LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Contributi a fondo perduto: white list e reato

La Corte di Cassazione ha annullato un sequestro preventivo disposto nei confronti di un imprenditore che aveva ricevuto contributi a fondo perduto legati all’emergenza Covid-19, pur essendo destinatario di un diniego di iscrizione nella cosiddetta “white list”. La Corte ha stabilito che tale diniego, essendo un provvedimento amministrativo e non una misura di prevenzione giudiziaria definitiva ai sensi dell’art. 67 D.Lgs. 159/2011, non costituisce una condizione ostativa all’ottenimento dei fondi. Di conseguenza, non sussiste il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Contributi a fondo perduto e White List: La Cassazione fa chiarezza

L’accesso ai contributi a fondo perduto durante l’emergenza Covid-19 è stato un’ancora di salvezza per molte imprese. Tuttavia, la normativa emergenziale ha creato incertezze interpretative, in particolare riguardo ai requisiti soggettivi e alle cause di esclusione. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. n. 11740/2024) fa luce su un punto cruciale: il diniego di iscrizione nelle “white list” antimafia non integra automaticamente il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche.

Il Fatto: Sequestro per indebita percezione

Un imprenditore, amministratore di una società, si vedeva recapitare un decreto di sequestro preventivo per un valore di oltre 70.000 euro. L’accusa era quella prevista dall’art. 316-ter del codice penale, ovvero aver percepito indebitamente i contributi a fondo perduto previsti dalla legislazione emergenziale. La ragione del provvedimento risiedeva nel fatto che l’imprenditore era stato destinatario di un diniego di iscrizione nella cosiddetta “white list” prefettizia, un elenco di fornitori non soggetti a infiltrazioni mafiose. Secondo l’accusa, questa condizione avrebbe precluso l’accesso ai fondi.

La questione giuridica: Diniego White List vs. Misura di Prevenzione

Il cuore della controversia legale risiede nell’interpretazione della normativa sui ristori. La legge (art. 25, comma 9, D.L. n. 34/2020) escludeva dai benefici i soggetti destinatari delle cause di divieto, decadenza o sospensione previste dall’art. 67 del Codice Antimafia (D.Lgs. n. 159/2011). Quest’ultimo articolo elenca specifiche misure di prevenzione applicate dall’autorità giudiziaria con provvedimento definitivo (es. sorveglianza speciale).

La domanda era: un provvedimento amministrativo come il diniego di iscrizione alla “white list” può essere equiparato a una misura di prevenzione giudiziaria ai fini dell’esclusione dai contributi a fondo perduto?

La Decisione della Cassazione e l’impatto sui contributi a fondo perduto

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’imprenditore, annullando senza rinvio l’ordinanza di sequestro. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile la distinzione tra i due tipi di provvedimenti, ribadendo un orientamento già consolidato.

Natura diversa dei provvedimenti

La Corte sottolinea che un’informazione interdittiva antimafia, o il conseguente diniego di iscrizione in “white list”, è un provvedimento amministrativo con natura cautelare e preventiva. Il suo scopo è quello di prevenire che le imprese con legami mafiosi possano avere rapporti con la pubblica amministrazione. Al contrario, le misure di prevenzione elencate nell’art. 67 del Codice Antimafia sono provvedimenti giurisdizionali, applicati da un giudice al termine di un procedimento che accerta la pericolosità sociale di un soggetto.

Il Principio di Tassatività della Norma Penale

La decisione si fonda sul principio di stretta legalità e tassatività della norma penale. La legge sui ristori faceva un richiamo esplicito e circoscritto all’art. 67. Estendere l’applicazione di questa norma penale per includervi anche provvedimenti amministrativi non menzionati, sebbene legati alla normativa antimafia, costituirebbe un’applicazione analogica non consentita in materia penale. In assenza di una delle condizioni ostative specificamente previste, la richiesta dei fondi non può essere considerata illecita.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che il tribunale inferiore aveva errato nel discostarsi dall’orientamento consolidato (richiamando la sentenza Pezzella n. 14731/2022). I giudici hanno specificato che l’interdittiva antimafia, essendo un provvedimento amministrativo incapacitante con natura cautelare, non rientra nel novero delle misure di prevenzione definitive elencate nell’art. 67 del D.Lgs. 159/2011. Di conseguenza, non essendo presente una delle cause ostative tassativamente previste dalla legge sui ristori, viene a mancare il presupposto stesso del reato contestato (il cosiddetto fumus commissi delicti). Dilatare il presupposto della norma penale sulla base di una generica ratio di impedire a soggetti vicini ad ambienti mafiosi di beneficiare di contributi pubblici non è consentito, in quanto violerebbe il principio di tassatività.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un importante baluardo a tutela della certezza del diritto per le imprese. Viene stabilito un confine netto tra le conseguenze di un provvedimento amministrativo antimafia e quelle derivanti da una misura di prevenzione giudiziaria. Per gli imprenditori, significa che il diniego di iscrizione in una “white list” non comporta automaticamente l’esclusione da tutti i benefici pubblici, a meno che la legge specifica non lo preveda espressamente. La Corte ha quindi annullato il sequestro e disposto l’immediata restituzione delle somme all’avente diritto, riaffermando che le norme penali non possono essere interpretate in modo estensivo a sfavore dell’indagato.

Ricevere un diniego di iscrizione alla ‘white list’ impedisce di ottenere i contributi a fondo perduto per l’emergenza Covid-19?
No. La Corte di Cassazione ha stabilito che il diniego di iscrizione alla “white list” è un provvedimento amministrativo e non rientra tra le misure di prevenzione definitive elencate nell’art. 67 del D.Lgs. 159/2011, che sono le uniche condizioni ostative previste dalla legge sui ristori.

Perché la percezione dei fondi in questo caso non costituisce il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen.?
Il reato non sussiste perché manca il presupposto dell’indebita percezione. L’imprenditore non ha omesso di dichiarare una condizione ostativa, in quanto il diniego di iscrizione alla “white list” non è una delle condizioni previste dalla legge per escludere l’accesso al contributo.

Qual è la differenza tra un diniego di ‘white list’ e una misura di prevenzione?
Secondo la sentenza, il diniego di ‘white list’ è un provvedimento amministrativo di natura cautelare e preventiva emesso dal Prefetto. Le misure di prevenzione (es. sorveglianza speciale) sono invece provvedimenti applicati dall’autorità giudiziaria con un atto definitivo, e solo queste ultime erano state indicate dalla legge come causa di esclusione dai contributi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati