Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 10621 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 10621 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOMERAGIONE_SOCIALE , nato a Milano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza della Corte di appello di Milano del 2 marzo 2023 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso
Lette le conclusioni trasmesse con “pec” dal difensore dell’imputato, con le quali è stata ribadita la fondatezza dei motivi di ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza descritta in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha parzialmente riformato la sentenza appellata resa dal Tribunale di Monza e per l’effetto ha ridotto la pena irrogata a NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE l, ritenuto responsabile dei reati di maltrattamenti e lesioni aggravate consumati ai danni di COGNOME NOME
Interpone ricorso la difesa dell’imputato e propone tre diversi motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione di legge processuale e difetto di motivazione in relazione alla chiesta rinnovazione istruttoria, rigettata con una argomentazione solo apparente e senza confrontarsi c:on le numerose contraddizioni, rivendicate con l’appello, nelle quali sarebbe incorsa, nel corso dell’esame, la persona offesa, tossicodipendente affetta da disturbi psichici, protagonista di un narrato surreale, pedissequamente ribadito, de relato, dalla di lei madre. Diversamente da quanto affermato in sentenza, l’acquisizione della documentazione sollecitata con l’appello nonché l’escussione dei soggetti indicati con il gravame avrebbero reso esauriente l’istruttoria, inadeguatamente limitata alle dichiarazioni della persona offesa, non supportata da validi altri momenti probatori.
2.2. Con il secondo motivo si contesta la configurabilità del reato di maltrattamenti mancando il presupposto della esecuzione di condotte vessatorie realizzate in un contesto di convivenza tra l’imputato e la NOME. Quest’ultima nel corso della sua deposizione avrebbe evidenziato di non aver intrattenuto alcun rapporto sentimentale con l’imputato, che si era intrufolato in casa sua con il pretesto di aiutarla dopo l’arresto del marito e che non se ne era più allontanato, replicando con violenze e minacce alle sue richieste di lasciare la detta abitazione. Mancherebbero dunque i presupposti tipici della reciproca solidarietà e resistenza che devono connotare una relazione da valorizzare nell’ottica dell’ipotesi di reato contestata. La sentenza avrebbe travisato il dato processuale anche in relazione alla ritenuta stabile condivisione dell’abitazione, interpretando male le dichiarazioni dell’imputato, che senza avere intenzione di imporre una convivenza, aveva cercato solo, con la sua presenza presso la detta abitazione, di aiutarla.
2.3. Con l’ultimo motivo si contesta la motivazione spesa nel negare le attenuanti generiche e nell’irrogare una pena superiore al minimo edittale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso merita l’accoglimento nei termini precisati di seguito.
Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, sia nella parte in cui contrasta la motivazione adottata dalla Corte del merito nel negare la rinnovazione istruttoria sollecitata dalla difesa con l’appello; sia con riguardo alle contestazioni mosse in relazione alla ritenuta credibilità della persona offesa e del relativo narrato nonché alla complessiva adeguatezza probatoria degli elementi apprezzati dai giudici del merito a supporto del giudizio di responsabilità.
2.1. In relazione al primo profilo, le valutazioni rese dalla Corte territorial non sono sindacabili in questa sede perché la relativa scelta discrezionale coerentemente parannetrata agli stringenti canoni imposti dal primo comma dell’art. 603 cod. proc. pen. – risulta puntualmente giustificata in ragione della ritenuta esaustività del dato istruttorio già acquisito.
2.2. Del resto, l’adeguatezza di tale scelta processuale trova implicita ma evidente conferma nella altrettanto infondata doglianza spesa nel contestare le valutazioni rese con la sentenza gravata in relazione ai momenti probatori acquisiti a conferma del giudizio di responsabilità, letti dalla Corte del merito senza incorrere in vuoti o manifeste incongruenze logiche.
