Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 23156 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 23156 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 14/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il 23/08/1975
avverso la sentenza del 10/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI CATANIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, irt persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio la sentenza impugnata in relazione al primo motivo, assorbito il secondo, e dichiarar inammissibile nel resto il ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 10 dicembre 2024, la Corte d’appello di Catania, in riforma della decisione del Tribunale di Catania, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui all’art. 496 cod. pen. e, concesse le atten generiche, lo ha condannato alla pena di otto mesi di reclusione, convertiti ne
pena pecuniaria di 18.000 euro, disponendone la rateizzazione in trentasei rate mensili di 500 euro ciascuna.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, proponendo tre motivi di censura.
2.1. Il primo motivo lamenta vizio di violazione di legge in relazione all’ar 56-quater, I. n. 689 del 1981. La Corte territoriale, ritenuto che la pena detenti potesse essere sostituita con la pena pecuniaria della multa, ne ha determinato l’ammontare applicando il tasso di conversione di 75 euro al giorno, senza tener conto che, per effetto della riforma introdotta con il d.lgs. n. 150 del 2022, il l minimo di detto tasso è stato portato a 5 euro, fino ad un massimo di 250 euro, da determinarsi in concreto sulla base delle condizioni lavorative del condannato.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione, in quanto la sentenza impugnata aveva disposto la rateazione della pena pecuniaria senza spiegare le ragioni per cui aveva determinato il numero delle rate in 36 e non nel massimo consentito dall’art. 133-ter cod. pen. cui l’art. 56-quater I. n. 689 del 198 rinvio.
2.3. Con il terzo motivo si deduce vizio di violazione di legge in relazione all mancata applicazione dell’art. 131-bis cod. pen., atteso che la particolare tenui della condotta, attestata dal fatto che il COGNOME, dopo aver dichiarato fal generalità, aveva poi reso quelle vere, dimostrava la particolare tenuità dell’offe
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto disporsi l’annullamento con rinvio la sentenza impugnata in relazione al primo motivo, assorbito il secondo, e dichiarare inammissibile nel resto il ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
Per ragioni di ordine logico deve essere esaminato innanzitutto il terzo motivo di ricorso, con cui si censura la mancata applicazione dell’art. 131-bis cod pen. Tale motivo è manifestamente infondato.
La Corte territoriale si è puntualmente attenuta all’insegnamento di questa Corte regolatrice, secondo cui, ai fini della configurabilità della causa di esclusi della punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen., il giudizio sulla tenuità del richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità dell fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod pen., delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile
e:
e dell’entità del danno o del pericolo (Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590 – 01).
La sentenza impugnata, attenendosi a tali principi, ha adeguatamente valutato le concrete modalità della condotta e l’entità del danno, evidenziando come questo non poteva ritenersi di minima gravità, considerato che l’imputato aveva reso false generalità ai Carabinieri che lo avevano fermato per un controllo, mentre le generalità vere erano state dichiarate solo dopo che, nell’immediatezza dei fatti, le forze dell’ordine avevano verificato la falsità di quelle r precedenza. Con motivazione logicamente ineccepibile, i giudici del merito hanno ravvisato in tale condotta la manifestazione non solo di insofferenza alle regole ma anche della spregiudicatezza dell’imputato nel momento in cui era stato sottoposto a controllo da parte dei Carabinieri.
3. Il primo motivo è fondato, con assorbimento del secondo.
L’art. 56-quater della legge 24 novembre 1981, n. 689, introdotto dall’art. 71 comma 1, lett. d), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, stabilisce che, per determina l’ammontare della pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e moltiplica per i giorni di pena detentiva. Stabilisce, altresì, che il valore giorna non può essere inferiore a 5 euro e superiore a 2.500 euro e corrisponde alla quota di reddito giornaliero che può essere impiegata per il pagamento della pena pecuniaria, tenendo conto delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.
Prevede, inoltre, che la pena pecuniaria possa essere rateizzata ai sens dell’art. 133-ter cod. pen.
