Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 30675 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 30675 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di:
COGNOME NOME, n. a Sarzana, il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 22/12/2023 della Corte di appello di Roma; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte trasmesse dal Pubblico ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al rigetto della richiesta sostituzione della pena detentiva, rigettarsi nel resto il ricorso dell’imputato;
letta la memoria di replica alle conclusioni del P.g. trasmessa a mezzo p.e.c. in data 31 maggio 2024 dal difensore dell’imputato ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha insistito per l’annullamento della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Avverso la sentenza indicata in epigrafe -che aveva in tutto confermato la decisione del primo giudice in tema di corretta identificazione della condotta appropriativa, antigiuridicità e rilevanza penale dell’inadempimento consistente nell’aver trattenuto le somme ricevute quale agente della ditta che distribuiva i manufatti, quantificazione della sanzione inflitta in misura superiore al minimo edittale in allora vigente, subordinazione della sospensione condizionale della pena al risarcimento del danno liquidato in favore della costituita parte civile- propone ricorso per cassazione l’imputato, a ministero del difensore costituito, deducendo i vizi di motivazione, per mancanza e manifesta illogicità, così sinteticamente declinati:
Una motivazione solo apparente e, comunque, manifestamente illogica sostiene la prova della corretta identificazione dell’imputato quale autore della condotta di appropriazione del denaro ricevuto per la vendita di manufatti in qualità di agente del produttore/distributore; del pari manifestamente illogica la motivazione che attribuisce alla condotta la veste dell’illecito penale in luogo del mero inadempimento civilistico, peraltro collegato anche al fallimento della società per conto della quale operava l’imputato;
omessa motivazione della misura dello scostamento della sanzione irrogata dal minimo edittale in allora vigente e negata conversione della pena detentiva in sanzione pecuniaria, fondata sulla ritenuta inaffidabilità ed incapienza patrimoniale dell’imputato; manifestamente illogica e carente sarebbe anche la motivazione che, nel subordinare la sospensione condizionale della pena all’adempimento dell’obbligo risarcitorio, non tiene conto (ex officio) delle condizioni economiche dell’imputato.
Il AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO presso questa Corte, con le conclusioni scritte trasmesse per l’udienza ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Milano, in ordine alla richiesta di sostituzione della pena detentiva, rigettata solo sulla base di criteri fondati sulla capacità economica dell’imputato di far fronte all’impegno finanziario conseguente alla sostituzione della pena.
Con le conclusioni scritte trasmesse a mezzo p.e.c. in data 31 maggio 2024, il difensore del ricorrente, replicava alle argomentate conclusioni del P.g. insistendo per l’annullamento della sentenza impugnata in accoglimento di tutti i motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il primo motivo di ricorso, che contesta la correttezza della motivazione posta a base della dichiarazione di responsabilità per il reato di cui all’art. 646 cod. pen., y
non è consentito dalla legge in sede di legittimità, giacché, oltre ad essere privo di specificità in relazione alla puntuale diffusione dei motivi posti dalla Corte- di merito a sostegno della decisione, tende ad ottenere una inammissibile ricostruzione alternativa dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito. La Corte di appello, con motivazione esente da vizi logici o errori in diritto (quanto a doveri dell’agente mandatario), ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si veda, in particolare, pag. 5 della sentenza impugnata) indicando analiticamente i plurimi e precisi elementi (anche documentali) che hanno consentito la compiuta identificazione dell’agente nell’imputato. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: Sez. U, n. 6402, del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
2. Del pari è a dirsi per la qualificazione della condotta e “tipo” normativo identificato (appropriazione indebita, delitto p. e p. dall’art. 646 cod. pen.: possesso del denaro “altrui”, appropriazione di tale denaro facendone cosa propria, finalità di profitto per sé o per altri, sia sotto il profilo materiale, che per dife dell’elemento psicologico). La Corte ha argomentato, sul punto dedotto, evidenziando la detenzione precaria delle somme di denaro, affidate all’agente con un preciso vincolo di mandato, essendo l’agente venuto meno al preciso obbligo di trasferire al suo mandante le somme ricevute per suo conto quale agente deputato alla vendita e riscossione del prezzo di acquisto.
2.1. Pare opportuno definire gli elementi strutturali del delitto di appropriazione indebita, per come differenziatasi, nel corso dei secoli XVIII e XIX, tale fattispecie dal coacervo identitario del furto (la cui offensività rimase focalizzata sul momento della “sottrazione” al possessore), per assumere prima le vesti del “furto improprio” (offensivo della proprietà disgiunta dal possesso), di poi, con la codificazione francese del 1810, quelle dell’abuse de confiance. Tale carattere rimase immanente in tutte le codificazioni preunitarie, così come nel codice sardoitaliano, confluendo con la codificazione del 1889 nella fattispecie descritta all’art. 417 del codice “Zanardelli”: chiunque si appropria, convertendola in profitto di sé o d’un terzo, una cosa altrui che gli sia stata affidata o consegnata per qualsiasi titolo che importi l’obbligo di restituirla o di farne un uso determinato, è punito, a querela di parte ….