Su questo versante, va rimarcata la puntuale linearità delle considerazioni spese nel mettere in risalto l’attendibilità soggettiva della persona offesa, peraltro riscontrata da diversi momenti di conforto esterno; al contempo, l’assenza di manifeste illogicità destinate a viziare le argomentazioni spese nel disattendere i rilievi prospettati dalla difesa con l’appello e pedissequamente ribaditi in questa sede, avuto riguardo alle asserite contraddittorietà del narrato della M.M. valorizzando, di contro, la complessiva linearità del relativo racconto, non smentito, nei suoi snodi nevralgici, dalle criticità rassegnate con il gravame di merito (si vedano le considerazioni spese dal terz’ultimo capoverso di pagina 6 della sentenza impugnata).
Da qui l’assenza di valide censure utilmente prospettate dal ricorso in direzione della ricostruzione in fatto della vicenda a giudizio.
Altro è a dirsi in relazione alla corretta configurazione in termini di maltrattamenti ex art. 572 cod. pen. delle condotte materiali ascritte al ricorrente ricomprese nella contestazione di cui al capo b) della rubrica, aspetto messo in discussione dal secondo motivo di ricorso.
Le due sentenze di merito restituiscono il seguente quadro fattuale.
Secondo quanto dichiarato dalla persona offesa, tra l’imputato e la RAGIONE_SOCIALE non vi sarebbe mai stato alcun legame sentimentale, ma solo un rapporto di amicizia. NOME.
Vi sarebbe stata coabitazione (presso la residenza dellalM.M.1, determinata da ragioni contingenti (la situazione di particolare fragilità in cui venne a trovars
la persona offesa dopo l’arresto del marito); coabitazione peraltro instaurata senza una piena condivisione della vittima, atteso che, sempre in ragione di quanto dichiarato da quest’ultima, l’imputato si sarebbe “intrufolato” in casa sua approfittando del momento e vi si sarebbe stabilmente insediato reagendo con minacce e violenze fisiche alle richieste della persona offesa che lo sollecitava ad andarsene.
La coabitazione, inoltre, sarebbe durata qualche mese e in particolare dal giugno del 2016 all’agosto dello stesso anno, momento di esecuzione della misura cautelare dell’allontanamento dal detto domicilio applicata all’imputato sulla base dei fatti a giudizio.
In tale contesto si sono innestate le condotte vessatorie ascritte all’imputato e descritte dalla persona offesa, il cui portato di abitualità, alla luce del evidenziata inammissibilità del primo motivo di impugnazione, non è contrastato dal ricorso alla stessa stregua di quanto è a dirsi in relazione alla oggettiva capacità dei detti contegni di determinare nella vittima una condizione di sofferenza psicofisica non semplicemente transitoria.
Escluso che nel caso l’istituzione sociale nel cui contesto sono stati realizzati gli agiti violenti realizzati ai danni della M.M. avesse matrice tipicamente familiare, occorre verificare se gli stessi possano essere ricondotti all’ipotesi della convivenza, parimenti considerata dalla fattispecie incriminatrice contestata e ritenuta.
5.1. Sotto questo versante, la Corte territoriale, si è limitata ad evidenziare che il rapporto occorso tra P.L. e la M.M. risultava caratterizzato da “solidarietà e sostegno”, valorizzando le dichiarazioni dello stesso imputato laddove, nel giustificare la sua presenza presso l’abitazione della persona offesa, ebbe a precisare che tanto era avvenuto” per cercare di aiutarla” in ragione dei problemi di dipendenza alcolica che la affliggevano atteso che la quest’ultima “sembrava abbandonata dai suoi familiari più stretti”.
Da qui la ritenuta contestualizzazione delle dette condotl:e all’interno di un rapporto di convivenza intrattenuto dai due protagonisti della vicenda a giudizio.
5.2. Una siffatta conclusione non merita condivisione per più concorrenti ragioni. In particolare, per avere i giudici del merito sottovalutato la natura, non sentimentale, del legame che univa la M.M. al P.L. ; trascurato la scaturigine e le connotazioni oggettive della riscontrata condivisione degli spazi abitativi nel cui contesto si sono consolidate le condotte vessatorie realizzate da quest’ultimo alla luce delle stesse indicazioni in fatto rassegnate dalla sentenza gravata; configurato l’ipotesi di reato contestata senza attenersi alle indicazioni di principio rese dalla giurisprudenza di legittimità nel pervenire alla definizione concettuale ” di
convivenza” da apprezzare nell’ottica propria dei maltrattamenti puniti ai sensi dell’art. 572 cod. pen.
5.3. Sotto quest’ultimo versante giova ribadire che, come recentemente rimarcato da questa Corte alla luce della sollecitazione proveniente dal Giudice delle leggi (Corte Costituzionale, sentenza n. 98 del 2021, considerato in diritto sub 2.5.), il divieto di interpretazione analogica delle norme incriminatrici (art. 14, preleggi), immediato precipitato del principio di legalità (art. 25 Cost.), nonché la presenza di un apparato normativo che amplia lo spettro delle condotte prevaricatrici di rilievo penale tenute nell’àmbito di relazioni interpersonali non qualificate, impongono, nell’applicazione dell’art. 572 cod. pen., di intendere i concetti di “famiglia” e di “convivenza” nell’accezione più ristretta: quella, cioè, di una comunità connotata da una radicata, stabile e qualificata relazione interpersonale, da una duratura comunanza d’affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugio o di parentela o, comunque, in caso di rapporti more uxorio, su una stabile condivisione dell’abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua (si pensi, ad esempio, al frequente caso di coloro che, per ragioni di lavoro, dimorino in luogo diverso dall’abitazione comune, per periodi più o meno lunghi ma comunque circoscritti: in questi termini, Sez. 6, n. 15883 del 16/03/2022, Rv. 283436)
La coabitazione, dunque, può non essere continuativa ma resta il primo passaggio imprescindibile per giungere ad una definizione delila “convivenza” da valorizzare nell’ottica dei maltrattamenti, lacldove, come nella specie, gli agiti vessatori non siano stati realizzati ai danni di un familiare (Sez. 6, n. 30761 del 14 maggio 2023, n.m.).
E nel caso, che le condotte a giudizio siano state realizzate in un contesto di condivisione dei medesimi spazi abitativi (la residenza della MM.), non è controvertibile.
5.2. I due profili – convivenza e coabitazione- restano comunque distinti. Muovendo dalla coabitazione, per aversi una convivenza da valorizzare nel quadro normativo attestato dalla fattispecie incriminatrice in esame, occorrerà sempre verificare la presenza, tra i soggetti che condividono i medesimi spazi abitativi, di una relazione interpersonale qualificata: lungi dall’essere confuso con la mera coabitazione, il concetto di convivenza deve, infatti, essere espressione di una relazione personale caratterizzata da una reale condivisione e comunanza materiale e spirituale di vita, tale da generare nei soggetti che ne sono protagonisti, momenti di reciproco affidamento che a loro volta finiscono per essere la scaturigine della particolare vulnerabilità della vittima (in motivazione, Sezione 6, n. 38336 del 2022).
5.2.1. La maggior pena che il legislatore prevede nel delitto di maltrattamenti trova infatti giustificazione non solo e tanto nella mera condivisione degli spazi abitativi bensì nella tensione psicologica patita dalla persona offesa in ragione della particolare relazione interpersonale – il contesto sociale di matrice familiare o parafamiliare- che la lega al soggetto maltrattante. Relazione che ne indebolisce le capacità oppositive e al contempo implementa proporzionalmente le difficoltà nel fare emergere all’esterno le relative dinamiche illecite (per il timore di una recrudescenza degli abusi ma anche per la paura di mettere in discussione la stabilità e i valori sottesi al complessivo ambito nel quale le relative aggressioni risultano realizzate), così da acuire anche il grado di sofferenza patito dal soggetto maltrattato alla luce del contesto sociale nel quale si incuneano gli agiti vessatori considerati dalla fattispecie di riferimento.
