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Conversione del ricorso: la Cassazione e l’art. 580 cpp

Un’imputata, condannata per reati tributari, ricorre in Cassazione lamentando un vizio di procedura nella conversione del ricorso del Procuratore generale. La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile, chiarendo che la conversione del ricorso da cassazione ad appello è corretta ai sensi dell’art. 580 c.p.p. quando contro la stessa sentenza vengono proposti mezzi di impugnazione diversi, confermando la condanna e la confisca.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Conversione del ricorso: la Cassazione chiarisce l’applicazione dell’art. 580 c.p.p.

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 7549/2024, offre un’importante lezione sulla conversione del ricorso per cassazione in appello, un meccanismo cruciale della procedura penale. Il caso analizzato riguarda una condanna per reati tributari e la successiva, complessa, gestione delle impugnazioni presentate sia dall’imputata che dal Procuratore generale. La decisione della Suprema Corte consolida l’applicazione dell’art. 580 del codice di procedura penale, delineando i confini tra i diversi mezzi di impugnazione.

Il caso in esame: un’impugnazione incrociata

La vicenda processuale ha origine dalla sentenza di condanna del Tribunale di Potenza nei confronti di un’imputata per un reato previsto dal d.lgs. 74/2000 (reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto). Contro questa decisione, sia l’imputata che il Procuratore generale hanno proposto impugnazione. Mentre l’imputata ha seguito la via ordinaria dell’appello, il Procuratore generale ha depositato un ricorso diretto per cassazione.

La Corte d’appello, trovandosi di fronte a due mezzi di impugnazione diversi contro la stessa sentenza, ha applicato il principio della conversione del ricorso. Ha quindi convertito il ricorso per cassazione del Procuratore in un atto di appello, trattando e decidendo unitamente entrambe le impugnazioni. All’esito, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado, accogliendo la richiesta del PM di disporre la confisca per equivalente del profitto del reato (pari a oltre 62.000 euro) e rigettando l’appello dell’imputata.

La doglianza della difesa: la violazione delle regole sulla conversione del ricorso

L’imputata, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo un vizio procedurale. La tesi difensiva si fondava sull’idea che l’omessa comunicazione del ricorso del Procuratore generale le avrebbe impedito di esercitare il proprio diritto di proporre a sua volta un ricorso diretto per cassazione (il cosiddetto ricorso per saltum), rinunciando all’appello. Secondo questa prospettiva, la conversione del ricorso operata dalla Corte d’appello sarebbe stata illegittima, inficiando la successiva decisione sulla confisca.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile, con una motivazione chiara e precisa.

In primo luogo, i giudici hanno chiarito la natura del ricorso del Procuratore generale. A seguito delle recenti riforme normative (d.lgs. n. 11/2018), il pubblico ministero non poteva appellare la sentenza di condanna in questione. L’unico strumento a sua disposizione era, pertanto, il ricorso diretto per cassazione ai sensi dell’art. 608 c.p.p. Non si trattava, quindi, di un ricorso per saltum ex art. 569 c.p.p. (che presuppone la facoltà di scegliere tra appello e cassazione), ma dell’unico mezzo di impugnazione consentito.

Su questa premessa, la Corte ha affermato la piena legittimità dell’operato della Corte d’appello. L’art. 580 c.p.p. stabilisce un principio generale: “quando contro la sentenza sono proposti mezzi di impugnazione diversi… il ricorso per cassazione si converte nell’appello”. Essendoci un appello dell’imputata e un ricorso per cassazione del PM, la conversione era non solo corretta, ma doverosa. Questo meccanismo garantisce l’unicità del processo di impugnazione e la coerenza delle decisioni.

Inoltre, la Cassazione ha evidenziato, a titolo di completezza, che dagli atti risultava comunque che il ricorso del Procuratore generale era stato notificato all’imputata presso la sua residenza, la quale non aveva poi esercitato la facoltà di proporre a sua volta ricorso per cassazione nei termini previsti. Pertanto, nessun diritto di difesa era stato violato.

Le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale: la conversione del ricorso è un meccanismo automatico che si attiva in presenza di impugnazioni eterogenee contro la stessa sentenza, al fine di concentrare il giudizio presso la Corte d’appello. La Corte ha inoltre precisato la distinzione tra il ricorso per cassazione come unica via percorribile per il PM (in base ai limiti posti dall’art. 593 c.p.p.) e il ricorso per saltum, che rappresenta una scelta strategica della parte che ha diritto ad appellare. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha reso definitiva la condanna dell’imputata e la confisca del profitto del reato, condannandola anche al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende.

Quando un ricorso per cassazione viene convertito in appello?
Secondo l’art. 580 del codice di procedura penale, la conversione avviene quando contro la stessa sentenza vengono proposti mezzi di impugnazione diversi (ad esempio, un appello e un ricorso per cassazione). In questo caso, il ricorso per cassazione viene convertito in appello e trattato unitamente all’altro dalla Corte d’appello.

Il Pubblico Ministero può sempre appellare una sentenza di condanna di primo grado?
No. La sentenza chiarisce che, a seguito della riforma introdotta dal d.lgs. 11/2018, il diritto del pubblico ministero di appellare le sentenze di condanna è limitato a casi specifici. Quando queste condizioni non ricorrono, l’unico mezzo di impugnazione a sua disposizione è il ricorso diretto per cassazione.

Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se la Corte di Cassazione dichiara un ricorso inammissibile, non esamina il merito della questione. La sentenza impugnata diventa definitiva e il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria in favore della Cassa delle Ammende, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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