Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 44068 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 44068 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Palermo RoccoCOGNOME nato a San Procopio il 25/06/1961
avverso la sentenza del 16/01/2024 della Corte di appello di Catanzaro visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procurat generale NOME COGNOME che ha richiesto l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avvocato NOME COGNOME anche quale sostituto dell’avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricors
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello Catanzaro che ha rigettato la richiesta di revisione della sentenza emessa in 24 novembre 2016, irrevocabile il 27 settembre 2018, con cui la Corte di appel di Reggio Calabria – in parziale modifica della sentenza di condanna del Giudi
delle Indagini Preliminari di Reggio Calabria – aveva rideterminato la pena in anni sei di reclusione in ordine al concorso esterno in associazione mafiosa ex artt. 110, 416-bis cod. pen., per avere, nella sua qualità di Sindaco del Comune di S. Procopio, svolto attività diretta a favorire gli interessi della cosca “Alvaro” presente ed operante sul territorio della provincia di Reggio Calabria, prevalentemente nelle zone di Sinopoli, Santa Eufemia, Cosoleto, San Procopio e località limitrofe – fornendo indicazioni in favore degli esponenti di detta compagine in merito alle imminenti pubblicazioni di bandi di appalto, in generale, asservendo la carica istituzionale ricoperta al servizio della citata cosca.
La Corte di appello ha rigettato la richiesta di revisione ex art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. della citata decisione, escludendo che ci fosse un contrasto di giudicati tra la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 2 ottobre 2019, che aveva confermato l’assoluzione del Tribunale di Palmi di NOME COGNOME e NOME COGNOME ritenuti estranei al contesto associativo, e quella della Corte di appello di Reggio Calabria del 24 novembre 2016 che aveva invece ritenuto che NOME Palermo avesse favorito proprio il COGNOME, persona che aveva costituito il tramite tra associazione mafiosa, da una parte, e amministrazione comunale ed il Palermo, dall’altra, nell’opera di illecita ingerenza nel settore degli appalti indetti dal Comune di San Procopio.
La Corte di appello ha ritenuto che le due sentenze avessero ricostruito negli esatti termini i fatti che però avevano consentito di pervenire a distinte valutazioni, conclusioni difformi non integranti i presupposti di cui all’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.
COGNOME COGNOME deduce vizi di motivazione e violazione di legge in relazione agli artt. 630, comma 1, lett. a) e 631 cod. proc. pen.
Premessi i presupposti per l’operatività dell’art. 630 comma 1, lett. a), cod. proc. pen. e ripercorsa la vicenda processuale, la difesa rileva come la ricostruzione delle ragioni del rigetto sia frutto di un travisamento della prova ed errore di diritto nella parte in cui la decisione ha ritenuto che l’esclusione dell responsabilità del NOME COGNOME e di NOME COGNOME in ordine al reato ascritto per non aver commesso il fatto, in quanto estranei agli interessi della cosca, non avesse influenzato la condanna per concorso esterno nell’associazione mafiosa nell’ambito della decisione cui si richiede la revisione.
L’accusa di concorso esterno nell’associazione mafiosa che faceva capo alla “famiglia COGNOME“, anche nelle sue distinte articolazioni, era infatti fondata proprio sulla capacità della cosca, tramite COGNOME, di condizionare l’attività amministrativa con il contributo di NOME COGNOME, Sindaco di San Procopio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
2. Il ricorso ?i rivela generico e manifestamente infondato là dove reit censure che la Corte territoriale ha adeguatamente confutato escludendo reciproca interferenza tra le due decisioni passate in giudicato.
Dopo ampia esposizione delle ragioni poste alia base della sentenza condanna in ordine alla quale si richiede la revisione, e quella che si confliggente ex art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen. afferen all’assoluzione di NOME COGNOME e NOME COGNOME in ordine al delitto lo contestato di partecipazione alla associazione nnafiosa, ha osservato come i in essa accertati non siano mai stati posti in discussione, se non nella parte era stata operata una loro differente valutazione; la circostanza che costo altro procedimento, celebrato con differente rito, fossero stati assolt riverberava, inoltre, effetti sulla solidità della decisione ormai definitiva.
