Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7145 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7145 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 19/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova nel procedimento a carico da COGNOME NOME, nato a Sarzana (SP) il DATA_NASCITA rappresentato ed assistito dall’AVV_NOTAIO, di fiducia
avverso la sentenza in data 25/05/2023 della Corte di appello di Genova, terza sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
preso atto che non è stata richiesta dalle parti la trattazione orale ai sensi degli artt. 611, comma 1-bis cod. proc. pen., 23, comma 8, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176, prorogato in forza dell’art. 5-duodecies del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199 e, da ultimo, dall’art. 17 del d.l. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla legge 10 agosto 2023, n. 112 e che, conseguentemente, il procedimento viene trattato con contraddittorio scritto;
letta la memoria difensiva a firma AVV_NOTAIO in data 05/01/2023; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta ex art. 23, comma 8, del d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e succ. modif., con la quale il Sostituto procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza in data 25/05/2023, la Corte di appello di Genova, in riforma della pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di La Spezia in data 07/06/2022, assolveva NOME COGNOME dal reato di cui agli arti. 110, 629, secondo comma, cod. pen. per insussistenza del fatto. I giudici di secondo grado affermavano che, per quanto fosse certamente illecito il negozio giuridico sotteso, vi sarebbe comunque stato un concreto trasferimento della proprietà dell’orologio dalla vittima all’imputato, di talchè nessuna condotta estorsiva poteva essere configurata e, al più, il bene avrebbe potuto essere sequestrato (e poi confiscato) come prezzo dell’originario reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309/1990.
Avverso la predetta sentenza, il Procuratore generale presso la Corte di appello di Genova ha proposto ricorso per cassazione per il formale unico motivo di seguito indicato, che viene enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.: erronea applicazione di norme penali con riferimento agli arti. 629 cod. pen., 1343 e 1418 cod. civ. Invero, il negozio giuridico sotteso alla condotta estorsiva tenuta dal COGNOME in danno di NOME COGNOME è assolutamente nullo per illiceità della causa contrattuale, in forza di violazione di norme imperative (gli arti. 73 e ss. d.P.R. 309/1990) più che per contrarietà all’ordine pubblico o al buon costume, integrando ex se la figura del contratto-reato. Nel momento in cui il contratto era ab origine nullo per illiceità della causa, esso diveniva improduttivo di qualsiasi effetto, e quindi non era configurabile a carico dell’acquirente un inadempimento imputabile in relazione alla mancata esecuzione degli obblighi da esso nascenti (rectius, il pagamento del prezzo in denaro). Ma, per il medesimo principio, alcuna rilevanza poteva avere il contratto a titolo oneroso integrante la dati° in solutum posta in essere dallo COGNOME con la consegna dell’orologio, oggetto che, di conseguenza, non poteva certo essere considerato divenuto né di proprietà, ma neppure di possesso legittimo, del COGNOME.
Il ricorso è inammissibile.
Come evidenziato dalla sentenza impugnata, il presupposto della contestazione è che il COGNOME, avendo ricevuto in prestito un orologio di valore, non lo volesse più restituire al cedente (NOME COGNOME), se non dietro corresponsione di denaro. Il processo ha, tuttavia, accertato che il COGNOME aveva ricevuto l’orologio come pagamento di una fornitura di cocaina a favore dello COGNOME: orbene, per quanto il negozio a monte della cessione fosse illecito, il pagamento avvenuto a mezzo della dazione dell’orologio, ha trasferito la proprietà del bene all’imputato, il quale ha legittimamente preteso il pagamento del prezzo per rivenderlo al precedente proprietario. Fermo quanto precede, detto orologio si sarebbe, al più, potuto confiscare come prezzo dell’originario reato di cessione di stupefacente, ma non certo restituire allo COGNOME, in assenza di prova in ordine ad ulteriori presunte minacce da parte dell’imputato rispetto alla richiesta di denaro.
La qualità di parte pubblica del ricorrente lo esonera dal pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale. Così deciso in Roma il 19/01/2024.