Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 25179 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 25179 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME COGNOME nata a Salerno il 04/07/1985
avverso la sentenza del 06/02/2025 della CORTE D’APPELLO DI SALERNO
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si è riportato alla requisitoria in atti e ha concluso per il rigetto del ricors udito il difensore, Avvocato NOME COGNOME del Foro di Salerno, che si è riportato alle deduzioni contenute nel ricorso e ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenza di legge.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza di condanna pronunciata nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di furto pluriaggravato di cui agli artt. 624, 625, comma 1, n. 2 e 61 n. 5 cod. pen., commesso in danno di NOME COGNOME in Pontecagnano Faiano tra il 18 e il 23 ottobre 2013, ha escluso la circostanza aggravante prevista dall’art. 61 n. 5 cod. pen., confermando nel resto la sentenza appellata.
In particolare, la Corte territoriale, dato atto che il furto contestato si era consumato all’interno dell’abitazione della vittima e che l’imputata vi si era introdotta avendone carpito con l’inganno il consenso, ossia, dopo essersene guadagnata la fiducia proprio allo scopo di potere avere libero accesso nella di lei dimora al fine di impossessarsi di valori ivi custoditi, ha motu proprio riqualificato il fatto alla stregua del delitto di furto in abitazione aggravato ex art. 624-bis, comma 1, e 625, comma 1, n. 2 cod. pen.. Operazione di sussunzione, questa, ritenuta del tutto legittima, risultando gli elementi costitutivi della fattispecie ritenuta già compiutamente descritti nel capo d’imputazione, così da potersi dire neutralizzato il rischio di pregiudizio all’esercizio del diritto di di dell’imputata.
Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di NOME COGNOME affidando l’impugnativa a due motivi, quivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto previsto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo eccepisce, sotto l’egida del vizio di violazione di legge e del vizio di motivazione, Verror iuris in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale riqualificando il fatto in furto in abitazione pluriaggravato. È dedotto che la fattispecie ritenuta sarebbe incompatibile con l’avvenuto ingresso dell’imputata, nell’abitazione in cui era avvenuto il furto, con il consenso della persona offesa: la violazione di domicilio, contraddistinta dall’introduzione nel luogo di privata dimora invito domino, sarebbe, infatti, elemento essenziale del delitto previsto dall’art. 624-bis cod. pen.
Il secondo motivo denuncia l’insanabile contrasto tra il dispositivo della sentenza impugnata e la motivazione, il primo mancando di ogni indicazione: circa la riqualificazione in pejus del fatto accertato, operata, peraltro, in violazione dell’art. 597, comma 4, cod. proc. pen.; circa la necessitata riduzione della pena in conseguenza dell’esclusione dell’aggravante ex art. 61 n. 5 cod. pen. e circa l’intervenuta prescrizione del reato, medio tempore maturata.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per iscritto in data 28 maggio 2025 chiedendo il rigetto del ricorso.
La trattazione del ricorso ha avuto luogo in pubblica udienza avendone fatto tempestiva richiesta il difensore della ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato
Non coglie nel segno l’eccezione di erronea qualificazione giuridica del fatto sollevata con il primo motivo.
La giurisprudenza di legittimità è, infatti, unanime nell’affermare che «Integra il delitto di furto in abitazione, di cui all’art 624-bis cod. pen., la condotta di chi impossessi di beni mobili, sottraendoli al legittimo detentore, dopo essersi introdotto nella dimora di questi con il suo consenso carpito mediante inganno» (Sez. 5, n. 16995 del 21/11/2019, dep. 2020, Pompei, Rv. 279110 – 01; Sez. 5, n. 41149 del 10/06/2014, COGNOME, Rv. 261030 – 01; Sez. 5, n. 13582 del 02/03/2010, Torre, Rv. 246902 01). A corollario di tale enunciazione direttiva si è, inoltre, chiarito che «In tema di furt in abitazione, non ricorre una violazione del principio del “ne bis in idem” nel caso in cui sia contestata l’aggravante del mezzo fraudolento, atteso che l’inganno non è elemento costitutivo del furto in abitazione, che si connota e distingue dal furto semplice per il luogo in cui avviene la sottrazione, mentre le modalità con cui avviene l’introduzione rilevano solo sotto il profilo circostanziale» (Sez. 2, n. 32086 del 12/05/2021, Novarese, Rv. 281677 – 02).
Ciò posto, sono tuttavia decisivi e fondati i rilievi articolati con il secondo motivo.
2.1. In effetti, il dispositivo della sentenza impugnata è così formulato: «Letto l’art. 605 cod. proc. pen., in parziale riforma della sentenza nr. 2501 del 5/6/2024 del Tribunale di Salerno, appellata da NOME NOME esclude la circostanza aggravante contestata prevista dall’art. 61 nr. 5) cod. pen. e conferma nel resto la sentenza appellata».
Il Tribunale di Salerno, all’udienza del 5/6/2024, aveva dichiarato NOME NOME colpevole del reato a lei ascritto, ovvero il furto pluriaggravato previsto dagli artt. 624, 61 n. 5 e 625 n. 2 cod. pen., e, per l’effetto, l’aveva condannata, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, alla pena di mesi sei di reclusione ed C 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali. La pena era stata sospesa alle condizioni e ai termini di legge.
2.1. Stando al dispositivo della sentenza impugnata, dunque, la Corte territoriale ha riconosciuto NOME NOME colpevole del delitto di furto monoaggravato previsto dagli artt. 624 e 625, comma 1, n. 2 cod. pen..
Si pone, allora, il problema, correttamente evidenziato dal ricorrente, del rapporto tra la motivazione della sentenza impugnata, dalla quale risulta la riqualificazione del fatto contestato all’imputata alla stregua del delitto di furto in abitazione aggravato dall’uso del mezzo fraudolento, previsto dall’art. 624-bis, comma 1 e comma 3, in relazione all’art. 625, comma 2, n. 1, cod. pen. e punito con la pena da tre a dieci anni di reclusione, il cui termine massimo di prescrizione è pari a dodici anni e mezzo a partire dalla data di commissione del reato (ossia, al «più tardi quella del 23 ottobre 2013), e il dispositivo che sancisce la condanna della ricorrente per il delitto di furto monoaggravato, previsto dagli artt. 624 e 625, comma 1, n. 2 cod. pen. e punito, ratione temporís, con la pena da uno a sei anni di reclusione, il cui termine massimo di prescrizione è pari a sette anni e mezzo.
2.2. Invero, in seno alla giurisprudenza di questa Corte si è affermato che il contrasto tra il dispositivo e la motivazione si risolve con la logica prevalenza dell’elemento decisionale sull’ elemento giustificativo (Sez. 6, n 7980 del 01/02/2017, COGNOME, Rv. 269375-01 e Sez. 6, n 19851 del 13/04/2016, COGNOME, Rv. 267177-01; Sez. 5, n. 22736 del 23/03/2011, Corrado, Rv. 250400 – 01; Sez. 2, n. 25530 del 20/05/2008, COGNOME, Rv. 240649 – 01; Sez. 4, n. 2996 del 06/12/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 238672 – 01), salvo specificità del caso di specie, quale ad esempio la presenza di un errore materiale nel dispositivo (Sez. 2, n. 13904 de 09/03/2016, COGNOME, Rv. 266660-01, e Sez. F, n.47576 del 09/09/2014, COGNOME, Rv. 261402-01). Infatti, ancorché la prevalenza del dispositivo si giustifichi in ragione dell’essere, lo stesso, «l’atto con il quale si estrinseca la volon della legge nel caso concreto», avendo la motivazione «solo una funzione strumentale» (Sez. 2, n. 25530 del 20/05/2008, COGNOME, Rv. 240649 – 01), la regola del primato dell’espressione della volontà decisoria del giudice non è assoluta, dovendosi tener conto, in situazioni particolari, degli elementi tratti dalla motivazione, che, appunto, conserva la sua funzione di spiegazione e chiarimento delle ragioni della decisione e che, pertanto, ben può contenere dati certi e logici che facciano ritenere errato il dispositivo o parte di esso (in tal senso, Sez. 2, n. 35424 del 13/07/2022, COGNOME, Rv. 283516 – 01, relativa ad una fattispecie in cui dall’esame della motivazione era chiaramente ricostruibile il procedimento seguito dal giudice per pervenire alla determinazione della pena, e Sez. 3, n. 3969 del 25/09/2018, dep. 2019, B., Rv. 275690-01, relativa ad una fattispecie in cui nel dispositivo era stata omessa la statuizione di concessione della sospensione condizionale della pena, i presupposti della quale, invece, erano stati riconosciuti in motivazione).
Tanto chiarito, il Collegio intende, allora, ribadire il principio di diritto secondo c «In caso di contrasto tra dispositivo e motivazione della sentenza, la regola della
prevalenza del dispositivo può essere derogata a condizione che questo sia viziato da un errore materiale obiettivamente rilevabile e che da esso, quale espressione della volontà
decisoria del giudice, non derivi un risultato più favorevole per l’imputato» (Sez. 3, n.
2351 del 18/11/2022, dep. 2023, COGNOME, Rv. 284057 – 04).
Dunque, la regola della prevalenza del dispositivo sulla motivazione non può essere derogata, quando non emerga un errore materiale del dispositivo obiettivamente
rilevabile dagli atti, e, inoltre, quando da questo, quale immediata espressione della volontà decisoria del giudice, discenda un risultato più favorevole per l’imputato. Si è,
infatti, condivisibilmente affermato che «la possibilità di modificare con la motivazione il dispositivo, anche quando questo non è inficiato da errori materiali obiettivamente
rilevabili dagli atti, determinerebbe la sostanziale vanificazione sia della regola della immediatezza della deliberazione subito dopo la chiusura del dibattimento, sia della
fondamentale funzione di garanzia che questa regola assume per l’imputato» (Sez. 3, n.
2351/2023, COGNOME, in motivazione).
2.3. Poiché nel caso concreto il dispositivo della sentenza impugnata non esibisce un errore materiale e, comunque, un errore
ictu ()culi evidente, deve assegnarsi prevalenza
alla volontà decisoria del giudice come in esso esplicitato, con la conseguenza di doversi ritenere che la fattispecie della quale la ricorrente è stata ritenuta responsabile, e, per l’effetto, condannata, è quella di furto monoggravato, di cui agli art. 624 e 625, comma 1, n. 2 cod. pen., commesso in data 23 ottobre 2013.
Ne viene che il termine massimo di prescrizione del reato così ritenuto è pari a sette anni e mezzo e, pur con l’aggiunta dei periodi di sospensione del relativo corso – per giorni 1469 -, è ad oggi interamente maturato, essendo spirato il 2 maggio 2025.
S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il reato è estinto per intervenuta prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per prescrizione.
Così è deciso, 27/06/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
CORTE DI DI CASSAZIONE
V SEZIONE PENALE