Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 30031 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 30031 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 06/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Cagliari nel procedimento a carico di: NOME nato a Milano il 22/02/1997 avverso la sentenza del Tribunale di Sassari del 12 giugno 2024; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha chiesto la conversione del ricorso in appello, con trasmissione degli atti alla Corte di appello di Sassari.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 giugno 2024, il Tribunale di Sassari ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di COGNOME NOMECOGNOME imputato dei reati previsti dagli artt. 110 cod. pen., 30, comma 1, e 19, comma 3, lettera a), della legge n. 394 del 1991, per aver concorso, in forma sia morale che materiale, con altri soggetti
nella cattura di tre esemplari di cernia bruna e un sarago maggiore all’interno di un’area marina protetta. Il Tribunale ha motivato la decisione rilevando che gli elementi acquisiti non consentivano una ragionevole previsione di condanna.
2. Avverso la sentenza, il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione, lamentando, con un unico motivo di doglianza, la violazione degli artt. 5 cod. pen., 30, comma 1, e 19, comma 3, lettera a), della legge n. 394 del 1991, censurando la mancata affermazione della responsabilità dell’imputato. In particolare, si contesta il mancato riconoscimento del concorso morale dell’imputato, escluso dal giudice di merito sul presupposto che questi non fosse a conoscenza del fatto che il luogo in cui si era recato, insieme all’autore materiale dell’illecito, fosse un’area marina protetta. Secondo il ricorrente, tale valutazione contrasterebbe con l’art. 5 cod. pen., poiché la concreta situazione avrebbe dovuto essere ricondotta a un’ipotesi di ignoranza inescusabile della legge penale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Preliminarmente, si rileva la correttezza della proposizione del ricorso dinanzi a questa Corte, in quanto, ai sensi dell’art. 554-quater, comma 6, cod. proc. pen., non è ammesso appello avverso la sentenza di non ligo a procedere relativa a un reato punito con pena alternativa, come quello in esame.
Quanto alla sentenza impugnata, questa risulta erronea sotto un duplice profilo.
In primo luogo, il giudice di merito ha omesso di considerare l’applicabilità dell’art. 113 cod. pen., che disciplina la cooperazione nel delitto colposo. Contrariamente a quanto ritenuto, il concorso di persone è configurabile anche in relazione a condotte meramente colpose, come nel caso di specie, nel quale nell’ipotesi accusatoria – l’imputato ha agito in cooperazione con l’autore materiale dell’illecito. Pertanto, non può escludersi la responsabilità del ricorrente sulla sola base dell’assenza di dolo, essendo configurabile una cooperazione colposa. E infatti, per aversi cooperazione nel delitto colposo, non è necessaria la consapevolezza della natura colposa dell’altrui condotta, essendo sufficiente la coscienza dell’altrui partecipazione nello stesso reato, intesa come consapevolezza, da parte dell’agente, del fatto che altri soggetti sono investiti di una determinata attività, con una conseguente interazione rilevante anche sul piano cautelare, nel senso che ciascuno è tenuto a rapportare prudentemente la
propria condotta a quella degli altri soggetti coinvolti
(ex plurimis,
Sez. 4, n.
25846 del 12 giugno 2019, Rv. 276581; Sez. 4, n. 15324 del 04/02/2016, Rv.
266665). In conclusione, il mancato riconoscimento della cooperazione colposa da parte del giudice di merito si fonda su un’errata interpretazione dei
presupposti applicativi dell’art. 113 cod. pen., non considerando che, nella dinamica dei fatti, otesse sussistere un’interazione tra le condotte dei soggetti
coinvolti, tale da integrare una responsabilità condivisa anche sotto il profilo colposo.
In secondo luogo, è da sottolinearsi come, in tema di tutela delle aree protette, i parchi nazionali, essendo stati istituiti e delimitati con appositi
provvedimenti pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale non necessitano della tabellazione perimetrale prevista dall’art. 10 della legge n. 157 del 1992 al fine
di individuarli come aree in cui è vietata l’attività venatoria, gravando in tal caso su chi esercita la caccia l’onere di individuazione dei confini dell’area protetta
all’interno della quale si configura il reato di cui all’art. 30, comma primo, lett.
d), della citata legge n. 157 (Sez. 3, n. 36707 del 17/04/2014, Rv. 260175). E
tale principio risulta applicabile anche in materia di pesca.
Tanto premesso, la sentenza non tiene conto del fatto che, trattandosi di reato contravvenzionale, trova applicazione l’art. 47, comma 3, cod. pen., secondo cui l’errore sul fatto che costituisce reato è irrilevante se determinato da colpa. Nel caso di specie, anche qualora si volesse ammettere che l’imputato ignorasse la natura protetta dell’area in cui si è verificata la condotta, tale ignoranza non sarebbe scusabile, essendo frutto di colpa.
In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Sassari, in diversa persona fisica.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata, con rinvio, per nuovo giudizio, al Tribunale di Sassari, in diversa persona fisica.
Così deciso il 6/06/2025.