Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 14862 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 14862 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME GIOIA TAURO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/03/2023 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 9 marzo 2023, la Corte di appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata da NOME COGNOME di conversione della pena dell’ergastolo inflittagli con sentenza della Corte di assise di appello di Reggio Calabria dell’Il agosto 2000, in quella di trenta anni di reclusione.
1.1. Quale presupposto della richiesta il condanNOME aveva dedotto di avere presentato altra analoga istanza di conversione che era stata rigettata dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria 11 18 giugno 2014 e che il ricorso per cassazione era stato dichiarato inammissibile il 5 maggio 2015.
Altra istanza era stata dichiarata inammissibile il 7 luglio 2016.
Nel reiterare, «alla luce di nuovi orientamenti giurisprudenziali», ancora una volta, la richiesta, COGNOME aveva evidenziato di avere presentato il 29 gennaio 2000, nell’ambito del giudizio a proprio carico, la richiesta di ammissione al giudizio abbreviato (a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 479 del 1999) e che la stessa era stata rigettata con ordinanza del 2 febbraio 2000 in quanto, pur essendo stata disposta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, al momento della proposizione dell’istanza, la stessa si era conclusa.
Inoltre, aveva ritenuto non decisiva la circostanza della mancata ammissione al giudizio abbreviato, anche tenuto conto di precedenti giurisprudenziali e di merito che deponevano in senso favorevole a tale tesi.
In pratica, l’istanza aveva prospettato, quale elemento decisivo, l’avvenuta presentazione della richiesta di definizione alternativa alla prima udienza utile, ai sensi dell’art. 4ter d.l. 7 aprile 2000, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144.
1.2. Il giudice dell’esecuzione ha rigettato la richiesta di conversione richiamando i costanti principi elaborati e affermati in sede di legittimità sull questione e, in primo luogo, le due sentenze con le quali questa Corte si è pronunciata sui ricorsi proposti da COGNOME avverso le precedenti decisioni del giudice dell’esecuzione (sentenze del 5 maggio 2015 e dell’Il luglio 2017).
In entrambi i casi, sebbene con precisazioni diverse, è stato assegNOME rilievo decisivo alla mancata ammissione di COGNOME al giudizio abbreviato.
La Corte di appello ha preso in considerazione la prospettazione secondo cui l’elemento di novità sarebbe costituito dall’evoluzione giurisprudenziale che riconoscerebbe la conversione anche nel caso in cui l’istanza di ammissione al rito speciale fosse stata tempestivamente proposta ma non accolta.
A supporto ha invocato la natura sostanziale delle diposizioni in materia di giudizio abbreviato e di retroattività, quindi, della disciplina favorevole.
Il giudice dell’esecuzione ha disatteso tale prospettazione evidenziando, in primo luogo, come il condanNOME non sia mai stato ammesso al giudizio abbreviato e, quindi, non si trovi nelle medesime condizioni che hanno determiNOME la pronuncia nel caso COGNOME.
Né le vicende sul rito (ammissione o meno al rito alternativo) possono essere rimesse in discussione dal giudice dell’esecuzione.
Quanto ai precedenti giurisprudenziali richiamati dall’istante e posti a fondamento della riproposizione dell’istanza (in particolare si fa riferimento alla vicenda COGNOME), la Corte di appello ha segnalato la diversità dalla fattispecie esaminata atteso che, in quel diverso caso, il condanNOME era stato ammesso al giudizio abbreviato.
In particolare, la Corte reggina ha sottolineato come COGNOME non abbia mai «acquisito nel proprio patrimonio giuridico il diritto ad essere processato in rito abbreviato secondo le modalità più favorevoli, esistenti anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 341 del 2000, risultando che il rito abbreviato, d lui richiesto in grado di appello, non gli è stato mai concesso sulla base delle norme processuali pro tempore vigenti, con decisione immune da vizio all’esito del giudizio di cassazione».
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, per mezzo dei propri difensori, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando un motivo con il quale ha eccepito violazione di legge in relazione agli artt. 442 cod. proc. pen., 30, comma 1, lett. b, legge 479 del 1999, 4ter legge n. 144 del 2000, di conversione del d.l. n. 82 del 2000, 6, 7 CEDU, 3, e 117 Cost.
