Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 20134 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 20134 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 15/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da C.M.C.-RAGIONE_SOCIALE
in persona del suo legale rappresentante, NOME COGNOME avverso il decreto del 17/12/2024 emesso dalla Corte di Appello di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procura generale NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore della RAGIONE_SOCIALE c ha concluso per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, sezione misure di prevenzione, con provvedimento impugnato ha confermato il decreto di rigetto emesso dal Tribunale di Napoli in data 22 maggio 2024 dell’istanza avanzata ex art. 34-bis, comma 6, del d.lgs. 159/2011 (c.d. Codice Antimafia) dalla società RAGIONE_SOCIALE per l’applicazione della misura del contr giudiziario volontario a seguito dell’interdittiva antimafia emessa in data 21 gi
2023 dal Prefetto di Napoli ed oggetto di impugnazione davanti al giudice amministrativo.
GLYPH Con il proprio ricorso, la ricorrente ha impugnato il decreto di rigetto della istanza di sottoposizione della società RAGIONE_SOCIALE alla misura di prevenzione del controllo giudiziario, regolata dall’art. 34-bis del citato Codice antimafia, deducendo i motivi di seguito indicati.
2.1. GLYPH Con il primo motivo denuncia violazione di legge sotto il profilo della omessa motivazione per avere la Corte di appello pretermesso molteplici elementi di assoluto rilievo utili a sostenere il carattere solo occasionale e non perdurante o stabile dell’infiltrazione dell’associazione mafiosa camorristica denominata “clan COGNOME” nella gestione dell’impresa facente capo a NOME COGNOME che ne era socio di maggioranza e amministratore unico, al tempo della commissione dei reati di riciclaggio ed impiego di finanziamenti provenienti da detto clan di camorra nel contesto del sistema criminoso di aggiudicazione degli appalti pubblici, per i quali è tuttora sottoposto alla misura interdittiva applicatagli con l’ordinanza cautelare emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli in data 9 aprile 2022.
La Corte ha valorizzato le risultanze delle indagini condotte nei confronti di NOME COGNOME ed in particolare le cointeressenze della C.M.C. con il sistema di aggiudicazione di alcuni appalti pubblici gestiti attraverso la creazione di una ATI con la società RAGIONE_SOCIALE facente capo a soggetti (NOME COGNOME e fratelli) ritenuti partecipi o concorrenti esterni del “clan COGNOME“, senza considerare tutti gli elementi emersi a favore della ricostruzione di un rapporto di contaminazione mafiosa limitato ad un periodo ristretto di tempo (anni 2015-2019) e ad un numero ridotto di appalti pubblici (cinque), in rapporto alla mole enorme di commesse pubbliche legittimamente assegnate alla C.M.C. (circa 73 nel periodo 2015-2021).
Inoltre, in disparte la debolezza degli indizi a carico di NOME COGNOME non sono emersi elementi di contiguità mafiosa nei confronti degli altri familiari, in particolare del figlio NOME COGNOME che è subentrato nella titolarità del capital sociale dopo la cessione delle quote da parte del padre indagato, seguita al dissequestro della società, disposto dal G.i.p. del Tribunale di Napoli in data 20 febbraio 2023, dopo dieci mesi dall’applicazione del sequestro e la nomina di un amministratore giudiziario (NOME COGNOME, confermato attraverso la sua successiva nomina come amministratore unico dopo la cessazione del vincolo giudiziario, a dimostrazione della volontà di assicurare la massima trasparenza della gestione amministrativa della società.
Ma soprattutto non è stato dato il giusto rilievo al provvedimento di dissequestro dell’azienda e del capitale sociale della C.M.C. nella cui motivazione si rimarca il carattere non stabile della strumentalità della società agli interessi de “clan COGNOME“, perché limitati ad un periodo circoscritto, tale da indurre ad
escludere una prognosi di pericolosità dell’azienda in prospettiva futura, con riscontro nelle relazioni dell’amministratore giudiziario dott. COGNOME e dell’amministratore straordinario NOME COGNOME nominato dal Prefetto, posto che l’infiltrazione mafiosa è contenuta sia sotto il profilo temporale ma anche in rapporto al volume globale degli affari.
Ulteriore punto dolente segnalato è la sottovalutazione degli interventi di autocontrollo (misure di self cleaning) realizzati dalla società, considerati irrilevanti perché ritenuti tardivi ed interessati, senza apprezzarne le finalità di trasparenza della gestione amministrativa (il cambio di sede da Napoli a Caserta), il mutamento della forma societaria (da RAGIONE_SOCIALE), la nomina come amministratore unico dello stesso soggetto nominato amministratore giudiziario dal G.i.p. in sede di sequestro preventivo dell’azienda (poi revocato).
