Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 10912 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 10912 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/12/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 14/06/2023 della CORTE ASSISE APPELLO di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOMENOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 14 giugno 2023, la Corte di assise di appello di Catania, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta avanzata da NOME COGNOME di conversione della pena dell’ergastolo inflittagli con sentenza della Corte di assise di appello di Catania in data 8 maggio 2000, in quella di trenta anni di reclusione.
Quale presupposto della domanda il condannato aveva dedotto di avere presentato richiesta di rito alternativo all’udienza di discussione dellS maggio 2000 davanti al giudice di appello, ai sensi dell’art. 4ter legge 5 giugno 2000, n. 144 e che, in un caso analogo, altra propria istanza era stata accolta.
Nel ripercorrere la disciplina che si è succeduta nella materia dell’applicabilità del giudizio abbreviato ai reati puniti con la pena dell’ergastolo il giudice dell’esecuzione si è soffermato, in particolare, sull’art. 7, comma 1, d.l. 24 novembre 2000, n. 341 (oggetto di declaratoria di illegittimità costituzionale per effetto della sentenza n. 210 del 2013) e sulla disciplina introdotta con d.l. 7 aprile 2000, n. 82 convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144.
Con tale norma (art. 4ter cit.) è stata consentita la richiesta di rito abbreviato per coloro che non l’avevano mai formulata in precedenza o la cui precedente richiesta fosse stata rigettata prima dell’entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999.
Tale richiesta era consentita a condizione che fosse formulata alla prima udienza successiva all’entrata in vigore della legge n. 144 del 2000 e, se proposta in appello, fosse stata riaperta l’istruttoria dibattimentale e la stessa fosse in corso.
Nel caso di specie, l’istanza era stata avanzata 1’8 maggio 2000 senza che fosse mai stata disposta la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale e mentre era in corso la discussione; conseguentemente, COGNOME non era stato ammesso al giudizio abbreviato.
La Corte di assise di appello, in assenza delle condizioni previste dalla legge, non ha disposto la chiesta conversione ritenendo coerente ed esente da profili di incostituzionalità la limitazione della conversione al solo caso in cui, con riferimento al giudizio di appello, la richiesta fosse stata presentata mentre era in corso la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale configurandosi, solo in tal caso, una giustificazione premiale per la più rapida definizione del processo.
Il giudice dell’esecuzione ha, inoltre, messo in evidenza la diversità rispetto ad altro procedimento in cui lo stesso condannato aveva beneficiatolella
conversione della pena perpetua in quella temporanea di trenta anni.
Infine, ha escluso qualsiasi ipotesi di disparità di trattamento, di violazione del principio di ragionevolezza o di irretroattività della legge penale sfavorevole.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso per cassazione NOME AVV_NOTAIO, per mezzo del proprio difensore, AVV_NOTAIO, articolando un motivo con il quale ha eccepito violazione di legge in relazione all’art. 2 cod. proc. pen., 6 e 7 CEDU e 3 Costituzione.
Ha dedotto l’erroneità e l’illogicità dell’affermazione secondo cui la fattispecie di interesse sia diversa da quella oggetto della pronuncia favorevole alla commutazione della pena dell’ergastolo adottata nei confronti dello stesso ricorrente dalla medesima Corte di assise di appello, con riguardo alla sentenza del 25 luglio 2001.
A tal fine, ha evidenziato come la conversione sia dovuta, in sede esecutiva, nel caso in cui il rito alternativo sia stato richiesto tra il 2 gennaio ed il novembre 2000, senza che possa assumere rilievo che la decisione definitiva sia pronunciata dopo il 24 novembre 2000.
L’art. 442 cod. proc. pen. costituisce norma sostanziale insuscettibile di applicazione retroattiva in malam partem.
Pertanto, essendo stata presentata la richiesta di rito abbreviato nel periodo in cui poteva essere avanzata la relativa istanza che, quindi, avrebbe dovuto essere accolta, con conseguente rideterminazione della pena, la decisione del giudice dell’esecuzione sarebbe erronea.
Nei confronti di COGNOME, il quale ha richiesto il rito alternativo in due diversi procedimenti nel medesimo periodo (nel corso dell’altro procedimento la richiesta è stata presentata il 16 maggio 2000), si sarebbe determinata una disparità di trattamento.
3. Il Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato.
La questione sottoposta all’esame di questa Corte si innesta nella più complessa vicenda, così detta, COGNOME che è stata caratterizzata dal succedersi di diverse norme e che può essere così sintetizzata.
L’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., nella formulazione originaria, prevedeva, nel caso di giudizio abbreviato, la sostituzione della pena
dell’ergastolo con quella di trenta anni di reclusione.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 176 del 1991, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale disposizione per eccesso di delega.
Pertanto, in seguito a tale pronuncia e fino al 2 gennaio 2000, data dell’entrata in vigore della successiva legge 16 dicembre 1979, n. 479, l’accesso al rito abbreviato, sulla base degli artt. 438 e 442 cod. proc. pen., è stato precluso agli imputati dei delitti puniti con l’ergastolo.
L’art. 442, comma 2, cod. proc. pen. è stato modificato dall’art. 30, comma 1, lettera b), della legge n. 479 del 1999 citata mediante la reintroduzione della possibilità di procedere con il giudizio abbreviato per i reati punibili con l’ergastolo, e la sostituzione di questa pena con quella di trenta anni di reclusione.
Il successivo art. 7, d.l. 24 novembre 2000, n. 341, entrato in vigore lo stesso 24 novembre 2000, e convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, ha modificato nuovamente l’art. 442 cod. proc. pen., stabilendo, da un lato e in via di interpretazione autentica della precedente modifica, che «nell’art. 442, comma 2, del codice di procedura penale, l’espressione “pena dell’ergastolo” è riferita all’ergastolo senza isolamento diurno», e, dall’altro, aggiungendo alla fine del comma 2 dell’art. 442 cod. proc. pen. che: «alla pena dell’ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell’ergastolo».
L’art. 8 del medesimo decreto legge ha dettato la regola transitoria consentendo a chi avesse formulato una richiesta di giudizio abbreviato nel vigore della legge n. 479 del 1999 di revocarla entro trenta giorni dall’entrata in vigore del decreto legge con conseguente prosecuzione del processo con il rito ordinario.
Per effetto di tale modifica, il giudizio abbreviato determinava la sostituzione della pena dell’ergastolo senza isolamento diurno con quella di trenta anni di reclusione e la sostituzione della pena dell’ergastolo con isolamento diurno con quella dell’ergastolo semplice.
Con la sentenza del 17 settembre 2009, COGNOME contro Italia, la Grande Camera della Corte EDU ha individuato nella successione tra la legge n. 479 del 1999 e il decreto legge n. 341 del 2000 una violazione degli artt. 6 e 7 della CEDU.
La Corte ha qualificato l’art. 442, comma 2, cod. proc. pen., norma di diritto penale sostanziale, in quanto, «se è vero che gli articoli 438 e 441-443 del c.p.p. descrivono il campo di applicazione e le fasi processuali del giudizio abbreviato, rimane comunque il fatto che il paragrafo 2 dell’articolo 442 è interamente dedicato alla severità della pena da infliggere quando il processo si è svolto
secondo questa procedura semplificata».
Secondo la ricostruzione della Corte EDU, la disposizione rientra nel campo di applicazione dell’art. 7, paragrafo 1, della Convenzione, che include «il diritto dell’imputato di beneficiare della legge penale successiva alla commissione del reato che prevede una sanzione meno severa di quella stabilita in precedenza: nel caso di specie la sanzione di trenta anni di reclusione, pure nel caso di reati puniti con l’ergastolo con isolamento diurno, poi sostituita retroattivamente con quella del semplice ergastolo».
La violazione riscontrata dalla Corte EDU ha determinato la declaratoria di illegittimità costituzionale la norma di interpretazione autentica di cui all’art. d.l. n. 341 del 2000 dalla Corte costituzionale con sentenza n. 210 del 2013 che, sul punto, ha affermato: «Com’è noto, a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che «le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare a esse interpretazione e applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali norme interposte, il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli obblighi internazionali» (sentenze n. 236, n. 113, n. 80 – che conferma la validità di tale ricostruzione dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 – e n. 1 del 2011; n. 196 del 2010; n. 311 del 2009), e deve perciò concludersi che, costituendo l’art. 7 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto all’art. 117, primo comma, Cost., una norma interposta, la sua violazione, riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza della Grande Camera del 17 settembre 2009, COGNOME contro Italia, comporta l’illegittimità costituzionale della norma impugnata». Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Per la soluzione delle questioni sollevate dal ricorrente occorre tenere conto dei principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con le decisioni nn. 34472 del 24/10/2013, Ercolano, Rv. 252933 e 34233 del 19/04/2012, NOME, Rv. 252932.
Con la prima è stato affermato che «le decisioni della Corte EDU che evidenzino una situazione di oggettivo contrasto – non correlata in via esclusiva al caso esaminato – della normativa interna sostanziale con la Convenzione EDU assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell’ambito del quale è intervenuta la pronunzia della predetta Corte internazionale. (Fattispecie riguardante la possibilità che il giudice dell’esecuzione, in attuazione dei principi dettati in materia dalla Corte EDU, e modificando il giudicato, sostituisca la pena dell’ergastolo, inflitta all’esito del giudizio abbreviato, con la pena di anni trent
di reclusione)».
Con la seconda è stato deciso che: «in caso di condanna all’esito del giudizio abbreviato, la pena da infliggere per i reati astrattamente punibili con l’ergastolo è quella prevista dalla legge vigente nel momento della richiesta di accesso al rito: ne consegue che, ove quest’ultima sia intervenuta nel vigore dell’art. 7 D.L. n. 341 del 2000, va applicata (ed eseguita) la sanzione prevista da tale norma».
