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Contributi pubblici e misure di prevenzione: il caso

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’amministratore di una società semplice, destinatario di una misura di prevenzione personale, non può ottenere contributi pubblici per la società omettendo la sua condizione. Questa sentenza chiarisce l’estensione dei divieti previsti dalla normativa antimafia, sottolineando che l’obbligo di comunicazione prevale sulla distinta soggettività giuridica della società. Il caso riguarda l’indebita percezione di erogazioni pubbliche e l’inapplicabilità della scusante per errore sulla legge.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contributi pubblici e misure di prevenzione: l’obbligo di trasparenza del socio

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 23472 del 2025, affronta un tema cruciale all’incrocio tra diritto societario, normativa antimafia e diritto penale. La decisione chiarisce che il socio e legale rappresentante di una società semplice, se sottoposto a contributi pubblici e misure di prevenzione personali, ha il dovere di comunicare la sua condizione quando richiede finanziamenti per l’azienda. L’omissione di tale informazione integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, senza che la distinta soggettività giuridica della società possa fungere da scudo. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla condanna di un imprenditore agricolo per il reato previsto dall’art. 316-ter del codice penale. L’imputato, in qualità di legale rappresentante di una società semplice agricola, aveva percepito, tra il 2016 e il 2022, ingenti contributi a carico del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia e del Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale.

Il punto nodale della vicenda è che l’imprenditore era destinatario di una misura di prevenzione personale (sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno), divenuta definitiva nel luglio 2015. Al momento della presentazione delle domande di contributo, egli aveva omesso di dichiarare questa sua condizione personale, che costituisce una causa di preclusione all’accesso a erogazioni pubbliche secondo la normativa antimafia (D.Lgs. 159/2011).

La Difesa e i Motivi del Ricorso

La difesa del ricorrente si basava su due argomentazioni principali:
1. Erronea applicazione della normativa antimafia: Secondo il legale, i divieti previsti dall’art. 67 del D.Lgs. 159/2011 si applicherebbero solo alla persona fisica destinataria della misura di prevenzione e non automaticamente alla società, che è un soggetto giuridico distinto. L’estensione del divieto alla società avrebbe richiesto un provvedimento specifico del tribunale, che in questo caso mancava.
2. Errore sulla legge extrapenale: L’imputato avrebbe agito nella convinzione errata ma legittima di poter richiedere i contributi per la società, non essendo quest’ultima direttamente colpita dalla misura. Tale errore su una norma diversa da quella penale avrebbe dovuto, a suo dire, escludere la colpevolezza.

L’impatto dei contributi pubblici e delle misure di prevenzione secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, confermando la condanna. I giudici hanno chiarito che, sebbene la società semplice sia un autonomo centro di imputazione di interessi, nelle società di persone la posizione dei singoli soci non perde mai di rilievo. L’obbligo di comunicare la sussistenza di cause ostative, come una misura di prevenzione, incombe non solo sulla società ma anche personalmente su ciascun socio.

Le Motivazioni della Sentenza

La decisione della Suprema Corte si fonda su un’analisi rigorosa della normativa antimafia e dei suoi scopi. Ecco i punti salienti del ragionamento giuridico:

L’obbligo di comunicazione del socio prevale

Il cuore della motivazione risiede nell’interpretazione degli articoli 67 e 85 del D.Lgs. 159/2011 (Codice Antimafia). L’art. 67, lettera g), vieta esplicitamente alle persone sottoposte a misure di prevenzione definitive di ottenere contributi, finanziamenti o altre erogazioni pubbliche. L’art. 85, inoltre, impone non solo alle società, ma anche ai singoli soci di società di persone, di comunicare l’eventuale sussistenza di tali cause di divieto.

La Corte ha specificato che questo obbligo di comunicazione è un dovere personale e inderogabile. Non avendolo adempiuto, l’imputato ha permesso alla sua società di ottenere indebitamente le erogazioni, integrando così il reato contestato. La trasparenza sulla condizione personale dei soci è un presidio fondamentale per evitare che le imprese diventino schermi per eludere i controlli antimafia.

La natura della società semplice

I giudici hanno sottolineato come la società semplice, pur essendo un soggetto giuridico, operi e si identifichi attraverso i suoi soci. In queste strutture, la persona dei soci e la loro affidabilità sono elementi centrali. Pertanto, la preclusione personale di un socio-amministratore si riflette inevitabilmente sulla capacità dell’intera compagine sociale di accedere a benefici pubblici, poiché è proprio attraverso il socio che la società agisce e si manifesta all’esterno.

L’irrilevanza dell’errore sulla legge

La Cassazione ha respinto anche il secondo motivo di ricorso, relativo all’errore di diritto. L’asserita convinzione di poter legittimamente richiedere i fondi è stata qualificata come un errore sul precetto penale, ovvero un’ignoranza della legge. Tale errore, secondo l’art. 5 del codice penale (come interpretato dalla Corte Costituzionale), scusa solo se è “inevitabile”. Nel caso di specie, data la chiarezza delle disposizioni del Codice Antimafia e il ruolo di imprenditore e legale rappresentante ricoperto dall’imputato, l’ignoranza non poteva in alcun modo essere considerata inevitabile.

Le Conclusioni

Questa sentenza ribadisce un principio fondamentale: le normative antimafia hanno una portata pervasiva e mirano a garantire la massima trasparenza nell’erogazione di fondi pubblici. Gli imprenditori, in particolare gli amministratori e i soci di società di persone, hanno un preciso dovere di diligenza e informazione riguardo alla propria posizione personale. La sentenza chiarisce che non è possibile nascondersi dietro lo schermo della persona giuridica per eludere i divieti imposti a tutela dell’ordine pubblico e della corretta gestione delle risorse statali e comunitarie. Per le imprese, ciò significa implementare rigorosi controlli interni sulla posizione dei propri soci e amministratori prima di avviare qualsiasi procedura per l’ottenimento di benefici pubblici.

Un socio di una società semplice, sottoposto a misura di prevenzione personale, può richiedere contributi pubblici per la società?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che la persona sottoposta a misura di prevenzione personale definitiva non può ottenere contributi o altre erogazioni pubbliche, neanche se richiesti in qualità di legale rappresentante di una società. L’omissione di comunicare tale stato personale integra il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

È necessario un provvedimento specifico del tribunale per estendere il divieto dalla persona fisica alla società semplice di cui è socio?
No. Secondo la sentenza, l’obbligo di comunicare la sussistenza di cause di divieto, come le misure di prevenzione, è imposto dalla legge (art. 85 D.Lgs. 159/2011) direttamente anche ai singoli soci di società di persone. Pertanto, il divieto opera in virtù della legge, senza necessità di un ulteriore provvedimento di estensione da parte del tribunale.

L’imprenditore può giustificarsi sostenendo di aver commesso un errore, credendo che la società potesse legittimamente ricevere i fondi?
No. La Corte ha qualificato tale giustificazione come un errore sulla legge penale (errore sul precetto), che è scusabile solo se inevitabile. Data la chiarezza della normativa antimafia, un imprenditore e legale rappresentante non può invocare l’ignoranza inevitabile per escludere la propria colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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