Ha dedotto la non decisività della mancata ammissione al giudizio abbreviato ai fini della caducazione del diritto del condanNOME alla conversione, in sede esecutiva, della pena perpetua in quella di anni trenta di reclusione.
A tale proposito, ha invocato alcuni passaggi delle sentenze delle Sezioni Unite, NOME ed Ercolano, al fine di ritenere decisiva l’avvenuta richiesta di ammissione al giudizio abbreviato nell’arco temporale gennaio – novembre 2000 per il riconoscimento del diritto alla conversione della pena.
Secondo il ricorrente solo nel caso di scelta dell’imputato di non essere giudicato con il rito alternativo (mancata richiesta o revoca della stessa) potrebbe negarsi la chiesta conversione.
In sostanza, non sarebbe l’ammissione al rito speciale a fondare il diritto alla conversione, ma la richiesta dello stesso nell’arco temporale di cui sopra.
Solo tale interpretazione potrebbe mettere al riparo l’imputato o il condanNOME dall’alea costituita dalla celerità o meno dello svolgimento del processo.
A tale proposito, sono stati richiamati e riportati alcuni passaggi della sentenza NOME.
E’ stata proposta una lettura estensiva dei principi espressi dai citati arresti delle Sezioni Unite in modo tale da applicare gli effetti della pronuncia COGNOME anche alle situazioni ad essa affini, fra i quali quello in cui l’imputato, nel vigenza dell’art. 30, comma 1, lett. b), legge 15 dicembre 1999, n. 479, nel periodo gennaio – novembre 2000, abbia proposto l’istanza di rito alternativo.
Ha conclusivamente evidenziato di non condividere la lettura restrittiva proposta dalla giurisprudenza di legittimità che ha sostenuto la tesi della conversione nel solo caso di ammissione al giudizio alternativo.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso in quanto manifestamente infondato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
La questione sottoposta all’esame di questa Corte si innesta nella più complessa vicenda, così detta, COGNOME che è stata caratterizzata dal succedersi di diverse norme e che può essere così sintetizzata.
L’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione originaria, prevedeva, nel caso di giudizio abbreviato, la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella di trenta anni di reclusione.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 176 del 1991, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione per eccesso di delega.
Pertanto, in seguito a tale pronuncia e fino al 2 gennaio 2000, data dell’entrata in vigore della successiva legge 16 dicembre 1979, n. 479, l’accesso al rito abbreviato, sulla base degli artt. 438 e 442 cod. proc. pen., è stato precluso agli imputati dei delitti puniti con l’ergastolo.
L’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. è stato modificato dall’art. 30, comma 1, lettera b), della legge n. 479 del 1999 citata mediante la reintroduzione della possibilità di procedere con il giudizio abbreviato per i reati punibili co l’ergastolo, e la sostituzione di questa pena con quella di trenta anni di reclusione.
Il successivo art. 7, d.l. 24 novembre 2000, n. 341, entrato in vigore lo
stesso 24 novembre 2000, e convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, ha modificato nuovamente l’art. 442 cod. proc. pen., stabilendo, da un lato e in via di interpretazione autentica della precedente modifica, che «nell’art. 442, comma 2, del codice di procedura penale, l’espressione “pena dell’ergastolo” è riferita all’ergastolo senza isolamento diurno», e, dall’altro, aggiungendo alla fine del comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen. che: «alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo».
L’art. 8 del medesimo decreto legge ha dettato la regola transitoria consentendo a chi avesse formulato una richiesta di giudizio abbreviato nel vigore della legge n. 479 del 1999 di revocarla entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge con conseguente prosecuzione del processo con il rito ordinario.
Per effetto di tale modifica, il giudizio abbreviato determinava la sostituzione della pena dell’ergastolo senza isolamento diurno con quella di trenta anni di reclusione e la sostituzione della pena dell’ergastolo con isolamento diurno con quella dell’ergastolo semplice.
Con la sentenza del 17 settembre 2009, COGNOME contro Italia, la Grande Camera della Corte EDU ha individuato nella successione tra la legge n. 479 del 1999 e il decreto legge n. 341 del 2000 una violazione degli artt. 6 e 7 della CEDU.