Ciò che caratterizzava l’appropriazione indebita era, ed è ancor oggi, la lesione del diritto di proprietà o di altro diritto reale, dall’offesa portata mediante l’abuso di un possesso non delittuosamente conseguito. Con il reato di appropriazione indebita il legislatore del 1930 ha quindi inteso incriminare il fatto di chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, avendo solo il possesso (assai precario nella
concreta fattispecie all’esame) della cosa mobile, dia alla stessa -nolente dominouna destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che ne giustificano il possesso, anche nel caso in cui si tratti di una somma di danaro (Sez. 2, n. 12869, del 8/3/2016, Rv. 266370; Sez. 2, n. 25281 del 31/5/2016). Più in AVV_NOTAIO sul tema della “altruità” penalmente rilevante: Sez. 2, 27540/2009; mentre sul concetto di “altruità e vincolo di destinazione” occorre confrontarsi con l’arresto a Sez. unite, n. 37954 del 25/05/2011, Rv. 250974; sul concetto di “altruità” non strettamente civilistico si veda pure Sez. unite n. 1327/2005.
2.3. Il motivo di ricorso che con tale argomentazione non si confronta, replicando sul punto i motivi di gravame, è pertanto inammissibile (Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, Rv. 276970).
Il terzo motivo di ricorso, che contesta la misura della sanzione, per come discosta dal minimo edittale in allora vigente (2017, ante riforma del 2019 ad effetto ingravescente, poi cancellato dall’intervento recente della Corte costituzionale, sent. n. 46 del 2024), è del pari infondato, avendo la Corte
territoriale argomentato, valorizzando le modalità della condotta, per stimare il fatto non retribuibile con una sanzione adagiata sul minimo edittale.
Fondato appare, viceversa, il motivo che censura di manifesta illogicità l’argomentazione posta a base della mancata conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, giacché la Corte ha in proposito valorizzato solo il mancato risarcimento spontaneo del danno, per dedurre da tale condotta una complessiva inaffidabilità ed incapienza finanziaria dell’imputato, tale da far dubitare del futuro adempimento dell’obbligazione pecuniaria, che sostituisce quella detentiva.
L’argomento innanzitutto prova troppo, giacché l’omesso adempimento spontaneo dell’obbligazione risarcitoria ben può trovare fondamento nella intima convinzione delle proprie ragioni, come in altre legittime strategie processuali, senza che ciò possa rappresentare con certezza una futura volontà elusiva o l’incapacità di far fronte alle proprie obbligazioni di natura pubblicistica. Ma v’è di più, giacche questa Corte ha più volte già affermato che le ragioni di incapienza finanziaria non possono formare ostacolo alla sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria (Sez. 2, n. 9397 del 1/2/2024, RV, 286130; Sez.1, n. 2357 del 12/10/2023, dep. 2024 Rv. 285786; Sez. 3, n. 26230 del 11/04/2018; Sez. U, n. 24476 del 22/04/2010, COGNOME, RV. 247274, che richiama i criteri indicati all’art. 133 cod. pen., il quale non prevede alcuna valutazione delle condizioni economiche del condannato.). Ritiene dunque il Collegio che meriti ancora condivisione il principio espresso con la pronuncia delle Sezioni unite n. 24476/2010 (poco sopra cit.), i giudici infatti hanno motivato la negazione dell’accesso alle pene sostitutive in base alla mancata volontà solutoria ed alla conseguente ipotizzata indisponibilità economica del prevenuto. Non ignora il Collegio che, di recente, con sentenza n. 44402 del 10/10/2022, Majer, Rv. 283954-01, la Sezione quinta sembra aver rivalutato il criterio economico di apprezzamento della solvibilità dell’imputato, come prerequisito della conversione. In tal senso, tuttavia, la decisione appena citata non sembra confrontarsi con le argomentazioni poste dalle (non recenti) Sezioni unite, né con il formante giurisprudenziale (cit.) che ne è seguito, tornando a seguire il criterio della potenziale capacità finanziaria estraneo al panorama tracciato dai contenuti dell’art. 133 cod. pen.. Pertanto, anche dopo la recente novella del sistema sostitutivo delle pene detentive, non vi è ragione per discostarsi dall’orientamento tradizionale patrocinato dalla sentenza n. 24476/2010, resa a Sezioni unite, già più volte citata.
4.1. Corretta appare invece la decisione che rigetta il motivo di appello speso sulla subordinazione della sospensione condizionale della pena, ai sensi dell’art. 165 cod. pen., atteso che il ricorrente nulla ha dedotto in proposito, anzi ha proposto il motivo di ricorso (appena sopra accolto) proprio escludendo la ritenuta e presunta incapienza finanziaria dell’imputato.
La sentenza impugnata, ferma l’irrevocabilità dell’affermazione di responsabilità e la misura della sanzione calcolata, deve essere pertanto annullata, con rinvio per nuova valutazione in ordine alla sostituzione della pena detentiva con la corrispondente sanzione pecuniaria.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata in relazione alla conversione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso e irrevocabile il giudizio di responsabilità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 11 giugno 2024
Il consigliere estensore COGNOME La Presidente