Aspetti, questi, che non possono raccordarsi alla mera coabitazione, che per un verso rappresenta, in assenza di vincoli familiari, la base costitutiva tipica all’interno della quale allignano le condotte maltrattanti di matrice domestica ma che, per altro verso, di per sé, non può ritenersi necessariamente foriera di relazioni interpersonali che possano rendere uno dei protagonisti maggiormente vulnerabile solo in virtù della condivisione solidale della abitazione comune, né incrementa, altrettanto inevitabilmente, le difficoltà della vittima nel sottrarsi ag agiti violenti diretti a metterne in pericolo l’integrità fisica, psichica e morale.
5.2.2. In altre e più semplici parole, dunque, può affermarsi, che nei contesti para-familiari, la coabitazione, seppur non necessariamente continuativa, è condizione necessaria ma non sufficiente alla contestualizzazione in termini di maltrattamenti delle condotte abitualmente vessatorie ascritte al prevenuto.
5.3. In tesi, nulla esclude che anche il mero rapporto di amicizia tra due soggetti che condividono i medesimi spazi abitativi possa costituire la base di una relazione solidale da valorizzare nell’ottica dei maltrattamenti ex art 572 cod. pen. La diversa consistenza di un siffatto legame – ordinariamente estraneo ad una comunanza d’affetti foriera di reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza-, rispetto alla relazione sentimentale posta a fondamento delle unioni di fatto o more uxorio e ai rapporti di matrice familiare che costituiscono il riferimento di base delle relazioni intersoggettive valorizzate dal reato in esame, finisce tuttavia per restringere notevolmente i canoni di accertamento in fatto dei presupposti ritenuti indispensabili nel definire il concetto di convivenza utile alla configurazione dei maltrattamenti: occorrerà infatti verificare, una consuetudine di vita e una comunione di interessi consolidate nel tempo corrispondenti ad una prassi comportamentale fondata su istanze di reciproca assistenza e solidarietà che di certo esondano gli argini della mera coabitazione ma anche degli ordinari rapporti di amicizia.
5.4. Nel caso, tali presupposti risultano immediatamente smentiti dalla situazione in fatto descritta in sentenza, apertamente distonica rispetto alle conclusioni raggiunte dalla Corte del merito.
Al fine, è sufficiente rifarsi alle ragioni giustificative della coabitazione, fru non di una scelta condivisa legata al rapporto di amicizia corrente tra l’imputato e la P.L. ma espressione di una circoscritta situazione contingente (la temporanea situazione di difficoltà nella quale versava la M.M., all’evidenza estranea alla comunione di interessi, consolidata nel tempo, che dovrebbe colorare la convivenza da valorizzare nell’ottica dei maltrattamenti; ancor dì più, ai motivi della permanenza del P.L. presso l’abitazione della persona offesa, correlati alla violenta imposizione della sua presenza malgrado la diversa volontà della vittima, in termini di netta inconciliabilità con la verificata sussistenza di una relazione personale qualificata, caratterizzata da istanze reciproche di mutua solidarietà e affidamento.
Da qui l’erroneità in diritto della ritenuta configurabilità delle condott contestate al ricorrente in termini di maltrattamenti ex art 572 cod. pen.; l’annullamento in parte qua della decisione gravata da ricorso; il rinvio alla Corte del merito affinchè la stessa, alla luce della situazione in fatto già cristallizzata forza delle precedenti statuizioni, verifichi la possibilità di configurare altra o alt ipotesi di reato, diverse da quella erroneamente contestata e ritenuta al capo b) della rubrica, destinate a concorrere con le lesioni di cui al capo a) della rubrica, rimodulando, se del caso, la pena da irrogare; l’assorbimento dell’ultima doglianza prospettata dal ricorso.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Milano