dovuto trovarsi abbandonati nell’area di sepoltura del cadavere, bensì assieme ad altri effetti personali o a plurimi oggetti di vita quotidiana all’interno dell’alloggio deputato ad ospitare COGNOME, come dal medesimo riferito.
A fronte di tali argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, il motivo di ricorso; che lamenta un compendio probatorio costituito da mere illazioni, la scarsa significatività probatoria della traccia di sangue sul tubo di gomma, nonché del rinvenimento della scarpa nella fossa di sepoltura, inoltre delle confidenze che la COGNOME ha asserito esserle fatte e della presenza allo sportello bancomat di COGNOME, si rivela infondato, ai limiti dell’inammissibilità perché dimostra di non confrontarsi con le suddette, se non per ‘contestarle genericamente e reiterare rilievi già svolti e sviscerati dai Giudici di merito.
1.3. Inammissibile, in quanto manifestamente infondato, oltre che generico e reiterativo, è, infine, il terzo motivo di ricorso, a fronte delle argomentazioni della sentenza in esame in ordine all’esclusione della prevalenza delle generiche.
Invero, la Corte territoriale riporta l’iter argonnentativo della sentenza di primo grado circa la particolare intensità nel caso in esame della recidiva qualificata, per il numero, per la quantità e per la connotazione temporale dei precedenti dell’imputato, già condannato in passato anche con declaratoria di recidiva reiterata specifica e infraquinquennale, per svariati delitti contro il patrimonio, sovente a base violenta, e contro la persona, il quale ha comunque commesso i fatti violando la misura cautelare dell’obbligo di dimora cui era sottoposto al momento della perpetrazione degli stessi; e circa l’impossibilità di riconoscimento della prevalenza, ostandovi non solo l’espresso divieto normativo ex art. 69, comma quarto, cod. pen., ma più in generale le complessive modalità che hanno contrassegnato la realizzazione dei reati, con la brutalità che ha connotato la violenza omicidiaria, il tentativo di combustione del corpo e la dispersione di alcune prove. E conclude col condividere il giudizio di equivalenza tra le circostanze del primo Giudice, rilevando che la pena base è stata determinata nel mimino edittale e riducendo solo l’aumento di pena per la rapina in quanto sproporzionato.
Invero, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere
motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che
reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati
indebitamente pretermessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.
2. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2025.