2.2. Con il secondo motivo denuncia il vizio legge per motivazione apparente in ordine alla carenza del requisito della “bonificabilità” della società, per essere stati travisati i dati di fatto posti a fondamento della decisione impugnata in assenza di ingerenze mafiose stabili e perduranti nella gestione della società RAGIONE_SOCIALE, strutturali o continuative, senza considerare l’assenza di elementi di prova di una prosecuzione delle ipotesi di reimpiego di fondi illeciti provenienti dal “clan COGNOME” al di fuori del periodo circoscritto dalle imputazioni ascritte al COGNOME NOME e per cifre che sebbene rilevanti, perdono valore in rapporto al volume globale di affari per svariati milioni di euro nel solo periodo considerato (20152019).
Le affermazioni contrarie in ordine alla continuità dell’infiltrazione mafiosa nella gestione da parte del figlio NOME COGNOME dell’impresa familiare, quale longa manus del padre-indagato, sono apodittiche e congetturali, atteso che gli elementi tratti dall’ordinanza di custodia cautelare del G.i.p. di Napoli potrebbero solo supportare l’esistenza di una infiltrazione mafiosa occasionale e non strutturale, che rappresenta il presupposto per l’accoglimento della richiesta misura del controllo giudiziario.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato.
Va ricordato che il punto di incontro tra la misura di prevenzione amministrativa dell’interdittiva antimafia e la misura di prevenzione di competenza della A.G. si colloca nell’ambito di quelle situazioni di contiguità mafiosa più sfumate e meno gravi, potendosi solo entro questi limiti, attraverso l’applicazione del controllo giudiziario effettivamente salvaguardarsi l’interesse pubblico alla
continuità dell’impresa, sospendendo l’efficacia dei divieti di qualunque attivi rapporti d’impresa con la pubblica amministrazione (contratti, concessioni sovvenzioni pubblici), e anche quelli tra privati (autorizzazioni), qualora si che tale rimedio sia sufficiente a scongiurare il pericolo dell’infiltrazione maf
È stato già chiarito da questa Corte di cassazione che la veri dell’occasionalità dell’infiltrazione mafiosa, che il tribunale è tenuto a compie disporre il controllo giudiziario ai sensi dell’art. 34-bis del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, non deve essere finalizzata ad acquisire un dato statico, consistente cristallizzazione della realtà preesistente, ma deve essere funzionale a un giu prognostico circa l’emendabilità della situazione rilevata, mediante gli strumen controllo previsti dall’art. 34-bis, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 159 del 2011 (Sez. 6, n. 1590 del 14/10/2020, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 280341).
Orbene nel caso di specie la Corte di appello, pur muovendo dalla corret delimitazione dell’ambito di applicazione del predetto istituto alle situazioni l’infiltrazione mafiosa presenti caratteristiche di occasionalità, non fornis adeguata motivazione rispetto ai profili fattuali che sono stati messi in evi dal ricorrente, tratti dalla motivazione dell’ordinanza del G.I.P. emessa in d febbraio 2023 che ha disposto la revoca della misura cautelare del sequest preventivo dell’azienda.
Pur ritenendosi adeguatamente motivato che COGNOME NOME quale dominus dell’impresa possa avere intrapreso delle compromettenti iniziati imprenditoriali in accordo con altre imprese mafiose nel periodo oggetto de contestazione dei reati di riciclaggio ascrittigli, risulta carente la valutaz requisito del carattere strutturale e stabile dell’infiltrazione mafiosa, in all’elevato volume di affari leciti della società e al dato che risulta conferma la società aveva già conseguito la classe 7 (per importi oltre 13.000.000 e nella classificazione delle qualificazioni RFI delle capacità imprenditoria rapporto alla solidità dei mezzi economici finanziari già nel 2015, quindi, non effetto e prima dell’appoggio ricevuto con l’afflusso dei capitali di proven mafiosa.
Il soggetto indagato, COGNOME NOME, quale dominus dell’impresa avente sin dalla sua origine un carattere spiccatamente familiare, è stato rit coinvolto da accordi assunti con il “Clan RAGIONE_SOCIALE” in riferimento ai fatti per i gli è stata applicata la misura interdittiva sulla base di intercettaz avvalorano l’ipotesi di accusa di un sistema di controllo mafioso degli appalti g dalla RAGIONE_SOCIALE da parte di detto clan camorristico.
Ma è stato anche evidenziato come in sede di revoca della misura del sequestro preventivo dell’impresa RAGIONE_SOCIALE siano state valorizzati degli elementi
fatto chiaramente indicativi del carattere non stabile e duraturo dell’infiltrazione mafiosa, perché limitata ad un periodo temporale circoscritto dal 2015 al 2019.
La decisione impugnata non si confronta con le dimensioni ed il giro di affari di detta impresa, descritta come una società solida sul piano finanziario che non necessitava degli aiuti mafiosi e che ha operato sin dagli anni ’80 nel settore delle commesse pubbliche senza rilievi di sorta, se non per un numero ridotto di appalti desunti dalle indagini e per il periodo suddetto.
Ciò anche a fronte della ambiguità del riferimento, valorizzato nel provvedimento impugnato come indizio di permanente presenza di infiltrazione mafiosa, ad una frase pronunciata dall’amministratore giudiziario (Danzica) in pendenza del sequestro preventivo dell’azienda, che aveva manifestato la volontà di dare le dimissioni perché “non aveva le mani libere” ma che, poi, con le rassicurazioni di COGNOME NOME (figlio di COGNOME NOME) ha proseguito nell’amministrazione senza rilevare opacità contabili o indizi di infiltrazioni mafiose, fino alla sua sostituzione con altro amministratore.
Peraltro, deve tenersi conto che il controllo giudiziario volontario è una misura di prevenzione che arreca solo un vantaggio relativo che si protrae finchè pende il procedimento di impugnazione della misura dell’interdittiva antimafia e comporta comunque dei controlli sulla gestione amministrativa e contabile della società utili ad individuare se sussistano attualmente e concretamente collegamenti mafiosi, consentendo la prosecuzione dell’attività di impresa nelle more della definizione del ricorso amministrativo, per evitare che la stessa, ove privata di commesse pubbliche o di autorizzazioni essenziali per la prosecuzione dell’attività, subisca conseguenze irreparabili a causa della “pendenza” del provvedimento prefettizio (Sez. 2, n.16105 del 15/03/2019, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 276530).
Altro requisito da valutare ai fini dell’applicazione di detta misura è la c.d. bonificabilità dell’impresa, intesa come la concreta possibilità dell’impresa stessa di riallinearsi con il contesto economico sano, affrancandosi dal condizionamento delle infiltrazioni mafiose.
Sul punto la motivazione della decisione impugnata appare apodittica ed apparente perché non si confronta concretamente con gli elementi desunti dalla ordinanza di revoca del sequestro preventivo che contraddicono apertamente il ritenuto carattere strutturale del legame con l’associazione mafiosa, deponendo nel senso cioè di escludere che si tratti di una impresa stabilmente al servizio degli interessi mafiosi, in ragione della predominante rilevanza dell’attività economica lecita sia precedente che contemporanea rispetto a quella riferita al circoscritto periodo del coinvolgimento nel sistema degli appalti pubblici gestito dal “Clan Moccia” (cfr. pp. 6, 7 e 8 del cit. provvedimento di revoca del 20 febbraio 2023).
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Quindi, può prescindersi dalla verifica dell’utilità effettiva delle misure di coerentemente ritenute insufficienti allorchè la cessione delle quote dal
cleaning, padre al figlio, senza effettivi e dimostrati esborsi, si presta ad essere valutata
quale forma di intestazione fiduciaria del tutto inidonea a mutare la natura di impresa di carattere prettamente familiare, pur dopo l’assunzione della veste di
società per azioni.
Ciò che deve essere, invece, rivalutato è la natura del legame criminale intercorso tra NOME COGNOME e la cosca camorristica e le ripercussioni che tale
legame hanno prodotto sulla azienda ad esso facente capo, sulla rete delle relazioni economiche, sulle capacità finanziarie, in rapporto al volume globale degli
affari, atteso che delle condotte illecite sia pure gravi ed implicanti accordi con organizzazioni criminali da parte del suo amministratore e socio unico, non
possono essere considerate di per sé indicative di una compenetrazione permanente e stabile dell’infiltrazione mafiosa e, quindi, ostative al controllo
volontario, senza considerare l’incidenza che tali condotte di reato hanno concretamente determinato nell’assetto complessivo dell’azienda.
La circostanza che degli accordi mafiosi abbiano favorito l’aggiudicazione di alcuni appalti in un arco temporale limitato nel tempo rispetto alla vita dell’azienda non esclude il carattere occasionale dell’interferenza mafiosa, senza una verifica puntuale di come tale interferenza possa avere concretamente compromesso in modo irrimediabile la struttura economica e finanziaria dell’azienda.
In conclusione, il decreto impugnato va annullato con rinvio alla Corte di appello di Napoli per un nuovo giudizio alla stregua dei parametri normativi ed ermeneutici sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.
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Così deciso in Roma il 15 aprile 2025
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