Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 23472 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 23472 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME COGNOME nato a Ozieri il 15/5/1987
avverso la sentenza del 31/10/2024 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di rigettare il ricorso;
letta la memoria dell’Avv. NOME COGNOME difensore del ricorrente, che ha reiterato le deduzioni del ricorso, chiedendone l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Roma, con sentenza del 31 ottobre 2024, ha dichiarato NOME COGNOME colpevole del reato di cui
all’art. 316-ter cod. pen., avendo ritenuto che l’imputato, in qualità di legale rappresentante della società semplice “RAGIONE_SOCIALE“, aveva indebitamente percepito i contributi indicati nella contestazione, avendo omesso di comunicare, pur essendone a conoscenza all’atto della presentazione delle domande, una causa di preclusione all’accesso alle contribuzioni pubbliche, in quanto destinatario della misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, divenuta definitiva il 3 luglio 2015.
Avverso l’anzidetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, che ha dedotto i motivi di seguito indicati.
2.1. Inosservanza o erronea applicazione degli artt. 67 e 68 d.lgs n. 159/2011. Secondo il ricorrente, l’art. 67, commi 1 e 2, d.lgs. cit., facendo riferimento alle persone alle quali sia stata applicata una misura di prevenzione personale con provvedimento definitivo, commina il divieto di erogazioni pubbliche e la conseguente decadenza solamente con riguardo alle persone fisiche destinatarie della misura personale di prevenzione, con esclusione di terzi soggetti, siano essi persone fisiche o giuridiche, che non siano sottoposte alla medesima misura o all’estensione dei relativi effetti. L’art. 67, comma 4, d.lgs cit. prescrive che «il tribunale, salvo quanto previsto all’art. 68, dispone che i divieti e le decadenze previsti dai commi 1 e 2 operino anche nei confronti di chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi. In tal caso i divieti sono efficaci per un periodo di 5 anni». Pertanto, i divieti e le decadenze di cui all’art. 67, commi 1 e 2, cit. possono essere estesi anche a terzi, non destinatari di misura di prevenzione, solo in forza di un espresso provvedimento adottato dal tribunale della prevenzione. Del resto, le società, anche quelle di persone, sono centri di imputazione autonomi rispetto alle persone fisiche che le compongono; né può sostenersi che l’art. 67, comma 4, là dove richiama le società, abbia inteso far riferimento solo alle società di capitali, poiché in tale comma si menzionano anche le imprese e le associazioni, che sono anch’esse prive di personalità giuridica, e non si fa distinzione tra le varie tipologie societarie. Nel caso i esame, la contribuzione era stata chiesta ed ottenuta dalla società, di cui l’imputato è legale rappresentante, ma difetterebbe un provvedimento del tribunale di estensione degli effetti previsti dall’art. 67, comma quattro. La difesa ha evidenziato che la società semplice “RAGIONE_SOCIALE” era stata costituita ed iscritta nel registro delle imprese ben prima della celebrazione del giudizio di appello. Dunque, qualora il divieto fosse stato esteso anche alle persone giuridiche Corte di Cassazione – copia non ufficiale
collegate all’imputato, ben si sarebbe dovuto integrare il contraddittorio, teso all’adozione estensiva del provvedimento anche nei confronti della società medesima. L’argomento, valorizzato nella sentenza impugnata della totale identificazione giuridica della società semplice nella persona dei soci, sarebbe errato sulla base dell’esegesi anzidetta.
2.2. Inosservanza di norme processuali, per non avere il Tribunale valutato la memoria prodotta dalla difesa, in cui si era evidenziato che, se si ammettesse la possibilità di un’esegesi differente da quella proposta dall’imputato, secondo cui egli poteva legittimamente chiedere contributi pubblici quale legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“, non destinataria di misura, si sarebbe realizzato, a tutto voler concedere, un errore su una legge diversa dalla legge penale, che avrebbe cagionato un errore su un fatto, che costituisce il reato di cui all’art 316-ter cod. pen., a mente dell’art. 47, comma terzo, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO.
1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Il primo motivo è infondato.
2.1. Come risulta dalla sentenza impugnata, il 23 luglio 2014 il Tribunale di Nuoro aveva applicato all’imputato la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno per la durata di un anno. La Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, il 3 luglio 2015, aveva confermato il provvedimento di applicazione dell’anzidetta misura.
Il 10 marzo 2015 l’imputato con NOME COGNOME aveva costituito la società agricola semplice “Ozzastrera”, acquisendo in tal modo la qualifica di socio.
Dalle indagini effettuate, in particolare dall’informativa della Guardia di finanza del nucleo operativo di Cagliari, era emerso che l’imputato, in qualità di titolare della suddetta società, tra il 2016 e il 2022 aveva percepito erogazioni pubbliche a carico del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia e del Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale e non aveva comunicato di essere destinatario di una misura di prevenzione personale.