La Corte territoriale ha accolto la richiesta avanzata dall’imputato d conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria sostitutiva e, richiamando l’art. 56-quater, I. n. 689 del 1981, ne ha determinat l’ammontare. Nel condurre la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria, ha tuttavia sostanzialmente omesso di applicare il pur richiamato art 56-quater, atteso che ha applicato il tasso di conversione nella misura di 75,0 euro per ogni giorno di pena detentiva, ritenendo di dover dare attuazione «a quanto statuito dalla Corte costituzionale con sentenza 1 febbraio 2022, n. 28».
Trattasi di valutazione evidentemente erronea.
La pronuncia della Corte costituzionale richiamata dai giudici d’appello ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 53, I. n. 689 del 1981, il disciplinava tra l’altro la conversione in parola, stabilendo, al comma 2, il val giornaliero della pena pecuniaria in misura non inferiore a quella fissata dall’a 135 cod. pen. Tale valore – a seguito delle modifiche introdotte dalla I. n. 94 d
2009 – era stato innalzato a 250,00 euro. Con la richiamata sentenza, la Corte costituzionale aveva dichiarato l’incostituzionalità della previsione di un tasso conversione così elevato, il quale aveva determinato nella prassi la «drastica compressione del ricorso alla sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria» e aveva al contempo trasformato la sostituzione della pena pecuniaria in «privilegio per i soli condannati abbienti, in contrasto con l’art. 3 Cost.».
La richiamata pronuncia ha quindi individuato il tasso di conversione in quello di 75 euro stabilito dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen. in relazione decreto penale di condanna, al fine di evitare che la semplice dichiarazione di incostituzionalità di tale previsione potesse pregiudicare l’applicabilità della pe pecuniaria, definita un «prezioso strumento destinato ad evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravità di scontare pene detentive troppo brevi perché possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma già sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, socia lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce» (Corte cost., sent n. 28 del 2022).
Tali considerazioni – come rilevato dalla Corte costituzionale – sono state alla base del criterio stabilito dalla legge n. 134 del 2021 che, all’art. 1, comma 1 lett. I), aveva delegato il Governo a prevedere che il valore giornaliero si determinato in misura indipendente dalla somma indicata dall’art. 135 cod. pen., in modo da evitare che essa risulti eccessivamente onerosa in rapporto alle condizioni economiche del condannato e del suo nucleo familiare, e da consentire al giudice di adeguare la sanzione sostitutiva alle condizioni economiche e di vita del condannato.
Tale delega ha appunto trovato attuazione attraverso l’inserimento nella legge n. 689 del 1981 dell’art. 56-quater, che ha individuato in modo autonomo i parametri di riferimento per la determinazione della conversione della pena detentiva in pena pecuniaria, prevedendo una forbice tra un minimo di 5 euro e un massimo di 2.500 euro entro i quali il giudice è chiamato a commisurare la pena in ragione delle complessive condizioni economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare.
È dunque tale disposizione che doveva trovare applicazione nel caso di specie, con la conseguenza che il giudice era tenuto determinare, all’interno della forbice dalla medesima prevista, il valore giornaliero della pena pecuniaria, corrispondente alla quota di reddito giornaliero dell’imputato, da individuare sulla base ai parametri indicati dal citato art. 56-quater, quali le complessive condizion economiche, patrimoniali e di vita dell’imputato e del suo nucleo familiare, sulle quali deve rendere specifica motivazione (Sez.6, n. 14873 del 12/03/2024, Rv. 286235-01).
La richiamata norma contempla altresì la possibilità per il giudice di rateizzare la pena pecuniaria, in un minimo di sei e un massimo di sessanta rate, tenuto
conto delle condizioni economiche e patrimoniali del condannato. L’esercizio di tale potere discrezionale deve essere giustificato attraverso una specifica motivazione
non solo facendo riferimento generico all’art. 133 cod. pen., ma soprattutto mettendo in evidenza da un lato l’ammontare della pena e dall’altro le condizioni
economiche del condannato (Sez. 6, n. 4184 del 09/12/1999, dep. 27/03/2000,
Dallabrida, Rv. 215852. Si veda, altresì, Sez. 3, n. 49580 del 27/10/2015,
NOME, Rv. 265591 – 01).
4. Ne segue l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena pecuniaria ai sensi dell’art. 56-quater I. 689/1981.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla quantificazione della pena pecuniaria ai sensi dell’art. 56-quater I. 689/1981, con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catania. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così è deciso, 14/04/2025