Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23990 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23990 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 03/06/2025
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il ricorso;
lette le memorie di replica del 5 maggio e 21 maggio 2025 dell’avvocata NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso;
letti i “motivi aggiunti” depositati dai difensori, avvocata NOME COGNOME e avvocato NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Catanzaro, annullata l’ordinanza genetica in relazione al reato di cui al capo 2), perché assorbito in quello di cui al capo 1), ha confermato l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di NOME COGNOME in relazione al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.
Il ricorrente è stato individuato come partecipe dell’associazione ndrangheta, locale di Guardavalle, cosca COGNOME, essendosi occupato, su incarico di NOME
NOME COGNOME di consegnare cellulari a detenuti per mantenere i contatti con l’esterno e per avere procurato a NOME NOME e NOME COGNOME l’inosservanza di pena.
2.Con i motivi di ricorso, sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. pr pen. nei limiti strettamente indispensabili ai fini della motivazione, il ricorren denuncia l’erronea applicazione della legge penale (art. 416-bis cod. pen.) e processuale (art. 192 cod. proc. pen.) con riferimento alla esistenza della consorteria e alla condotta partecipativa del ricorrente.
Il Tribunale, con motivazione apodittica, si è limitato a richiamare le risultanze di numerosi e anche remoti procedimenti penali senza spiegare le ragioni della loro rilevanza ai fini della dimostrazione della esistenza del clan COGNOME che, in realtà, è oggetto di soli due procedimenti le cui sentenze ne “attestano” l’operatività negli anni 2013 e 2015, quindi ad epoca ben lontana dai fatti ascritti al Riitano. Vieppiù, gli elementi di prova “nuovi”, emersi nel procedimento in esame, sono inidonei a configurare la natura nadranghetista del clan COGNOME e la finalità di controllo del territorio essenziali ai fini della sussistenza del reato associativo di cui al capo 1 in carenza della esteriorizzazione del metodo mafioso.
Con riferimento alla condotta partecipativa del ricorrente il Tribunale ha valorizzato un segmento della condotta (la consegna del cellulare al proprio fratello detenuto) ma trascurando che non esistevano elementi antecedenti di collegamento con il Gallace o elementi idonei a comprovare che l’apparecchio sarebbe stato utilizzato per finalità diverse da quelle del colloquio del Riitano con la figlia. Anche le ulteriori condotte accertate non sono idonee a comprovare il contributo partecipativo: non l’avere agevolato i contatti del COGNOME con la propria, estranea al rafforzamento dell’associazione; men che mai, perché non provata, quella di avere aiutato la “copertura” del COGNOME attraverso l’approntamento di documenti falsi. Le condotte ascritte al ricorrente non rientrano nella nozione di contributo partecipativo, dinamico e funzionale, delineato nella sentenza COGNOME.
Con la memoria del 5 maggio 2025, l’avvocata NOME COGNOME rileva che questa Corte (con sentenza n. 4927/2025, poi prodotta in allegato alla seconda memoria), ha ritenuto inidonea a ritenere sussistente il contributo partecipativo, sotto il profilo della stabilità, la condotta prestata per consentire effettuazione di incontri tra esponenti apicali dell’associazione e ulteriori sodali Anche gli ulteriori contributi ascritti al ricorrente, rispetto ai quali, peraltro, provata la sussistenza, rivestono carattere eccezionale ed episodico laddove la partecipazione richiede un contributo caratterizzato da sistematicità; organicità;
continuativisi; abitualità e diretta funzionalità delle singole condotte rispetto all realizzazione del programma sociale.
Con il secondo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione sulla ritenuta sussistenza di esigenze cautelari. La esistenza di rapporti di parentela con il COGNOME (i due erano cugini); il periodo circoscritto dei fatti che lo hanno coinvolt nel rapporto con il COGNOME; la risalenza nel tempo delle condotte – quindi il tempo silente- costituiscono elementi adeguati a vincere la presunzione (relativa) di sussistenza delle esigenze cautelari connesse alla tipologia di reato per cui si procede e implicano la necessità di individuare un contributo materiale alla vita dell’associazione, contributo che non può risolversi in un mero status o in una adesione di natura meramente psicologica. L’ordinanza, pertanto, deve essere annullata o, comunque, va rimessa alle Sezioni Unite la questione della rilevanza del cd. tempo silente ai fini della dimostrazione del recesso dall’associazione non essendo, invece, richiesta o necessaria una dissociazione espressa o altra forma di espresso recesso dall’associazione stessa.