La Corte di appello, conformemente al Giudice di primo grado, ha ritenuto sussistente il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen., rilevando, tra l’altro, che circostanza che l’imputato avrebbe richiesto i contributi non per sé ma in qualità di legale rappresentante della società, non attinta dalla misura di prevenzione, non rileverebbe», in quanto l’art. 67, comma quarto, d.lgs n. 159/2011 non poteva trovare applicazione, in ragione del fatto che, all’epoca del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione, la società
“Ozzastrera” ancora non esisteva, sicché non era possibile l’estensione formale alla società dei divieti indicati dall’art. 67 cit.. Inoltre, la società era costituita nella forma della società semplice, che giuridicamente opera per mezzo dei suoi soci e si identifica in questi. La società semplice non è dotata di personalità giuridica, sicché dal punto di vista sostanziale e processuale non è suscettibile di distinguersi dalla persona dei singoli soci che la costituiscono. La richiesta e l’erogazione dei contributi, dunque, erano direttamente attribuibili all’imputato, che, in qualità di rappresentante della società, al fine di ottenerne l’erogazione, aveva omesso di dichiarare la misura definitiva di cui era destinatario, essendo pienamente consapevole del carattere ostativo della medesima.
2.2. Le conclusioni, cui è pervenuta la Corte territoriale, sono corrette.
Pur se va osservato che anche la società semplice è un centro autonomo di imputazione di posizioni giuridiche soggettive, distinto dalla persona dei singoli soci, deve, tuttavia, rilevarsi che – come rimarcato dal Collegio di appello l’imputato aveva l’obbligo di comunicare, all’atto della presentazione delle domande di contribuzione, di essere sottoposto a misura di prevenzione personale.
Ciò per le ragioni di seguito indicate.
Premesso che è incontestato che l’imputato era sottoposto a misura di prevenzione personale, va ricordato che l’art. 67 d.lgs. n. 159/2011 dispone che le persone, alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una delle misure di prevenzione previste dal libro I, titolo I, capo II, non possono ottenere:
licenze o autorizzazioni di polizia e di commercio;
concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali;
concessioni di costruzione e gestione di opere riguardanti la pubblica amministrazione e concessioni di servizi pubblici;
iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e serviz riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l’esercizio del commercio all’ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all’ingrosso;
attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici;
altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio, o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati;
contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee, per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
h) licenze per detenzione e porto d’armi, fabbricazione, deposito, vendita e trasporto di materie esplodenti.
E’ evidente, dunque, che, ai sensi della lett. g) della citata disposizione, l’imputato non poteva ottenere contributi o altre erogazioni da parte di enti pubblici o delle Comunità europee.
Va aggiunto che ai sensi degli art. 83 e 85 d.lgs. n. 159/2011, non solo le società, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare consentire i provvedimenti indicati nell’articolo 67 cit., sono onerate di effettuare le comunicazioni indicate dalla normativa antimafia ma anche i singoli soci di una società di persone devono comunicare la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’art. 67.
Dispone in tal senso, infatti, la lett. e) dell’art. 85 d.lgs. cit. ed è chiara ratio di tale obbligo incombente su tutti i soci, atteso che, pur se centro autonomo di imputazione, nelle società di persone, a differenza di quelle di capitale, non perde comunque rilievo la posizione giuridica soggettiva di ciascuno dei soci.
Non avendo effettuato questa doverosa comunicazione, quale socio e legale rappresentante della società semplice “Ozzastrera”, l’imputato ha consentito a quest’ultima di ottenere indebitamente le erogazioni comunitarie in questione.
3. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente, infatti, non ha contestato di essere a conoscenza della sottoposizione alla misura di sorveglianza speciale ma ha asserito di essere incorso in errore sulla legge diversa da quella penale, avendo ritenuto che egli potesse legittimamente chiedere i contributi quale legale rappresentante della società “RAGIONE_SOCIALE“, non destinataria di misura di prevenzione.
In tal modo il ricorrente ha dedotto un errore sul precetto, che non esclude il dolo ai sensi dell’art. 5 cod. pen., salvo che sussista una obiettiva situazione di incertezza sulla portata applicativa o sul contenuto della norma extrapenale, tale da far ritenere l’ignoranza inevitabile (cfr., per tutte, Sez. 3, n. 23810 del 08/04/2019, Versaci, Rv. 275993-02, e Sez. 4, n. 32069 del 15/07/2010, Albuzza, Rv. 248339-01).
L’asserito errore, pur nella piena conoscenza delle circostanze di fatto pertinenti, avrebbe potuto rilevare solo in caso di ignoranza inevitabile in ordine alle disposizioni normative richiamate nel paragrafo che precede, atteso quanto prevede l’art. 5 cod. pen., come vigente a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale pronunciata dal Giudice delle leggi con la sentenza n. 364 del 1988.
Tale ignoranza inevitabile, invero, non è stata neppure dedotta dal ricorrente e, ad ogni modo, può essere esclusa, tenuto conto della univoca
elaborazione della giurisprudenza, secondo cui l’errore sul precetto penale, specie nel caso di operatore professionale, rileva solo se l’agente abbia potuto
trarre il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo,
pacifico orientamento giurisprudenziale (cfr., per tutti, Sez. U, n. 8154 del
10/06/1994, COGNOME Rv. 197885 – 01, nonché Sez. 4, n. 32069 del
15/07/2010, Albuzza, Rv. 248339 – 01), o, comunque, abbia fatto tutto il possibile per richiedere alle autorità competenti i chiarimenti necessari e, inoltre,
si sia informato in proprio, ricorrendo ad esperti giuridici, così adempiendo il dovere di informazione (così Sez. 3, n. 35694 del 05/04/2011, COGNOME, Rv.
21225 – 01).
Ne discende che correttamente è stato ritenuto integrato il delitto di cui all’art. 316-ter cod. pen.
Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 26 febbraio 2025.