Tuttavia, come già più volte segnalato da questa Corte, sul punto, da ultimo Sez. 1, n. 39403 del 29/03/2023, COGNOME, n.m., «l’adeguamento concreto a tali principi nel diritto interno può essere ricondotto solo ai casi che si trovino in una situazione sovrapponibile a quella esaminata dalla Corte EDU nel caso COGNOME contro Italia. Infatti, l’applicazione della disciplina del giudizio abbreviato al caso di specie costituisce una fattispecie complessa integrata, nella quale la natura sostanziale del trattamento sanzionatorio applicato deve essere necessariamente collegata alle modalità e ai tempi del rito speciale, così come si è articolato nella vicenda processuale in esame. In questi termini, deve affermarsi l’inapplicabilità del principio discendente dalla sentenza della Corte EDU intervenuta il 17 settembre 2009 nel caso COGNOME contro Italia a tutte quelle ipotesi – come quella in esame – che non sono sovrapponibili, nei loro elementi essenziali, alla situazione valutata dalla stessa Corte sovranazionale».
Da ciò discende che la conversione della pena dell’ergastolo in quella degli anni trenta di reclusione è possibile solo quando il rito abbreviato sia stato, non solo, chiesto, ma, anche, ammesso nel periodo compreso tra il 2 gennaio 2000 e il 24 novembre 2000, nella vigenza dell’art. 30, comma 1, lett. b), della legge 16 dicembre 1979, n. 479, secondo cui, in esito al rito speciale, all’ergastolo si sostituiva la pena di anni trenta di reclusione.
Inoltre, la decisione definitiva deve essere stata pronunciata dopo il 24 novembre 2000, con applicazione del decreto-legge 24 novembre 2000, n. 341, convertito con modificazioni dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, che ripristinava l’ergastolo senza isolamento diurno, con l’applicazione di un trattamento sanzionatorio sfavorevole al reo in violazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen. (cfr. Sez. U, n. 34233 del 19/04/2012, COGNOME, cit.).
Sez. 1, n. 11916 del 21/11/2018, dep. 2019, Montenegro, Rv. 275324 (conforme, fra le molte, Sez. 1, n. 4075 del 04/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254212) ha inequivocabilmente chiarito anche che «a seguito della sentenza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti dell’Uomo n. 10249/03 del 17 settembre 2009, nel caso COGNOME contro Italia, il condannato con sentenza passata in giudicato può richiedere in sede esecutiva la riduzione della pena ex art. 442 cod. proc. pen. a condizione che sia stato ammesso al giudizio abbreviato e che la sentenza di condanna sia stata emessa all’esito di tale
giudizio».
Nel caso di specie, peraltro, non è dirimente la circostanza che il ricorrente si sia avvalso della norma transitoria di cui all’art. 4-ter di cui al dl. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, dalla legge 5 giugno 2000, n. 144.
La disposizione consentiva la presentazione della richiesta di giudizio abbreviato nei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 82 del 2000 e nei quali prima della entrata in vigore della legge 16 dicembre 1999, n. 479 era scaduto il termine per la proposizione della richiesta di giudizio alternativo.
La richiesta poteva essere presentata nel giudizio di primo grado prima della conclusione dell’istruzione dibattimentale e, ciò che rileva in questa sede, nel giudizio di appello «qualora sia stata disposta la rinnovazione dell’istruzione ai sensi dell’articolo 603 del codice di procedura penale, prima della conclusione della stessa».
L’istanza poteva, inoltre, essere presentata nel giudizio di rinvio, alle medesime condizioni.
L’istanza di ammissione al rito alternativo presentata da COGNOME all’udienza dell’8 maggio 2000 è stata rigettata dalla Corte di assise di appello che, quindi, ha emesso la sentenza secondo il rito ordinario.
Non sussistono, pertanto le condizioni alle quali la costante giurisprudenza di questa Corte subordina la conversione della pena dell’ergastolo in quella di trenta anni di reclusione, ossia l’avvenuta condanna alla pena dell’ergastolo per effetto di una modifica normativa in peius applicata in una vicenda procedimentale nella quale, per effetto della domanda e dell’ammissione al giudizio abbreviato, si era determinata l’aspettativa di una condanna più mite.
Tale essendo la sintesi della vicenda COGNOME, è evidente la diversità della fattispecie in esame rispetto a quella relativa allo stesso COGNOME (dal medesimo richiamata in ricorso) in relazione al diverso procedimento nel corso del quale egli ha chiesto, in data 16 giugno 2000, di essere giudicato con il rito abbreviato in ordine ad altro omicidio per il quale (a seguito dell’ammissione al giudizio abbreviato) ha riportato la condanna all’ergastolo poi commutata in sede esecutiva in quella di trenta anni di reclusione.
Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
4/1
processuali.
Così deciso in data 11/12/2023
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