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Contributo associativo e droga: Cassazione annulla

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per un soggetto accusato di far parte di un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La Suprema Corte ha ritenuto insufficiente la motivazione del Tribunale, poiché il ‘contributo associativo’ dell’indagato non era stato adeguatamente provato. La mera presenza ad alcuni incontri e il legame di parentela con un altro associato non bastano a dimostrare un ruolo attivo e concreto, necessario per configurare la partecipazione al reato.

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Pubblicato il 12 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contributo Associativo: Non Basta Essere Presenti, Serve Partecipazione Attiva

Il concetto di contributo associativo in un’associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti è stato al centro di una recente sentenza della Corte di Cassazione. Con la sentenza n. 47665/2024, la Suprema Corte ha annullato un’ordinanza di custodia cautelare, stabilendo che la semplice presenza a incontri o il legame di parentela con i vertici del gruppo non sono sufficienti a dimostrare una partecipazione penalmente rilevante. Analizziamo insieme la decisione per comprenderne la portata.

I Fatti del Caso

Il procedimento nasce da un’indagine su un’associazione criminale dedita alla produzione e al traffico di sostanze stupefacenti, in particolare cannabis indica coltivata in una piantagione illegale. Un soggetto veniva arrestato e posto in custodia cautelare in carcere con l’accusa di far parte di tale sodalizio. Il Tribunale del Riesame confermava la misura, ritenendo sussistenti gravi indizi di colpevolezza.

Secondo l’ordinanza impugnata, l’indagato, padre di un altro presunto membro di spicco del gruppo, avrebbe partecipato ad almeno due incontri organizzativi. Questa presenza, unita al legame familiare, era stata interpretata dal Tribunale come prova di un suo ruolo attivo, seppur di appoggio e supervisione, all’interno dell’organizzazione criminale.

Il Ricorso in Cassazione e il Contributo Associativo

L’indagato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. La difesa ha sostenuto che non era stato delineato alcun ruolo concreto e identificabile dell’imputato all’interno dell’associazione. Egli non compariva nelle intercettazioni, non si era mai recato presso la piantagione illegale e la sua presenza a due incontri, in compagnia del figlio, non provava un’effettiva partecipazione al progetto criminoso.

La questione giuridica fondamentale sottoposta alla Corte riguardava quindi la definizione dei requisiti minimi per configurare un contributo associativo penalmente rilevante in un’associazione finalizzata al traffico di droga.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendo la motivazione del Tribunale insufficiente e contraddittoria. I giudici di legittimità hanno chiarito un principio fondamentale: per la partecipazione a un’associazione per delinquere (art. 74 D.P.R. 309/90), è necessario un “apprezzabile contributo” alla vita e agli scopi del sodalizio.

La Corte ha osservato che, sebbene le indagini avessero dimostrato la presenza dell’uomo a due incontri, l’ordinanza impugnata non riusciva a delineare “un ruolo sufficientemente chiaro ed attivo rispetto all’impresa criminale”. Anzi, finiva per attribuire significato a un comportamento definito “complessivamente anodino e obiettivamente defilato”.

Il Tribunale aveva ipotizzato una funzione di “appoggio e supervisione” basata sulla presunta esperienza criminale passata dell’indagato, ma senza collegarla a condotte concrete e specifiche. La Cassazione ha sottolineato che, a differenza delle associazioni di tipo mafioso dove anche la mera “messa a disposizione” può integrare la partecipazione, nelle associazioni comuni è imprescindibile l’indicazione di un contributo materiale o morale apprezzabile.

Le Conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato il caso al Tribunale per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà rivalutare gli elementi a carico dell’indagato per verificare se, al di là della sua presenza fisica e dei legami familiari, egli abbia fornito un contributo associativo concreto e riconoscibile. La sentenza ribadisce un importante principio di garanzia: per limitare la libertà personale di un individuo, non bastano sospetti o congetture basate su circostanze ambigue, ma servono indizi gravi, precisi e concordanti che dimostrino una partecipazione effettiva al reato contestato.

Per essere considerati partecipi di un’associazione a delinquere per traffico di droga, è sufficiente essere presenti agli incontri del gruppo?
No. Secondo la sentenza, la semplice presenza a incontri, anche se cruciali, non è di per sé sufficiente. È necessario che l’ordinanza del giudice delinei un ruolo chiaro e attivo e un contributo apprezzabile alla realizzazione degli scopi del gruppo.

Il legame di parentela con un capo dell’associazione ha un peso nel determinare la partecipazione al reato?
Sebbene possa essere un elemento di contesto, il legame di parentela da solo non prova il contributo associativo. La Corte ha ritenuto che accompagnare il figlio agli incontri, in questo caso, non delineava un ruolo attivo e penalmente rilevante nell’impresa criminale.

Qual è la differenza tra la partecipazione a un’associazione di tipo mafioso e a una per traffico di stupefacenti secondo la Corte?
La sentenza chiarisce che per le associazioni di tipo mafioso, anche la semplice “messa a disposizione” può essere considerata partecipazione. Per le associazioni finalizzate al traffico di stupefacenti, invece, è richiesta la prova di un “apprezzabile contributo” concreto alla realizzazione degli scopi dell’organizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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