La Corte ha qualificato l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., norma di diritto penale sostanziale, in quanto, «se è vero che gli articoli 438 e 441-443 del c.p.p. descrivono il campo di applicazione e le fasi processuali del giudizio abbreviato, rimane comunque il fatto che il paragrafo 2 dell’articolo 442 è interamente dedicato alla severità della pena da infliggere quando il processo si è svolto secondo questa procedura semplificata».
Secondo la ricostruzione della Corte EDU, la disposizione rientra nel campo di applicazione dell’art. 7, paragrafo 1, della Convenzione, che include «il diritto dell’imputato di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato che prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza: nel caso di specie la sanzione di trenta anni di reclusione, pure nel caso di reati puniti con l’ergastolo con isolamento diurno, poi sostituita retroattivamente con quella del semplice ergastolo».
La violazione riscontrata dalla Corte EDU ha determiNOME la declaratoria di illegittimità costituzionalt(ia norma di interpretazione autentica di cui all’art d.l. n. 341 del 2000 1 dalla Corte costituzionale con sentenza n. 210 del 2013 che, sul punto, ha affermato: «Com’è noto, a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che «le norme ti
della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (sentenze n. 236, n. 113, n. 80 – che conferma la validità di tale ricostruzione dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – e n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311 del 2009), e deve perciò concludersi che, costituendo l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto all’art. 117, primo comma, Cost., una norma interposta, la sua violazione, riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza della Grande Camera del 17 settembre 2009, COGNOME contro Italia, comporta l’illegittimità costituzionale della norma impugnata».
Per la soluzione delle questioni sollevate dal ricorrente occorre tenere conto dei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con le decisioni nn. 34472 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 252933 e 34233 del 19/04/2012, NOME, Rv. 252932.
Con la prima è stato affermato che «le decisioni della Corte EDU che evidenzino una situazione di oggettivo contrasto – non correlata in via esclusiva al caso esamiNOME – della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronunzia della predetta Corte internazionale. (Fattispecie riguardante la possibilità che il giudice dell’esecuzione, in attuazione dei principi dettati in materia dalla Corte EDU, e modificando il giudicato, sostituisca la pena dell’ergastolo, inflitta all’esito del giudizio abbreviato, con la pena di anni tren di reclusione)».
Con la seconda è stato deciso che: «in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato, la pena da infliggere per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo è quella prevista dalla legge vigente nel momento della richiesta di accesso al rito: ne consegue che, ove quest’ultima sia intervenuta nel vigore dell’art. 7 D.L. n. 341 del 2000, va applicata (ed eseguita) la sanzione prevista da tale norma».
Tuttavia, come già più volte segnalato da questa Corte, sul punto, da ultimo Sez. 1, n. 39403 del 29/03/2023, COGNOME, n.m., «l’adeguamento concreto a tali principi nel diritto interno può essere ricondotto solo ai casi che si trovino in una situazione sovrapponibile a quella esaminata dalla Corte EDU nel caso COGNOME contro Italia. Infatti, l’applicazione della disciplina del giudizio abbreviato al ca di specie costituisce una fattispecie complessa integrata, nella quale la natura sostanziale del trattamento sanzioNOMErio applicato deve essere necessariamente
collegata alle modalità e ai tempi del rito speciale, così come si è articolato nella vicenda processuale in esame. In questi termini, deve affermarsi l’inapplicabilità del principio discendente dalla sentenza della Corte EDU intervenuta il 17 settembre 2009 nel caso COGNOME contro Italia a tutte quelle ipotesi – come quella in esame – che non sono sovrapponibili, nei loro elementi essenziali, alla situazione valutata dalla stessa Corte sovranazionale».
Da ciò discende che la conversione della pena dell’ergastolo in quella degli anni trenta di reclusione è possibile solo quando il rito abbreviato sia stato, non solo, chiesto, ma, anche, ammesso nel periodo compreso tra il 2 gennaio 2000 e il 24 novembre 2000, nella vigenza dell’art. 30, comma 1, lett. b), della legge 16 dicembre 1979, n. 479, secondo cui, in esito al rito speciale, all’ergastolo si sostituiva la pena di anni trenta di reclusione.
Inoltre, la decisione definitiva deve essere stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000, con applicazione del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, che ripristinava l’ergastolo senza isolamento diurno, con l’applicazione di un trattamento sanzioNOMErio sfavorevole al reo in violazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen. (cfr. Sez. U, n. 34233 del 19/04/2012, COGNOME, cit.).
Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Montenegro, Rv. 275324 (conforme, fra le molte, Sez. 1, n. 4075 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254212) ha inequivocabilmente chiarito anche che «a seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’Uomo n. 10249/03 del 17 settembre 2009, nel caso COGNOME contro Italia, il condanNOME con sentenza passata in giudicato può richiedere in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. a condizione che sia stato ammesso al giudizio abbreviato e che la sentenza di condanna sia stata emessa all’esito di tale giudizio».
Nel caso di specie, peraltro, non è dirimente la circostanza che il ricorrente si sia avvalso della norma transitoria di cui all’art. 4-ter di cui al d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144.
La disposizione consentiva la presentazione della richiesta di giudizio abbreviato nei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 82 del 2000 e nei quali prima della entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479 era scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio alternativo.
La richiesta poteva essere presentata nel giudizio di primo grado prima della conclusione dell’istruzione dibattimentale e, ciò che rileva in questa sede, nel giudizio di appello «qualora sia stata disposta la rinnovazione dell’istruzione ai sensi dell’articolo 603 del codice di procedura penale, prima della conclusione
della stessa».
Inoltre, poteva essere avanzata nel giudizio di rinvio, alle medesime condizioni.
L’istanza di ammissione al rito alternativo presentata da COGNOME all’udienza è stata rigettata dalla Corte di assise di appello che, quindi, ha emesso la sentenza secondo il rito ordinario.
Non sussistono, pertanto le condizioni alle quali la costante giurisprudenza di questa Corte subordina la conversione della pena dell’ergastolo in quella di trenta anni di reclusione, ossia l’avvenuta condanna alla pena dell’ergastolo per effetto di una modifica normativa in peius applicata in una vicenda procedimentale nella quale, per effetto della domanda e dell’ammissione al giudizio abbreviato, si era determinata l’aspettativa di una condanna più mite.
Le argomentazioni sin qui esposte si collocano in termini di totale coerenza con le decisioni assunte da questa stessa Sezione in occasione dei precedenti ricorsi proposti da COGNOME avverso le altre declaratorie di inammissibilità delle istanza di conversione da parte dei giudici dell’esecuzione precedentemente aditi.
Va segnalato che, con sentenza del 5 maggio 2015 di questa stessa Sezione, è stato dichiarato inammissibile il ricorso di COGNOME avverso l’ordinanza con la quale la Corte di appello di Reggio Calabria aveva dichiarato inammissibile la prima istanza di conversione della pena dell’ergastolo in quella di trenta anni di reclusione per effetto della, così detta, sentenza COGNOME (Corte EDU 17.9.2019).
A fondamento della decisione, è stata posta, essenzialmente,la circostanza che il ricorrente non è mai stato ammesso, nel processo in cui ha riportato la condanna all’ergastolo, al giudizio abbreviato.
E’ stato, in particolare, precisato che «la suddetta decisione delta Corte EDU (…) riguarda il caso di chi – ammesso al giudizio abbreviato, con l’aspettativa di vedersi sostituire la condanna alla pena dell’ergastolo inasprito dall’isolamento diurno, con la pena di trenta anni di reclusione – si è visto, per l’intervento d una legge entrata in vigore successivamente alla sua ammissione al giudizio abbreviato, condanNOME alla pena dell’ergastolo, e quindi l’ammissione al rito abbreviato – causa una modifica legislativa intervenuta nel corso del processo ha comportato solo l’eliminazione dell’isolamento diurno, lasciando ferma la condanna all’ergastolo».
La Corte ha evidenziato, altresì, che «presupposto essenziale per chiedere l’estensione degli effetti della sentenza COGNOME è l’ammissione al rito abbreviato, mentre non vi sarebbe alcuna ragione per estendere lo sconto di
pena a condannati che non hanno chiesto o comunque che non erano nelle condizioni per ottenere l’ammissione al suddetto rito».
Con riguardo alla specifica posizione di COGNOME, questa Corte, in quell’occasione, ha evidenziato come «il ricorrente è stato giudicato con rito ordinario e (…) non può essere discussa dal giudice dell’esecuzione la decisione presa nel processo di cognizione di non ammetterlo alo rito abbreviato, essendo detta decisione oramai coperta dal passaggio in giudicato della sentenza».