È stato, infatti, escluso il carattere determinante della sentenza di assolu avendo la sentenza di condanna valorizzato elementi probatori, qua esclusivamente emergenti dall’attività di intercettazione, che davano co dell’accordo intercorso prima delle elezioni comunali svoltesi presso il Comune San Procopio, tra Palermo e una parte della diversamente articolata “cosca COGNOME (alla luce di evidenti contrasti interni alla stessa).
In tal senso, inoltre, si è pronunciata questa Corte di cassazione nell’am del giudizio che ha definito la decisione che si reputa in contrasto e per la q stato attivato il rimedio della revisione, sede in cui era stata prospetta incompatibilità tra le due sentenze.
Seppure la decisione assolutoria nei confronti degli imputati accusati di parte della “cosca COGNOME” non fosse ancora passata in giudicato, la citata sent della Seconda Sezione Penale (n. 2713/2019 del 27/09/2018) ha rilevato che, come anche evidenziato dalla Corte territoriale, ai fini dell’esperimento dell’i della revisione «il contrasto di giudicati non ricorre nell’ipotesi in cui lo ste sulla valutazione giuridica attribuita agli stessi fatti dai due diversi giudi 2, n. 14785 del 20/01/2017, COGNOME, Rv. 269671; Sez. 5, n. 10405 d 13/01/2015, Contu, Rv. 262731; Sez. 6, n. 15796 del 03/04/2014, Strappa, Rv. 259804) evidentemente non scorgendone i requisiti neppure in quel contesto.
La Corte di appello di Catanzaro, proprio per evidenziare l’insussisten dell’ipotizzato contrasto tra le due decisioni, ha rilevato come l’accertamento
responsabilità del Palermo in ordine al patto elettorale politico-mafioso stretto con NOME COGNOME fosse fondato su plurimi elementi che resistevano all’assoluzione di NOME COGNOME basata, invece, sulla mancanza di prova di un suo stabile contributo al sodalizio.
La decisione ha messo in risalto come, sia il litigio svoltosi in piazza tra Palermo e NOME COGNOME, detto “COGNOME“, avente ad oggetto l’appalto aggiudicato a persona vicina ad altro ramo della “famiglia COGNOME” – in quel periodo in contrasto -, sia il mancato intervento di Palermo in favore di NOME COGNOME erano stati accertati negli stessi termini in entrambe le sentenze di merito, salvo ritenere che quei fatti assumessero un significato differente; sono state ritenute idonee a corroborare l’accusa proprio le considerazione contenute nella sentenza di assoluzione di NOME COGNOME e NOME COGNOME del Tribunale di Palmi; la Corte di appello ha rilevato come l’intervento di NOME COGNOME in favore di NOME COGNOME si spiegasse proprio per il ruolo di esponente del primo, insieme al fratello NOME e al padre NOME classe ’24, del “ramo” dei “Pallunari”; detto sodalizio, seppure in contrapposizione con quello dei “Carni i Cani”, cui invece appartenevano NOME NOME e il padre NOME NOME per i frequenti litigi, non conduceva all’esclusione, secondo quanto logicamente argomentato dai giudici di merito, della complessiva unicità della consorteria criminale.
Si tratta, in definitiva, di diversa valutazione dei medesimi fatti (la lite in pia e l’intervento a sostegno di NOME), ricostruiti negli stessi termini attingendo a dati probatori comuni alle due sentenze irrevocabili, che nel giudizio che si reputa incompatibile è invece pervenuto alla conclusione dell’esistenza di un patto elettorale stretto tra NOME COGNOME e NOME COGNOME grazie all’intervento di NOME COGNOME, finalizzato ad imporre la candidatura di NOME COGNOME anche all’altro ramo della cosca a base familiare.
Ne consegue, pertanto, come la divergenza in ordine alle sole conclusioni delle due sentenze determinata da differente valutazione giuridica degli stessi fatti non determini un contrasto di giudicati rilevante ai fini della applicazione del rimedio straordinario della revisione ai sensi dell’art. 630, comma 1, lett. a), cod. proc. pen.
All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si stima adeguata, di euro tremila in favore della cassa delle ammende, secondo quanto previsto dall’art. 616, comma 1, cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa d ammende.