I motivi esposti sono ripresi e approfonditi dai difensori nelle memorie di replica e nelle memorie intitolate “motivi aggiunti”.
Il ricorso è stato trattato con procedura scritta, ai sensi dell’art. 611, comma 1-bis cod. proc. pen. modificato dall’art. 11, comma 3, d.l. n. 29 del 6 giugno 2024, convertito, con modificazioni, dalla I. n. 120 del 8 agosto 2024 n. 120.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
L’ordinanza impugnata riassume l’esito di diversi procedimenti penali che hanno attestato l’esistenza della locale di Guardavalle e della cosca COGNOME, particolarmente versata nel narcotraffico ma attiva anche nel controllo del territorio.
A carico del ricorrente (pag. 13 dell’ordinanza impugnata), il Tribunale ha evidenziato le attività svolte a supporto della latitanza di NOME COGNOMEclasse 1961), NOME COGNOME e NOME COGNOME raggiunti da ordine di esecuzione emesso il 25 novembre 2020 dalla Procura generale presso la Corte di appello di Roma a seguito della sentenza della Corte di cassazione che ne aveva confermato le condanne correlate a condanna per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen. e altro.
Già tale condanna e l’esito delle intercettazioni svolte nel presente procedimento, in coincidenza con la latitanza dei COGNOME e del COGNOME, tra le quali
quelle che fondano la responsabilità del ricorrente, integrano, a prescindere dai riferimenti “storici” alla esistenza del clan COGNOME, i gravi indizi necessari e sufficienti per ritenere perdurante l’operatività del clan.
Alle pagg. 10 e 11 dell’ordinanza impugnata sono indicati elementi – con i quali il ricorso non si confronta- che spiegano come: a) NOME COGNOME, nel periodo di latitanza, attendesse alla distribuzione di somme di denaro per il mantenimento delle famiglie dei detenuti, disponendo in merito al recupero e alla successiva ripartizione (si tratta delle conversazioni intercettate il 29 novembre 2020); b) si attivasse, tramite NOME COGNOME cl. 1966, per imporre ad un’impresa operante nel territorio, l’assunzione di un autista; c) NOME COGNOME fosse chiamato a intervenire in una contesa, in materia di pascolo, tra le famiglie COGNOME e COGNOME; d) il predetto si interessasse dell’affidamento dei lavori riguardanti l’apposizione di barriere frangiflutti a Guardavalle e Soverato, venendo informato dal predetto COGNOME dell’esito dell’appalto; e) facesse pressioni su un imprenditore, NOME COGNOME per imporgli di astenersi da fare pressioni su operatori economici collegati alla consorteria.
E’ emerso, inoltre, che il predetto NOME NOME era in contatto con soggetti operanti nei porti di Livorno, Genova, Gioia Tauro, per eludere i controlli di cui la consorteria poteva disporre per la esfiltrazione degli stupefacenti di interesse.
Si tratta di episodi che denotano il perdurare del vincolo di solidarietà nel rapporto tra gli associati e la perdurante attività del controllo non solo del traffico di droga, uno degli affari che costituiva il core business del clan, ma anche del territorio, attività alla quale, oltre a quelle indicate, l’ordinanza riconduce numerosi e ulteriori fatti che anche quando riconducibili ad episodi apparentemente secondari (nell’ordinanza vengono richiamati l’intervento della famiglia COGNOME a proposito di un furto d’auto; il progetto di un incendio per ostacolare l’apertura di un consorzio che avrebbe creato problemi ad una delle famiglie), sono significativi dei legami tra le famiglie che compongono il clan, delle logiche di solidarietà che li permeano e della continua necessità di ricreare situazioni di equilibrio che consentano di perpetuare il controllo del territorio, grazie ai legami che si fondano sul metodo mafioso desumibile dalle concrete modalità della condotta, connotati dal ricorso a minacce, chiaramente riconducibili ad un clan storico di ndrangheta, quale il clan COGNOME che si perpetua nel tempo con tale nome e attraverso la riconducibilità alla famiglia mafiosa dei COGNOME.
I motivi di ricorso non si confrontano con la significatività di tale contesto indiziario e sono, pertanto, generici, per aspecificità.
3.Generici e manifestamente infondati sono anche i motivi di ricorso sulla ritenuta condotta partecipativa del ricorrente al clan Gallace.
Il ricorrente emerge sulla scena delle indagini attraverso le operazioni di intercettazione di messaggi e conversazioni dirette, poiché viene incaricato (il 27 novembre 2020) del prelievo dell’auto utilizzata dal COGNOME e, in seguito, incaricato di procurare al COGNOME NOME COGNOME qualcuno che gli consentisse l’uso della carta di identità per l’attivazione di un telefono, incombenza alla quale il Riitano si dedicava procurando la carta di identità di tale Ussia, al quale, poi, portava il telefonino per l’immediata attivazione occupandosi, inoltre, di procurare, tramite l’Ussia, i documenti necessari per la falsificazione dei documenti di identità sui quali apporre, utilizzando la foto del COGNOME, i dati di altra persona dichiaratasi a tanto disponibile; del prelievo e accompagnamento dei congiunti del COGNOME a incontri con il predetto (il 26 dicembre 2020; il 6 gennaio e 6 marzo 2021), e, infine, dell’incarico conferitogli da NOME COGNOME (pag. 15, conversazione p. 1755 della informativa di P.,G.) di consegnare un telefonino criptato al fratello, NOME COGNOME al tempo detenuto presso la Casa Circondariale di Siracusa, e alla figlia di questi, tanto per consentire al COGNOME di mettersi in contatto con il COGNOME.
Le condotte del ricorrente, particolarmente espressive dell’ “affectio societatis”, sono state ritenute idonee configurare la condotta partecipativa perché rilevanti nella gestione della latitanza del COGNOME, capo del clan omonimo nonché rivelatrici del contributo al mantenimento in vita e al perseguimento delle finalità del clan, aspetto, questo che il Tribunale ha, con argomentazioni tutt’altro che illogiche, valorizzato con particolare riferimento all’episodio della consegna, dietro richiesta di NOME COGNOME (cfr. pag. 15), al proprio fratello detenuto (NOME COGNOME) di un telefonino criptato consentendo, così, al boss di mettersi in contatto con NOME COGNOME che, nonostante la detenzione, diveniva “punto di snodo nell’avvio di rapporti con esponenti delle organizzazioni mafiose foggiane”.
La difesa ha sostenuto che si tratta di un dato irrilevante, ai fini della configurabilità della condotta di partecipazione, anche sotto il profilo della sussistenza delraffectio societatis” sia perché si tratta di un episodio isolato sia perché il ricorrente non sarebbe stato a conoscenza dell’uso che del telefono cellulare sarebbe stato fatto, visto che ne aveva consegnato uno anche alla nipote, figlia di NOME COGNOME.
A tal riguardo ha difesa ha prodotto una sentenza di questa Corte (Sez. 6, n. 4927 del 11/12/2024, dep. 2025, non mass.), secondo la quale la collaborazione prestata per consentire l’effettuazione di incontri tra un esponente apicale e ulteriori sodali, non consente di rappresentare, quantomeno a livello di gravità indiziaria, una disponibilità ad agire nell’interesse del sodalizio mafioso in modo tendenzialmente stabile e non solamente eccezionale o episodico, nonché con l’intento di contribuire a garantirne l’operatività.
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Il richiamato principio non è, tuttavia, applicabile al caso in esame in cui, a livello di gravità indiziaria, è accertato che NOME COGNOME, con il quale COGNOME era entrato direttamente in contatto, era divenuto “punto di snodo nell’avvio di rapporti con esponenti delle organizzazioni mafiose foggiane”, conclusione, questa, affatto confutata dalla difesa che ha genericamente contestato la risalente appartenenza di NOME COGNOME all’associazione.
Si tratta, viceversa, di un dato rilevante, ai fini della connotazione della condotta partecipativa del ricorrente che non si è limitato a svolgere un’attività di mera procurata inosservanza di pena o favoreggiamento della latitanza del COGNOME (al quale, tra l’altro, procurava un telefono cellulare e la documentazione utile ad approntare documenti falsi), ma qualificabile, come un diretto contributo all’attività dell’associazione secondo i principi della sentenza Modaffari che richiedono la stabile ‘messa a disposizione’ in favore del sodalizio per il perseguimento dei comuni fini criminosi (Sez. U, n. 36958 del 27/05/2021, Modaffari, Rv. 281889).
L’ ordinanza impugnata ha fatto buon governo del quadro dei principii che regolano la materia, ponendo in evidenza, sulla base delle emergenze investigative, una condotta che rileva quale contributo diretto e dinamico all’attività dell’associazione, inserita in un contesto di evidente conoscenza della caratura criminale del Gallace, del suo stato di latitanza e della necessità di continuare a garantirgli l’attuazione del programma criminale.
In definitiva, a fronte di un congruo ed esaustivo apprezzamento delle emergenze procedimentali, esposto attraverso un insieme di sequenze motivazionali chiare e prive di vizi logici, il ricorrente non ha individuato passaggi o punti della decisione tali da inficiare la complessiva tenuta del discorso argomentativo delineato dal Tribunale, ma ha sostanzialmente contrapposto una lettura alternativa delle risultanze investigative, facendo leva sul diverso apprezzamento di profili di merito già puntualmente vagliati in sede di riesame cautelare, e la cui rivisitazione, evidentemente, non è sottoponibile al giudizio di questa Suprema Corte.
4.Anche il motivo di ricorso sulla insussistenza delle esigenze cautelari è proposto per motivi manifestamente infondati.
Il Tribunale ha ritenuto concreto e attuale, alla luce della caratura criminale estrinsecata dal ricorrente e dal carattere strettissimo e fiduciario dei rapporti con NOME COGNOME l’appartenenza all’associazione, a nulla rilevando, invece, la risalenza nel tempo e la brevità del periodo di svolgimento dei fatti.
Il difensore ravvisa, in relazione alla valenza del cd. tempo silente, un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte e sollecita una rimessione della questione alle Sezioni Unite.
Invero, mentre secondo un orientamento nomofilattico, anche in presenza della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il tempo trascorso dai fatti contestati, alla luce della riforma di cui alla legge 16 aprile 2015, n. 47, e di un’esegesi costituzionalmente orientata della stessa presunzione, deve essere espressamente considerato dal giudice, ove si tratti di un rilevante arco temporale privo di ulteriori condotte dell’indagato sintomatiche di perdurante pericolosità, potendo lo stesso rientrare tra gli “elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari”, cui si riferisce lo stesso art. 275, comma 3, del codice di rito. (Sez. 6, n. 11735 del 25/01/2024, Tavella, Rv. 286202), per altra giurisprudenza, invece, la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, mentre il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari. (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024, COGNOME, Rv. 286267).
Non ritiene il Collegio che la questione debba essere rimessa alle Sezioni Unite, vertendosi, allo stato della interpretazione, di una questione in cui rileva, piuttosto che il vizio di violazione di legge processuale, l’apprezzamento di elementi di natura discrezionale in cui, ferma la necessità di adeguata motivazione e la esclusione di automatismi applicativi, anche in presenza della presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., il giudice del merito procede alla valutazione di una serie di elementi di fatto per cui anche la valutazione del cd. tempo silente può essere recessiva di fronte a contributi di elevato spessore criminale o di elementi di valutazione della personalità dell’indagato sintomatici della persistenza del legame associativo che, nel caso in esame, non è stato illogicamente ritenuto sussistente tenuto conto della peculiare caratteristica delle cosche di ndrangheta che notoriamente sui legami di parentela, come quello esistente tra l’indagato e il COGNOME, si alimentano e strutturano assurgendo, così, a massima di esperienza piuttosto che a mere congetture o dati di sospetto (cfr. Sez. 1, n. 16523 del 04/12/2020, dep. 2021, Pg, Rv. 281385).
5. Per le considerazioni or ora esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma indicata in dispositivo in favore della cassa delle ammende.
La Cancelleria provvederà all’espletamento degli incombenti di cui all’art.
disp. att. cod. proc. pen.
all’art. 94, comma
1-ter,
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
1-ter, ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 3 giugno 2025
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La Consigliera relatrice
Il Pre1dnte