Infine, ha segnalato che «(…) alla stregua della normativa all’epoca vigente, la Corte di assise d’appello di Reggio Calabria non avrebbe potuto ammettere al rito abbreviato il COGNOME, essendo già conclusa l’istruttoria dibattimentale».
Le considerazioni ora riportate sono state, in seguito, ribadite dalla sentenza dell’11 luglio 2017 con la quale questa Sezione ha dichiarato inammissibile altro ricorso proposto avverso contro una nuova dichiarazione di inammissibilità dell’istanza di conversione pronunciata dalla Corte di assise di appello di Reggio Calabria, quale giudice dell’esecuzione.
In quell’occasione è stato ribadito come il ricorrente sia stato giudicato con il rito ordinario, sia irrilevante il riferimento difensivo alla sentenza delle Sezion Unite Ercolano (essendo stata accolta, in quel caso, l’istanza di ammissione al giudizio abbreviato) e come non possa riconoscersi natura sostanziale alla disciplina applicata dal giudice della cognizione che, «avendo rigettato l’istanza di giudizio abbreviato per ragioni processuali (conclusione dell’istruttoria in appello), ha disposto la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie» pervenendo alla determinazione della pena dell’ergastolo.
Da quanto esposto discende la piena correttezza del percorso argomentativo dell’ordinanza impugnata con la quale, ribaditi i principi di diritto che disciplinano la questione di interesse, è stata segnalata la diversità delle fattispecie relative ai casi giudicati con le sentenze invocate dal ricorrente a fondamento della reiterazione dell’istanza.
Si tratta di vicende (con particolare riferimento a quella relativa a COGNOME) relative a imputati ammessi al giudizio abbreviato, mentre COGNOME non è stato giudicato con tale rito alternativo.
A ciò si aggiungono le considerazioni che seguono.
E’ stato affermato che «in tema di incidente di esecuzione, l’art. 666 comma secondo cod. proc. pen., nella parte in cui consente al giudice la pronuncia di inammissibilità qualora l’istanza costituisca una mera riproposizione di una richiesta già rigettata, configura una preclusione allo stato degli atti che, come tale, non opera quando vengano dedotti fatti o questioni che non hanno formato oggetto della precedente decisione» ( Sez. 1, n. 19358 del 05/10/2016,
dep. 2017, Crescenza, Rv. 269841).
Si tratta di principio sostanzialmente conforme all’altro secondo cui, il perimetro entro il quale deve essere compiuta la valutazione del giudice dell’esecuzione, è individuato secondo lo schema per cui «il provvedimento del giudice dell’esecuzione divenuto formalmente irrevocabile preclude, ai sensi dell’art. 666, comma secondo, cod. proc. pen., una nuova pronuncia sul medesimo “petitum” finché non si prospettino elementi che, riguardati per il loro significato sostanziale e non per l’apparente novità della veste formale, possono essere effettivamente qualificati come nuove questioni giuridiche o nuovi elementi di fatto, sopravvenuti ovvero preesistenti, che non abbiano già formato oggetto di valutazione ai fini della precedente decisione, ed altre precedenti conformi» (Sez. 3, n. 50005 del 01/07/2014, COGNOME, Rv. 261394).
A precisazione dell’orientamento esposto e qui ribadito, deve essere affermato che la novità dell’elemento di fatto e delle questioni giuridiche che giustifica la riproposizione dell’istanza al giudice dell’esecuzione richiede che i tema introdotto con la nuova istanza non abbia formato oggetto di valutazione, neppure implicita, da parte del precedente giudice dell’esecuzione.
A ben vedere, nel caso di specie, il tema introdotto è, pur sempre, quello della irrilevanza dell’ammissione del ricorrente al giudizio abbreviato (tale sarebbe il contenuto delle decisioni intervenute in altre vicende, quali quelle COGNOME e COGNOME).
Il profilo, come sopra illustrato, è stato già ampiamente dibattuto e affrontato in occasione dei precedenti procedimenti.
Ciò integra un ulteriore e concorrente ragione di inammissibilità del ricorso.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento della somma, equitativamente fissata in euro quattromila (in ragione della reiterata riproposizione della medesima istanza avente identico petitum), in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro quattromila in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in data 16/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente