Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 47370 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 47370 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SIRACUSA il 16/07/1970
avverso il decreto del 28/03/2022 del GIUD. RAGIONE_SOCIALE di NOVARA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe il Magistrato di sorveglianza di Novara ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da NOME COGNOME avverso il divieto di invio al difensore, in busta chiusa, di una missiva contenente un supporto informatico, se non previamente sottoposta a controllo da parte degli operatori.
Esclusa la sottoposizione a visto di controllo, è stato precisato che la verifica era funzionale solo ad acquisire certezza del quantitativo di CD da «inventariare in capo al detenuto» e verificare che non venissero inviati materiali oppure oggetti non consentiti dal regolamento interno.
A tale proposito, il Magistrato di sorveglianza ha richiamato precedenti provvedimenti del 29 luglio 2021 e del 28 settembre 2021 conformi ad altre decisioni assunte da questa Corte nella materia di interesse.
Avverso il provvedimento ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME per mezzo del proprio difensore, articolando un unico motivo con il quale ha eccepito violazione di legge con riferimento agli artt. 15, 24 e 111 Cost., 666, commi 2, 3 e 4, cod. proc. pen. e 35bis ord. pen.
Il ricorrente ha contestato l’affermazione del Magistrato di sorveglianza secondo cui la questione era stata già decisa nelle precedenti ordinanze dallo stesso richiamate.
Inconferente sarebbe, GLYPH inoltre, GLYPH il GLYPH riferimento al GLYPH precedente della giurisprudenza di legittimità indicato nel provvedimento impugnato, anche alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 18 del 2022 in punto di divieto assoluto di controllo della corrispondenza tra detenuto e proprio difensore.
Lo stesso regolamento interno della Casa circondariale sarebbe illegittimo e dovrebbe essere disapplicato, nella parte in cui prevede la possibilità di contrclli affinché non siano presenti nella corrispondenza materiali non consentiti ai sensi dell’art. 41bis ord. pen.
Il Procuratore generale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Con il provvedimento impugnato, il Magistrato di sorveglianza, richiamando altre proprie precedenti decisioni, ha precisato che la questione
posta da NOMECOGNOME con il proposto reclamo, non attiene alla sottoposizione a visto di controllo della corrispondenza su supporto informatico intercorrente tra detenuto e difensore, nel caso di materiale giudiziario troppo voluminoso.
L’esclusione di tale materiale dall’apposizione di qualsiasi tipo di visto di controllo è stata, sostanzialmente ribadita, con la precisazione che permane, tuttavia, l’esigenza per la Casa circondariale di accertare la natura degli oggetti trasmessi e il numero dei CD inviati.
A tale proposito, il provvedimento impugnato dal ricorrente ha richiamato quanto deciso dallo stesso Magistrato di sorveglianza e dal Tribunale di sorveglianza di Torino in casi simili, nonché il pronunciamento di questa Corte costituito da Sez. 1, n. 27571 del 28/2/2019, COGNOME, n.m.
In quell’occasione, è stato escluso, infatti, che la previsione di controlli formali, per come descritti dall’art. 35 disp. att. cod. proc. pen. e dalla stessa Circolare del DAP in materia di «Organizzazione del circuito detentivo speciale previsto dall’art. 41-bis», possa determinare una qualsiasi frizione con il principio costituzionale di tutela della segretezza della corrispondenza ai sensi dell’art. 15 Cost.
La possibilità per l’Amministrazione di verificare la pertinenza del materiale inoltrato al difensore, allo scopo di controllare l’osservanza dei requisiti formali della comunicazione, rientra fra le attività consentite che escludono ogni contrasto con il suddetto principio costituzionale.
Peraltro, nel caso di specie, il rispetto dei requisiti formali è stato indicat come meramente funzionale ad escludere la presenza di materiale e/o oggetti non consentiti e di accertare il numero di supporti informatici trasmessi.
Né in tale operazione di mera verifica esterna al contenuto di quanto trasmesso, è ravvisabile alcuna violazione dei principi fissati dalla sentenza del 24 gennaio 2022, n. 18 con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera e), ord. pen., per contrasto con l’art. 24 Cost., nella parte in cui non esclude dalla sottoposizione a visto di censura la corrispondenza intrattenuta con i difensori.
La Corte è pervenuta alla predetta declaratoria segnalando la necessità che il diritto di difesa non risulti compromesso nella sua effettività e che le limitazion siano funzionali, in concreto, agli obiettivi cui è preordinato il regim differenziato: evitare che possano esservi collegamenti dei detenuti con altri appartenenti alle medesime organizzazioni, anch’essi detenuti, o che si trovino in libertà.
Riprendendo la motivazione di cui alla sentenza n. 143 del 2013 in punto di limitazione quantitativa dei colloqui dei detenuti in regime differenziato con i difensori (limitazione ritenuta tale da determinare un irragionevole decremento
del diritto di difesa, senza un corrispondente incremento di un interesse di pari rango), la Corte ha ritenuto, da un lato, la previsione non adeguata rispetto allo scopo perseguito atteso che «nel contesto delle altre misure previste dal comma 2-quater dell’art. 41-bis ordin. penit., la disposizione in esame si appalesa del tutto inidonea (…), dal momento che il temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti o internati potrebbe comunque avvenire nel contesto dei colloqui visivi o telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato, rispetto al cui contenuto non può essere operato alcun controllo».
La mancata previsione di limiti quantitativi è stata giudicata eccessiva (fondandosi su una sorta di presunzione di collusione tra difensore e organizzazione criminale) rispetto alle finalità perseguite in quanto implicante la sottoposizione a controllo di «tutte le comunicazioni del detenuto con il proprio difensore. E ciò in assenza di qualsiasi elemento concreto che consenta di ipotizzare condotte illecite da parte di quest’ultimo».
Alla luce di tali precisazioni, è palese la totale estraneità del controllo descritto nel provvedimento impugnato a qualsiasi potenziale frizione con i principi affermati dalla Corte costituzionale, pure, impropriamente, richiamati dal ricorrente.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuale e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» al versamento della somma, equitativamente fissata in euro tremila, in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
o O GLYPH Così deciso il 12/11/2024